Siamo CITTADINI o ..

Che fine ha fatto il nostro PESCE????


 Il Mediterraneo è al collasso e l'unica possibilità, se vogliamo ancora portare del pesce in tavola, è l'acquacoltura. E' il quadro che emerge dal rapporto della Fao, l'ente delle Nazioni Unite per l'alimentazione, sui dati dei consumi ittici da allevamenti degli ultimi anni: nel 2006 il 47% dell'intero consumo mondiale giungeva dalle "fabbriche del pesce"; nel 2002 era 13,2%, e appena il 6% nel 1970.  Se tre anni fa, quasi la metà del pesce che finiva sulle nostre tavole risultava allevata, il trend è destinato a crescere. Come sottolinea l'organizzazione ecologista Oceana «La pesca eccessiva ha svuotato i mari europei, il 69% delle nostre riserve sono in via di esaurimento». E la risposta per soddisfare un mercato che non intende rinunciare a tonni, merluzzi e branzini è l'acquacoltura, il settore alimentare che più sta crescendo nel mondo. Affari d'oro Un esempio emblematico lo fornisce Pescanova, la più grande "fabbrica di pesce" del pianeta, situata al largo della costa del Portogallo: 3,5 km di mare aperto recintato, proprietà di una multinazionale spagnola. Qui, la produzione di rombi è stata di 3500 tonnellate quest'anno. L'anno prossimo saranno quasi mille. Nulla di male, se si trattasse solo di chiudere un occhio in materia di gusto e salubrità (alimentazione industriale e medicamenti non giovano alla qualità della carne). Purtroppo però, l'itticoltura comporta spesso dei danni ambientali altissimi. Il caso dei salmoni cileni Fino a qualche anno fa era impossibile trovare un salmone a sud dell'equatore, oggi il Cile è diventato il più grande produttore di salmone nel mondo. Arriva fresco sui banconi di tutto il mondo e viene messo in vendita a prezzi stracciati. Difficilmente il consumatore si chiede come ciò sia possibile, ma il costo della convenienza dei salmoni ricade altrove...  L'industria del salmone della zona di Puerto Montt (950 km a sud di Santiago), con i suoi 800 allevamenti, sta sconvolgendo tutto l'ecosistema dei fiordi cileni del Pacifico: al di sotto dei recinti che ospitano decine di milioni di pesci si adagiano i residui di cibo e feci, uno strato di poltiglia tossica che devasta i fondali. A questo si aggiungono i quintali di interiora scaricate direttamente nel mare dagli stabilimenti di  lavorazione.   Cosa possiamo fare?  Greenpeace ha pubblicato nei giorni scorsi la "Guida ai consumi ittici" per sapere quali pesci e prodotti ittici devono essere evitati. Nella lista rossa destinata al mercato italiano vi sono il tonno pinna gialla, il tonno rosso, il pesce spada, il merluzzo (importato come baccalà o stoccafisso) e i gamberoni tropicali. Date le condizioni generali della produzione ittica, non è invece possibile stilare una vera e propria "lista verde", per questo Greenpeace suggerisce una serie di principi da seguire per rendere il nostro consumo di pesce più sostenibile.