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L'INCIDENTE IN ARTICO NON FERMERA' L'ESTRAZIONE DI IDROCARBURI.

Post n°28 pubblicato il 19 Marzo 2013 da personcinaGisella

L’incidente in Artico non fermerà l’estrazione di idrocarburi.

Dopo alcuni giorni dall’incidente avvenuto in Artico alla piattaforma per perforazioni petrolifere Kulluk della Shell è ancora impossibile tentare di risalirvi a bordo perché il mare e il vento hanno una forza che è stata paragonata a quella di un uragano, tant’è che questi ultimi soffiano a oltre 110 chilometri all’ora dando vita a onde alte 11 metri. La piattaforma che lavorava vicino all’Alaska, in Artico, ha spezzato i grossi cavi che la tenevano ancorata a due rimorchiatori che la stavano trainando a Seattle per manutenzione ed è andata ad arenarsi in prossimità di un’isola disabitata, la Sitkalidak, e protetta per la sua flora e fauna. Al momento non vi sono perdite delle centinaia di migliaia di litri di petrolio e delle decine di migliaia di litri di olio che vi sono a bordo. E la Shell è fiduciosa che non ve ne saranno in quanto la piattaforma era stata recentemente rafforzata con lavori che sono costati oltre 300 milioni di dollari. E la speranza che si possa recuperare la piattaforma senza problema è ovviamente di tutti.Davvero è possibile lavorare in Artico?Ma è ovvio che ci si pone la domanda: “Ma si è davvero pronti a estrarre petrolio e gas in una regione tanto impervia del pianeta?” Secondo più voci parrebbe di no. Una di queste è quella di Lois Epstein, direttore del programma Artico della Wilderness Society che ha detto: “Al momento le compagnie petrolifere non hanno ancora la tecnologia adatta per far fronte alle estreme condizioni ambientali dell’Artico”. Rick Steiner, ex professore di biologia marina dell’Università dell’Alaska ha sottolineato: “I rischi del passaggio delle petroliere o delle piattaforme petrolifere attraverso il golfo dell’Alaska per raggiungere i giacimenti nell’Artico sono stati sottostimati”. Differente, ovviamente, è la visione delle Società petrolifere che hanno tutte investito miliardi di dollari per perforare qual nuovo mondo ricco non solo di idrocarburi, ma anche di altri minerali importanti. Esse infatti sostengono che navi e piattaforme sono assolutamente adatte ad affrontare i mari peggiori senza problemi. Ciò che è avvenuto in questi giorni è solo un incidente che poteva capitare in altre aree del pianeta. Ma perché questa corsa all’artico? Perché Secondo ricerche fatte da più enti i fondali potrebbero nascondere dai 9 ai 12 miliardi di tonnellate di petrolio e gas, anche se secondo altre fonti il petrolio potrebbe essere molto di più, fino al 30% di quello ancora presente sulla Terra. Quello finora certo non è tantissimo in termini assoluti, ma è comunque una quantità tale per cui valgono gli sforzi per la ricerca e l’estrazione. Si ipotizza poi, l’esistenza di depositi di metalli inglobati nei “noduli di manganese” (noduli grandi come palle da tennis che si formano sui fondali per precipitazione dall’acqua marina di metalli immessi negli oceani da eruzioni vulcaniche). Vi potrebbero essere infine, anche giacimenti di “idrato di metano” (metano che viene rilasciato da processi di decomposizione della sostanza organica presente all’interno dei sedimenti che si combina con l’acqua fredda delle profondità abissali a formare una sorta di “ghiaccio”) che conserverebbe quantità di metano superiori a quelle presenti oggi nei depositi convenzionali. E questo spiega il grande interesse sia dei Paesi possessori delle aree artiche che delle compagnie petrolifere e minerarie che hanno già iniziato ad estrarre le preziose riserve.

 

 

 

 

 

 
 
 
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