GIORNI STRANI

Rapporti padre-figlio di un tempo, zio Piero, mio nonno Vincenzo Tavani e "il Quadro più bello"...


  
    Le memorie di mio Zio Piero sull'indimenticabile papà Vincenzo.   Quanto tempo perduto potrei dire oggi, ripensando a quando da ragazzo, profondamente timoroso di mio padre, non trovavo mai il coraggio di dialogare con lui, esprimendogli apertamente tutti i miei sentimenti.   Come tutti i ragazzi che guardavano i loro padri come a dei modelli da imitare, anch’io provavo per lui grande ammirazione e rispetto, cercando di imitarne la rettitudine e l’onestà.   E’ piacevole ripercorrere la propria vita guardando a tutto ciò che si è riusciti a costruire insieme. La passione per l’arte sicuramente me l’ha trasmessa lui, così come la natura ed il modo di capire e comprendere l’uomo con i suoi innumerevoli problemi, i suoi danni, le sue gioie.   Picasso diceva che l’artista ha tre occhi: il terzo ha la funzione di vedere oltre la retina, in profondità, tirando fuori tutto ciò che c’è di prezioso dentro.   E’ forse per questo che non perdevo mai le sue uscite estemporanee en plen air, e quando dipingeva cercavo di “rubare” con gli occhi il più possibile i suoi segreti… e quante volte mi sono dato per vinto!    Autodidatta e colorista indiscusso, con una forte carica pittorica indistinta, amava disegnare il soggetto abbozzandolo col pennello a sciabolate direttamente sulla tela o sulle tavolozze già preparate con tonalità bruna.    A volte, per insegnarmi, ripeteva che la maturità di un pittore non si misurava nel saper dipingere bene ma nel sapersi fermare al momento giusto; perché l’errore del principiante è nel voler finire subito, pretendendo di vedere il risultato come fosse un capolavoro.   Il mare con i suoi magici grigi, la campagna con le terre d’ombra e i rossi insoliti sono stati i soggetti più cari ed espressivi. Si fermò facendo varie esperienze pittoriche, materiche e di colore, modificando a volte anche radicalmente la scala cromatica della sua tavolozza.   Analizzò la pittura decisa e determinante di Rouault. Restò fortemente impressionato da Matisse e dalle esplosioni coloristiche dei Fauves, quelli che Lui chiamava i “diavoli” per l’uso del rosso puro in quelle tele infiammate.   Passò attraverso lo studio della pittura sintetica, armonica e tonale di Cezanne identificandosi anche nel carattere: infatti come il maestro non amava le riunioni, le discussioni da caffè e le “mostre pilotate”; e spesso, proprio per la sua forte personalità si attirò mal dicerie e incomprensioni.   Avrebbe desiderato vedere la pittura come un ponte che unisce le sponde dei sentimenti umani, invece si trovava spesso deluso e solo.   Io credo che la sua sia stata una battaglia più contro se stesso che con gli altri.    Il pensiero della morte talvolta lo assaliva, e si manifestava sulla tela con improvvise esplosioni di colore puro, quasi un inno ed un’esaltazione alla vita. Questo pensiero era un qualcosa che lo aveva modificato rispetto alla vita, specie nelle scelte importanti. “Ma ve la ricordate quant’è buona la zuppa inglese?”   E forse al pensiero della morte è collegato il fatto che non ebbe mai il coraggio di organizzare una propria mostra personale: c’era dietro un triste ricordo che lo marchiò a fuoco. Un suo amico pittore, ferroviere anch’egli e pensionato, un giorno decise di organizzare una propria mostra. Ci aveva creduto moltissimo, ma le cose non andarono come aveva sperato. Conobbe la disonestà di certi critici d’arte e non volle scendere a compromessi: il dispiacere l’uccise.    Mio padre traeva forza e beneficio dalle sue creature, veri esseri viventi. Le sue opere gli parlavano, pregavano con lui, erano qualcosa di più di semplici quadri, al punto di associarvi simbolicamente le persone scomparse a lui molto care: il padre, la madre e le due sorelle.    Amava sedersi e contemplarli seguendone le linee, fischiettando e ripensando forse ai momenti in cui li aveva visti nascere.   Che sofferenza deve essere stata per lui, quando, negli ultimi momenti della sua vita, a causa di un forte abbassamento della vista non potette più leggere né dipingere.   Il 1980 è un anno che ricordo con piacere e commozione. Lavorammo insieme a un opera importante: una decorazione murale nel salone della nuova sede DLF di Civitavecchia: “Locomotore a vapore 740”.    Grande la fiducia in noi posta dal presidente Morucci ed altrettanto grande è stata la responsabilità per un lavoro che, per la prima volta, vedeva assieme il padre e il figlio, il maestro e l’allievo. Confronto di idee e stili diversi, pareri, consigli, critiche.    In quell’esperienza si è cresciuti di più, ci si è conosciuti di più, e ci si è voluti più bene: ed è questo sicuramente il “più bel quadro” della nostra vita.   Grazie, papà.                                                    By Zio Piero.------------------------------------------------------------------------------------------------p.s. In quella frase della "battaglia contro se stesso"... ci si rispecchia molto anche il nipotino Sergio...