GIORNI STRANI

Tempi che cambiano... fragilità di natura e altro.


   Chissà perché, per decenni e decenni, la parola "fragilità" è stata associata alle donne. Evidentemente, nelle generazioni passate, l'uomo aveva attorno a sé l'aura secolare del capofamiglia col bastone, tutto d'un pezzo, che stava fuori da casa l'intera giornata per lavoro; e, spesso, dopo il lavoro si rintanava nelle sale fumose di circoli o bar. E qui mi viene da pensare al mio caro nonno materno.    Erano i tempi in cui a casa, durante i pasti, non doveva volare una mosca. Erano i tempi in cui le donne, che si dedicavano esclusivamente alle faccende domestiche e alla prole, erano in genere succubi e si beccavano zitte e zitte qualche sberla. I ruoli dell'uomo-padre e della donna-madre erano rigidamente prefissati, secondo un modello collaudato da secoli. Ma non mi voglio esprimere su quale tempo sia migliore: so solo che la società è come un lido sul mare: pian pianino, con la lenta ma costante opera dei venti e dei mari, si trasforma. Eccome se si trasforma. E cinquant'anni rovesciano tutto.    Ma ritorniamo alle fragilità. Non penso che gli uomini, nel passato, non abbiamo avuto insicurezze, tormenti e momenti di scoraggiamento. Probabilmente, grazie alla corazza di cui erano dotati, verso l'esterno e soprattutto in famiglia non facevano trapelare alcuna crepa. Poi magari, se si aveva la fortuna di parlare in confidenza con i loro migliori amici, qualcosa si veniva a sapere. In tal senso, ricordo che mio zio mi disse di aver ricevuto una volta una lettera dal padre (il mio nonno materno, nato nel 1914), pagine molto dense, segnate dalla tristezza per non essere mai riuscito ad abbattere quel dannato muro di incomunicabilità verso il figlio... Purtuttavia, credo di essere oggettivo, se sostengo che le varie trasformazioni nell'ambito familiare - dove i due ruoli si sono ibridati -, e nella stessa società civile - dove le femmine hanno iniziato ad affermarsi -, hanno aumentato a dismisura le insicurezze nell'animo del maschio. E qui le donne, a mio avviso, hanno dimostrato di possedere maggiore capacità di adattamento. La riflessione è doverosa per tutti. Per noi stessi. E per allevare figli sani, non perfetti, ma sani: saranno loro il domani: separazioni e divorzi e diverbi e quant'altro docunt.   Fragilità, fragilem: la parola deriva dalla stessa radice di frangere (rompere) e fragmentum (frammento). E' indubbio che molto spesso sensibilità e fragilità vanno a braccetto; e pure far lavorare molto in cervello, in un certo senso, ci può rendere molto più fragili, o comunque "far emergere" a galla le nostre fragilità recondite... E allora, orsù, tutti a lavoro (?)...    A proposito invece di donne fragili. Approssimando con un azzardato colpo di accetta, mi sovvengono due tipi di femmine fragili: quelle che chiedono aiuto, magari anche in modo non esplicito; e quelle che non chiedono aiuto, che sono delle corrazzate, e che ti accorgi che hanno bisogno di comprensione solo quando si trasformano in protagoniste di film tipo l'esorcista o nightmare... Ecco, il sottoscrivente, ha avuto il privilegio di conoscerle benino ambedue. <<Non ci facciamo mancare niente>>, direbbe l'inguaribile Ottimista.