UN POLLO SALVATO

I 5 NO AGLI ALLEVAMENTI INTESIVI - di Gianluca Felicetti, responsabile LAV.


Uccidiamo - dopo averli imprigionati - miliardi di animali ogni anno, senza alcun reale bisogno, il consumo pro capite di alimenti di origine animale nei paesi occidentali è infatti troppo alto e rappresenta una delle cause dell'insorgenza di moltissime patologie. Solo per i consumi italiani di carne e pesce, ecco alcune cifre: animali di terra: 500 milioni di polli da carne; 40 milioni fra tacchini, faraone, anatre e oche; 10 milioni di conigli; 30 milioni di galline ovaiole non più produttive; 13 milioni di maiali; 4,5 milioni fra vitelli, manzi, vacche, bufali; 7,8 milioni di pecore e capre; 30 milioni di inutili pulcini maschi di razza ovaiola, soppressi alla nascita. 1. Allevamenti come prigioni Il 99% degli animali da cui si ricavano carne, latte, uova in Occidente sono chiusi in campi di concentramento - gli allevamenti intensivi. Anche quando le leggi vengono rispettate, gli spazi a disposizione sono appena sufficienti per girarsi, e talvolta nemmeno quello. Nemmeno i pesci vivono più liberi, prima della cattura. L'acquacoltura in spazi ristretti è un fenomeno in espansione in tutto il mondo. 2. La carne fa male, anche agli esseri umani Di fronte agli altri pericoli, il rischio Bse è nulla. La carne - ma anche il latte, le uova, il formaggio - provenienti dagli allevamenti intensivi accumulano residui di sostanze tossiche, presenti nella loro alimentazione o nei trattamenti farmaceutici. I pesci concentrano sostanze nocive - anche la diossina- presenti nelle acque inquinate. E comunque, anche quando "sani", i prodotti animali sono inadatti al consumo umano, per l'elevata presenza di grassi saturi e colesterolo. 3. Insostenibilità ambientale degli allevamenti Gli allevamenti industriali sono una delle maggiori minacce ambientali: per il depauperamento e l'inquinamento delle falde acquifere, le emissioni di gas serra, lo spreco di combustibile fossile. Fuori dalle stalle, gli animali allevati hanno provocato deforestazione e desertificazione di intere regioni, in diversi paesi del mondo. Anche gli scarti dei macelli inquinano! Quanto all'acquacoltura, sta rovinando gli ecosistemi costieri nel Sud-Est asiatico, in Centramerica, e perfino in Europa. 4. Carne e fame: ingiustizia alimentare e spreco di risorse Per dare carne, latte e uova gli allevamenti intensivi richiedono enormi quantità di alimenti vegetali: fino a venti volte il peso dell'alimento animale prodotto. Il 75% della soia e il 50% dei cereali prodotti nel mondo sono destinati agli animali, e spesso sono esportati dai paesi della fame...C'è una diretta concorrenza fra cibo per gli umani e cibo per gli animali. Il nostro pianeta non ha terre sufficienti per nutrire una popolazione umana di carnivori come gli occidentali. 5. Soldi pubblici al sistema zootecnico In Europa, la Politica agricola comunitaria (Pac) destina al settore zootecnico e al settore dei seminativi a uso zootecnico in totale quasi 40.000 miliardi l'anno! Sono soldi pubblici. Aumentano le concentrazioni nel settore: allevatori-colosso possiedono milioni di animali...Profitti per pochi, costi collettivi. Vacche e vitelli brucanti su verdi pascoli, galline razzolanti, maiali alla ricerca di ghiande, tutto ciò corrisponde alle loro esigenze naturali ma ormai nulla è più lontano dalla realtà per il 99% degli animali "da reddito", rinchiusi negli allevamenti intensivi. Fino agli anni 60, la carne in Europa era molto costosa: ai prezzi correnti una gallina sarebbe costata 50.000 lire. Ciò dipendeva dal fatto che il rapporto fra zootecnia e agricoltura era diretto. Tot cereali o foraggi coltivati in azienda, tot animali allevati. Ad un certo punto avviene il cambiamento, si impone in Europa il modello Usa: gli europei imparano che non serve essere agricoltori e avere terreni per allevare: basta un capannone. Nasce la produzione zootecnica industriale, interi settori della zootecnia tradizionale scompaiono, si riduce sempre più l'area dei pascoli e delle foraggere, aumenta il numero dei capi per azienda.