GIOVANI COMUNIST*

CALABRIA: RELAZIONE INFRASTRUTTURE-SVILUPPO


Domenico Cersosimo* Infrastrutture. L'oggetto più caldo della retorica dell'annuncio. Per anni, governanti e progettisti, hanno provato a scaldare gli animi dei calabresi e dei siciliani con il Ponte sullo Stretto. Migliaia di lavoratori coinvolti, rapidità di collegamenti, opera strategica del Mediterraneo, simbolo della creatività e dell'operosità italica: una ridondanza stucchevole di benefici presunti. Un grande tutto. Poi, di colpo, un grande niente. Basta Ponte. Addio alla grandeur. Oggi siamo alla spartizione delle spoglie finanziarie. Poco più di un miliardo di euro ex Fintecna che il governo Prodi distribuisce a Calabria e Sicilia per realizzare liste più o meno lunghe di opere. Non più il grande Ponte ma tanti ponticelli. Non più un'opera di lunga gittata fisica e temporale, bensì una miriade di interventi di piccola e media scala dimensionale e, perdipiù, di impatto politico-mediatico una tantum. L'enfasi e le aspettative, rigorosamente bipartizan, sono alte. Riparte il ciclo di vita della visibilità, indipendentemente dalla qualità degli interventi, dalla loro utilità sociale, dai loro impatti economici, dai bisogni locali effettivi.Infrastrutture, l'ossessione meridionale. La febbre del cemento non sembra abbassarsi. Neppure oggi che siamo sempre più immersi nella società della conoscenza e della dematerializzazione. Il cemento storicamente cementa interessi sociali ed economici disparati. Un vero e proprio partito, granitico, composito, radicato.La credenza nelle infrastrutture come re Mida del benessere e dello sviluppo è più che mai viva. A destra e a sinistra. Al Nord e al Sud. Negli anni Cinquanta e negli anni Duemila. Un fascino irresistibile e persistente legato all'inossidabile refrain: "solo una dote consistente, pervasiva e crescente di capitale fisso sociale è in grado di generare crescita economica e ricchezza diffusa". Tutto semplice, lineare, meccanico. Strade, aeroporti, dighe, ferrovie, porti, autostrade come immutabili pre-requisiti dello sviluppo economico e civile. Mai il dubbio sull'esistenza di un vero e proprio "paradosso della dote". Sul fatto cioè che la connessione maggiore stock di infrastrutture uguale a maggiore sviluppo economico non sempre si verifica in concreto.Intendiamoci. La presenza di un moderno sistema di infrastrutture e servizi pubblici contribuisce ad accrescere il livello di benessere della popolazione, nonché l'attrattività territoriale. La varietà e la qualità delle infrastrutture pubbliche agisce infatti sull'insieme delle senniane "capacitazioni", ossia sulla gamma di possibilità effettive che ci consento di vivere una vita compiuta e di perseguire ciò che riteniamo importante per la qualità della nostra esistenza. Analisi scientifiche ed evidenze empiriche mostrano tuttavia come il legame tra crescita della dotazione di infrastrutture e sviluppo diventi tendenzialmente meno robusto una volta raggiunto una soglia infrastrutturale soddisfacente. Nell'economia post-fordista, poi, potenzialità di sviluppo e competitività territoriale dipendono sempre più dalla presenza di asset immateriali specifici e difficilmente replicabili altrove. Il recente successo economico di alcune città orientali, come Bangalore in India, mostrano come la crescita di attività economiche e di ricerca avanzate possano aver luogo in contesti dove la dotazione di infrastrutture di base è drammaticamente carente. La Calabria, al contrario, pur potendo contare su uno stock infrastrutturale di tutto rispetto, è drammaticamente sottosviluppata. Può accadere che investimenti in nuove opere pubbliche anziché accrescere il benessere collettivo lo riducano. Il Mezzogiorno e la Calabria conoscono bene questa lezione. Ospedali realizzati e mai entrati in funzione, strade avviate e mai completate, depuratori costruiti e non utilizzati, anfiteatri senza spettacoli non concorrono certamente a rafforzare il sistema produttivo locale tantomeno ad accrescere permanentemente la qualità della vita. Al contrario, molte volte la peggiorano perché distruggono paesaggi e ambienti naturali, sottraggono spazi pubblici per usi alternativi, assorbono ingenti risorse finanziarie. Il potenziale di sviluppo incapsulato nelle opere pubbliche, per potersi manifestare compiutamente, necessita di adeguati contesti istituzionali, di sistemi imprenditoriali maturi, di visioni strategiche condivise e di congrue strutture di governance. Gli investimenti sono importanti, ma non bastano. Non sono sufficienti opere pubbliche in sé e neppure infrastrutture generiche, indifferenziate. Infrastrutture progettate e realizzate in solitudine implicano, di norma, bassi impatti sul contesto socio-istituzionale ed imprenditoriale, finendo per esaurirsi nei limitati effetti indotti legati alla fase di cantiere. D'altro canto, investimenti di carattere puntiforme non hanno la forza di modificare le aspettative delle imprese, tanto meno di migliorare significativamente la dotazione di beni pubblici locali, che rappresentano l'esoscheletro dello sviluppo economico e sociale. Né è sufficiente realizzare nuove opere: miglioramenti del benessere e della competitività locale possono essere perseguiti anche attraverso attività di manutenzione e di adeguamento del patrimonio infrastrutturale preesistente. E neppure basta concentrarsi nella realizzazione di grandi opere a discapito delle opere minori. In molti casi, infatti, la redditività socioeconomica media per unità di spesa è superiore nelle opere di modesto importo rispetto alle megaopere. Ciò che conta davvero è lo stretto coordinamento e la più intima complementarietà tra le opere programmate, l'equilibrio tra nuove infrastrutture e manutenzione-valorizzazione di quelle preesistenti, la capacità di legare ogni singolo intervento in una strategia unitaria. Le infrastrutture sono molto importanti se formano una rete infrastrutturale compatta e integrata, senza discontinuità funzionali e spaziali. Finito l'effetto annuncio, sarebbe opportuno che i policy makers riflettessero di più sulla scarsa linearità della relazione infrastrutture-sviluppo.*professore di Economia regionale, Facoltà di Scienze politiche, Università della Calabria