GIORNI STRANI

Una pazzesca voglia di Laura... nient'altro che Laura (1).


 Le quattro coppie dell’Officina si salutarono e ognuna intraprese la propria strada, munita di zaini, con all’interno mappe, sacco a pelo, torcia, vivande, gavetta e quant’altro. Io e LauraDopo il viale degli eucalipti, passammo su un ponte sopra la ferrovia e ci dirigemmo verso nord-est, arrivando presto sulla strada statale. Mi balzò in testa l’idea di fare l’autostop e coinvolsi nella furbata la stessa Laura. Chissà cosa avrebbe pensato il povero Gabriel se mi avesse visto. Un’anima pia con un furgoncino si fermò e ci caricò, lasciandoci poi all’incrocio con un’altra statale che si inerpicava su un declivio assolato, tra campi di grano nudi e filari di vite. Quindi decidemmo di raggiungere, consultando la mappa, una stazione ferroviaria abbandonata, sicché ci allontanammo dalla pista asfaltata, lasciandoci languidamente inghiottire dall’entroterra. Proseguimmo indomiti, circondati solo dalla pace agreste, rotta a volte dai belati delle pecore e dai latrati dei guardinghi pastori maremmani; e salimmo e salimmo ancora per molto. La meta era sempre più lontana, ambedue zitti e impegnati nello sforzo. Lungo il cammino, non facemmo a meno di cogliere qualche fico di fine stagione. Se non fossimo stati in un contesto del genere, di sicuro sarebbero stati insipidi. Talvolta le nostre narici venivano assalite da repentine folate, l’olezzo piccante del mosto che fuoriusciva da qualche cantina nei dintorni. Finalmente, fra punteggiature di ruderi etruschi e romani, e lo sguardo arcigno di case coloniche, approdammo alla meta prefissata: una stazione, un secolo fa appartenente alla “via dell’allume”. Il casello era ancora in discrete condizioni: era una palazzina a due piani, rivestita in superficie da un intonaco grigio, dietro cui si scorgeva qua e là qualche pietra; le finestre erano in legno e verniciate color verde, un po’ scrostate ma orgogliose; sotto il tetto, le travi di castagno, messe a regola d’arte, sembravano tuttora integre; più in basso c’erano le lanterne a petrolio, sorrette da neoclassici supporti in ferro. I binari erano stati smantellati, ma, in compenso, dalla parte posteriore e ai piedi del casello, una carrucola arrugginita e un meccanismo a manovella erano ancora lì – in qualità di superbi testimoni –, per rammentare i tempi andati in cui si manovrava a mano la barra del passaggio a livello. All’epoca transitavano innumerevoli carri merci e molti passeggeri. La parte a tergo della struttura si era inselvatichita, a causa degli arbusti d’ogni tipo e degl’intrichi di edera, che si era avvinghiata al fusto di una vecchia acacia. Con estremo stupore, alzando lo sguardo vedemmo incise, su piastrelle quadrate di maiolica, alcune lettere del presunto nome della stazione, di color rosso e su sfondo giallo. Purtroppo erano ormai deteriorate e illeggibili. Sotto il cornicione un barbagianni imboccava i futuri aviatori.   Sul lato posteriore, ai piedi dell’acacia, decidemmo di collocare la tenda. Le  fronti grondavano di sudore e le nostre schiene flaccide imploravano clemenza, così duramente provate dalle chine dell’ultimo tratto affrontato. <<Alla barba dei coast to coast, questi luoghi non mi dispiacciono affatto>>, ruppi il silenzio. Avevo ancora il fiatone. <<I film americani ci hanno rincoglionito e ammorbato, con quei falsi miti infiocchettati e pronti all’uso.>>   <<Certo. E poi, sarò banale, l’importante è con chi stai>>, replicò illuminandomi il tardo pomeriggio, mentre assaporava un fico.    <<Perciò, vorresti dire che… insomma…>> tentennai.   <<Sì, sì, hai capito benissimo. Sei un ragazzo di buona compagnia, per quanto tuttora non abbia compreso la tua scelta.>><<Quale scelta?>><<Per il Deserto. C’erano tante altre donne che potevi considerare. In primis, quella Patrizia, credimi, non è niente male davvero>>, mi suggerì.<<Lauretta mia, ora ti metti pure a combinare per conto terzi?>> sbottai risentito.<<Ciò che voglio comunicarti è che, forse, non sono come tu mi vedi.>><<Vuoi dirmi, con parole dolci, che non sono in grado di capire il vostro mondo?>> Ripresi: <<Per me sei una ragazza di enorme spessore, con un equilibrio fuori dal comune>>.<<Ti ringrazio. Ma tu cosa sai esattamente della mia vita? Sono solo alcuni giorni che ci conosciamo. Non basta una vita per penetrare una natura femminile>>, disse con tono secco e perentorio.<<Ora giochi a fare la complicata.>><<Il punto è proprio questo: io sono complicata. Sono una natura complessa. Dall’esterno gli altri mi osservano e pensano: “Laura è una ragazza matura per la sua acerba età, serena e gioviale. Un giorno avrà una stupenda famiglia e sarà un buon medico.” Ma non sanno che pure io ho le mie angosce>>, si confessò a ruota libera.    <<Be’, sei pur sempre una donna e come tale… Comunque passano le generazioni, cambiano le mode, ma c’è sempre una costante: questa dannata inquietudine. Forse abbiamo perso l’abitudine di zappare la terra o partire da un giorno all’altro per il fronte. Se poi una tosta come te si sente angosciata, io alzo bandiera bianca e declamo ufficialmente il fallimento della nostra generazione!>>, mi infiammai nel discorso.    Lei aveva teso l'orecchio con quella proverbiale capacità. Non a caso era Laura: adorabile pure quando si discorreva di inquietudini o di argomenti impegnati o noiosi.         <<I giovani saranno sempre inquieti, è un percorso naturale, frutto della ricerca. La gioventù è come un laboratorio. Certo, in eredità ci hanno lasciato molti buchi… negli affetti e nei principi>>, sintetizzò con perizia e semplicità. <<Ma la differenza rispetto alla generazione passata è che noi ci mettiamo l’anima. Sappiamo reagire, Dani.>>---------------------------------------------------------------------------------------------------------->>>>CONTINUA (dal mio romanzo Generazione oltre la linea).p.s. il Deserto, nella scuola di Gabriel, è uno strumento di Comunità attraverso cui si sta insieme a un altro allievo per conoscersi meglio.