GIORNI STRANI

Io e Daniela ci consumiamo sulla riva


   Inizia a scendere una discreta pioggerellina, sicché le mormoro che forse è meglio far ritorno alle tende, ma lei emette un sospiro indecifrabile e mi trattiene a terra, con mano decisa, afferrandomi il polso. Mi snocciola qualche altra confessione, in modo  slegato nonché vanitoso. Là dentro ci hanno provato tutti con lei, a parte me e Felice. Perfino sul fronte opposto, qualche ragazza, seppur con più tenerezza e classe, ha osato incunearsi nella sua intimità; e qui mi riappare con nitidezza l’isterismo di Monica e quel riferimento alla “foresta amazzonica” di Daniela.    Sottolinea che sinora si è concessa solo al Greco. Le domando cosa diamine le piace del ruvide giovanotto, e lei, senza la minima esitazione, mi risponde che è attratta da quella “titanica e lacerante lotta interiore fra inquietudine e intelligenza”. Ammetto che una risposta così gagliarda non l’ho mai sentita. Quindi sottolinea che siamo due maschi agli antipodi: brutale lui, celestiale io.    A parte il ticchettio della pioggia, non si sente più il minimo suono fra i campi delle tribù verdi. Siamo nel cuore della notte. D’un tratto, la cavallerizza mi sale  sopra, mentre il cielo comincia a cannoneggiare.   Il Cigno è fenomenale nel fare l’amore, però, se vogliamo vedere il pelo nell’uovo, i suoi movimenti sono per lo più bruschi e violenti. Di Laura – la personificazione di un’anacronistica nobiltà evanescente – conservo qualche nebulosa immagine, quando la spiai sul baldacchino in compagnia di Vladimiro; e ricordo che, da un istante all’altro, era troppo mutevole e intransigente sulla condotta del maschio. Invece la rossa, partendo da un movimento circolare del bacino, che si espande poi al resto del corpo, sale e scende per la scala musicale dell’amore in modo estremamente graduale, modulando la forza o la velocità oppure entrambe. Interpreta l’atto amoroso come fosse una danza, una danza tribale in cui si invocano gli spiriti della natura. È una sinusoide.    Adesso le gocce di pioggia ci trafiggono. Sarebbe meglio ritornare alle tende, ma una forza invisibile ci inchioda sull’arena zuppa. La tigre inizia a lavorarmi con un crescente movimento di bacino. Non voglio soccombere alla sua autorità, perciò sulle prime la afferro dai fianchi, quindi con le nocche della mano creo un intaglio su quella schiena perfetta. Ben presto ci ritroviamo impregnati di sabbia e acqua e sale e sudore, i nostri vestiti sono un tuttuno con la pelle, chiara la mia, olivastra e con gl’inequivocabili segni delle lampade la sua. Sarà che siamo ormai conciati in una condizione pietosa, da bestie; sarà che la selvaggia ha sempre risposto picche a tutti, eccetto Roland, guadagnandosi il soprannome di “una dolce con le palle”; sarà che ho gettato nella spazzatura qualsiasi candore e timidezza col gentil sesso, tant’è che la situazione è fortemente eccitante e la lotta va avanti a oltranza.    Finalmente, svuotati e accaldati, i nostri piaceri si congiungono e terminano in un lungo stanco gemito, che viene inghiottito dal mare. Sulla vetta del nostro viaggio, le sue mani divengono tenaglie sul mio addome, mentre quelle unghia curate e affilate vi tracciano solchi paralleli.    Al ritorno in tenda, intravedo le sagome di tre compagni ancora svegli, seduti attorno a un falò spento. Sono Tommy, Eugenio e Patty. Ignoro se si sono accorti di chi ero in compagnia. Dal buio mi scrutano allibiti, neanche fossi venuto da Marte.    <<Hai fatto lo sbarco in Normandia?>> ironizza Pat. E in effetti sono ridotto uno straccio. Zuppo. Chissà cosa penserebbe Gabriel se mi vedesse in simili condizioni.   La rossa non sarà una bellezza perfetta come la Cortez o la Ducròs, ma non ha nulla d’invidiare alle due primedonne. Da stasera ne sono convinto.    Sono uno straccio. Nient'altro che uno straccio.