GIORNI STRANI

Sabrina Monaco e quel forno viaggiante su rotaia... (6)


   In un battito di ciglia mi posiziono, febbrile, seduta su Emanuele. Non so nemmeno come ciò sia stato possibile, tuttavia non voglio nient’altro che godermi questo attimo rubato.   Mi attacco alle sue labbra e gli passo le dita fra quei ciuffi ribelli, nel mentre lui rimane tutt’altro che fermo, lavorandomi con le nocche sul solco della schiena sino a spingermi, a ritmo regolare, delicatamente verso l’alto. Nel caos, sento quel maestoso orgoglio pronto a tracimare: questione di attimi: nulla può, l’esigua diga della zip. Quella stupida diga.   Mi sfilo il pantalone da un lato, fors’anche aiutata da lui, per poi abbattere quella inutile cerniera che ci separa.    Quindi la forza di gravità ci spinge verso l’ignoto: lo accolgo senza remore smorzando il mio gemito di dolore nella sua bocca ansimante, quasi spegnessi una cicca nell’acqua fredda. Sento dolore, ma è un male delizioso a cui non si può rinunciare.   Vedo solo un’immagine sfuocata e al centro emerge il volto del mio cavaliere: e sì, è bellissimo ancora di più, ora che i suoi occhi neri si sono assottigliati e rigirati; ora che affonda i suoi denti bianchi sul mio collo, come lame di precisione che intagliano con meticolosità legni pregiati; ora che l’aroma del suo Hypnose si è fusa col mio Insolence, e il tutto si è sciolto in un lago di sudore e saliva…    Lo scompartimento del treno regionale è un impensabile forno crematorio. L’aria è satura dei nostri respiri pungenti, tutt’altro che profumati: chissenefrega.     I sobbalzi del treno mi suggeriscono di molleggiare con più cattiveria sul cavaliere, facendo leva sulle sue spalle e poggiandomi sul pavimento, e così faccio; uno, due, cinque, decine e decine di volte. Quelle mani ormai hanno lasciato la loro impronta sui miei fianchi, non è da meno, lui.    La testa inizia a girarmi e manco poco: chissenefrega.     Ancora su è giù, con lui che, fra un bacio e l’altro, mi tortura con perizia ora il turgido capezzolo sinistro ora il collo sgocciolante: mi ha plasmato in una capillare rete di piacere, che non termina di espandersi… vorrei non finisse mai… E’ meraviglioso, Emanuele. E il suo strumento nodoso è il tronco di questo immenso albero del piacere.   Avverto che siamo alla fine del Viale.    Un grido, due grida… forse più.    Onde sonore e aliti e pupille come veicoli d’amore.   Finalmente la liberazione, la meritata tregua, nell’area del pensiero prossimo a zero...    Un cavaliere da clonare, Emanuele.      Un gran silenzio si è impossessato dell’abitacolo e del corridoio del convoglio. Non c'è un’anima là fuori. Rapidamente ricomponiamo abiti e capelli, o quantomeno facciamo il possibile per apparire al mondo in modo decoroso, anima compresa.   Il convoglio è fermo.   <<Sabrina…>> spezza l’interminabile vuoto acustico.   <<Sì…>>   <<Non pretendo di vederti, sai... Non lo pretendo.>> Una pausa. <<Devi sentirti libera.>> E' esausto. I suoi ciuffi sono comicamente appiccicati per il sudore.   Prima di liquefarsi nel corridoio, mi mette nella tasca un bigliettino; lo fa con una grazia disarmante.   Un uragano sulla mia realtà. Credo che dovrò concedermi una bella pausa. Da tutto e da tutti. E il bello è che, fino ad ora, ho sempre biasimato fortemente chi si è scavato con pala e piccone delle pause di riflessione. L’ho sempre considerato un atteggiamento da vigliacchi, eterni immaturi. Che senso ha staccarsi per un tempo X dalla quotidianità? Così mi chiedevo da bacchettona rigorosa, da donna che sapeva organizzarsi anche l’angolo più remoto della propria benedetta vita.   Bene: oggi tocca a me.    Devi sentirti libera. Quelle ultime parole mi carezzano come l’ultimo sole d’estate. E mi riscaldano.     Non può essere l’ultimo sole, no. La sola idea mi getta nel buio. Un fascio di luce si apre la stada nel finestrino lercio: devo andare dai miei allievi della Facoltà.---------------------------------------------------------------------------------------------------Parte 5: http://blog.libero.it/GIORNISTRANI/11340008.html