LIBRI MUSICA POESIA

IL RACCONTO "COME AQUILE" OTTIENE SEGNALAZIONE DI MERITO AL CONCORSO LETTERARIO "LE MONTAGNE IN NARRATIVA"


COMUNICO CON MIO IMMENSO PIACERE CHE IL RACCONTO "COME AQUILE" HA RICEVUTO UNA MENSIONE SPECIALE AL CONCORSO LETTERARIO "LE MONTAGNE IN NARRATIVA" INDETTO DAL CLUB ALPINO ITALIANO SEZ. VALTELLINESE. LA PREMIAZIONE SI E' SVOLTA A SONDRIO IN UNO SCENARIO MERAVIGLIOSO. COLGO L'OCCASIONE PER RINGRAZIARE TUTTI I PARTECIPANTI E SOPRATUTTO GLI ORGANIZZATORI DEL CONCORSO CHE HANNO FATTO UN LAVORO DAVVERO ENCOMIABILE. UN GRAZIE PARTICOLARE ALLA MIA GRANDE AMICA PATRIZIA.
COME  AQUILE
Alla vallata uno sguardo profondo e poi giù nel vuoto con un balzo deciso. Che il cielo fosse chiaro e lucente o che il vento fosse forte e impetuoso, le sue ali si aprivano ogni giorno alle correnti eoliche che scorrevano invisibili nell'atmosfera. Dal picco impervio dominava dal cielo, la terra sottostante. Occhi precisi, infallibili, che scrutavano ogni movimento, concentrati a cacciare. La neve aveva già fatto il suo corso. Già era caduta e già si era sciolta. Il sole timido di primavera adesso scaldava le ossa, che ancora una volta gioivano dopo il lungo e rigido inverno. Le distese lanose dei campi le aveva viste coprirsi di quella coltre gelida. Aveva dovuto volare in quelle bufere di vento e di ghiaccio, ad occhi semichiusi, con le ali ritratte accanto al corpo. Sola in mezzo alla natura crudele dell'inverno. Aveva passato giorni e giorni nella scanalatura del picco grande, in attesa di momenti di quiete, in attesa di giorni propizi alla sua fame. Adesso si apprestava, ancora una volta, come ogni anno, a spiccare il suo altissimo volo ed a lanciare il suo temuto grido di battaglia. Ad ali stese timonando in virate e picchiate, con la testa guardinga e fiera, passava in rassegna il suo territorio. Aveva riattivato il suo assetto da guerriera i suoi occhi lanciavano sguardi di disprezzo e di sfida, esprimendo quella rabbia, impersonata a guisa di minaccia. Era arrivata la primavera col sole tiepido e paziente, era arrivato il tempo della libertà, delle brevi correnti ascenzionali, delle lievi carezze delle brezze mattutine. Un'ombra scura che si muove sopra le gemme dell'erba fresca, si sposta in ampi giri concentrici e volteggia e plana. Al suo passaggio tutti gli occhi si sollevano verso l'azzurro del cielo assolato. Si accendono gli animi sotto l'impulso della paura, perdono la testa sotto di lei. Un coniglio lanoso intento a masticare i nuovi germogli, s'immobilizza, volta la testa e corre via, annientato dalla paura, è sperso e si allontana dal suo rifugio. Un cervo, con fierezza, smette il suo lento brucare e corre per unirsi al suo branco, lasciando che tutto accada lontano da lui. Un lupo che non si spaventa, ma rinuncia per un po al suo astuto cacciare e, spettatore di lusso, attende che il grosso rapace si serva prima di lui. Adesso che stringe nel becco possente e uncinato il membro più sciocco del suo popolino, si solleva nel cielo e aleggia silenziosa verso il picco grande, dove potrà finalmente placare la sua fame. Un coniglio grigio, innocente, l'insignificante figura di un ciclo naturale dove lui rappresenta solo la preda preferita e più facile. Ed è stato ancora lui a morire, a sacrificarsi per riportare la calma nella vallata. Per far riprendere la regolarità delle giornate. Per ridare il via al lento trascorrere del tempo che per un po sembrava essersi fermato sotto il prepotente influsso della paura. Il giorno stava piano, piano morendo sotto l'incalzare delle tenebre. L'orizzonte era infuocato dietro al picco grande, guardinga stava ancora là, stagliata contro gli ultimi raggi solari. La sua figura scura risaltava contro il vermiglio del cielo, il suo lungo becco uncinato si voltava ogni tanto, scrutando il suo regno che andava a dormire. L'avevano sorpresa le stelle. quella sera, e lei era là che pensava, la sua vita forse cominciava a pesarle, forse la sua libertà si stava trasformando in solitudine. Sfogliando col pensiero le vecchie primavere, tornavano alla mente infinità di prede e d'avventure. Crudeltà e soddisfazione si univano in un misto di fierezza e di sconforto, di appagamento e di pentimento. Mentre la notte arrivava ogni giorno più lenta. forse davvero adesso avrebbe voluto trovarsi in compagnia, magari con tutti gli abitanti della vallata a passare ore liete con loro. Sognava, sapeva che questo non era possibile, lei era la regina crudele e cosi sarebbe rimasta fino alla fine. Echeggiavano già nella valle gli insistenti cinguettii dei passerotti e lei era già piazzata sopra al suo piedistallo di pietra, pronta per un'altra giornata al comando della sua valle. Aveva guardato il sole scomparire e ora lo guardava riapparire, si era spento dietro di lei e lo vedeva adesso accendersi davanti, iniziando un'altro giorno. Adesso tutto si illuminava gradualmente, al lento salire del sole. La foresta diventava lucente, pronta ad ombreggiare il suolo, le rocce del picco si scaldavano sotto gli artigli aggrappati dell'aquila e la vallata prendeva vita nella gioia del giorno e della luce. Spiccò il volo con due possenti colpi d'ali poi le allargò e le stese, planò in un larghissimo giro, oltrepassò la foresta, giunse all'ingresso della vallata. Qui si soffermò, volteggiando in più stretti giri. Qualcosa si stava muovendo cautamente sopra al suo territorio. Veleggiando, librata in aria continuò a vigilare quell'animale. Camminava eretto sulle due gambe posteriori, mentre nelle due anteriori teneva stretto uno strano bastone. Incuriosita, si abbassò su di lui. Pur vedendola, l'animale non indietreggiò e non s'intimorì. L'aquila deviò, impresse potenza alle sue ali e timonò verso il suo rifugio. D'un tratto il silenzio venne squarciato da un tuono, l'aquila segui il rumore, alzò il capo all'orizzonte, ma non vide il temporale. Si volse allora indietro verso quell'intruso cosi spavaldo, vide il suo bastone fumante ed un passero cadere dalle fronde d'un faggio. Capi che quell'animale era più forte di lei, capi perché non aveva tremato nel vederla. Con il suo potente bastone avrebbe potuto raggiungerla anche lassù dove volava soltanto lei. Decisa a non arrendersi tanto facilmente, si rifugiò con uno strabattere d'ali nella scanalatura che le serviva da riparo nell'inverno. Cosi si accorse che era stata privata della libertà, che adesso non poteva più volare tranquilla e spensierata, si accorse che da predatrice era diventata una preda. Stava vivendo adesso quelle sensazione che lei stessa faceva vivere ogni giorno agli abitanti della sua valle. Ebbe disgusto per se stessa, si senti veramente crudele e decisamente prigioniera. Prigioniera di quella rivelazione che gli aveva fatto tanto male. Quella vita da cacciatrice che l'aveva fatta sentire libera, ora le si rivoltava contro, ora che qualcuno stava cacciando lei. Prese il suo migliore aspetto, la sua più grande determinazione, si disegnò sul volto un ghigno da guerriera e si lanciò in un volo alto e sicuro. Volò e planò sopra alla foresta, localizzò il nemico usurpatore e lo sfidò. Attese che questo impugnasse il suo bastone e lo indirizzasse verso di lei, poi si girò fulminea, cabrò con forza verso il cielo più in alto possibile. Finalmente senti tuonare ed attese. Non ce la faceva più a salire in alto, si fermò, si rese conto d'essere ancora viva. Aggrappata ad un filo di speranza e di coraggio, si buttò giù di lato e iniziò una picchiata vertiginosa verso il suo nemico, verso se stessa. Si trovò a ridosso degli alberi in un battibaleno, virò, schivò, colpi con decisione col suo becco affilato. Poi si rilevò in volo e si diresse verso il picco grande. Ferma sulla più alta roccia del picco, con il becco insanguinato. L'aquila si atteggiava fiera del suo coraggio. Inutilmente pentita del suo comportamento egoista e crudele. Doveva continuare a vivere fingendo, per conservare una reputazione conquistata rispettando i dogmi d'una vita. Ma il giorno ancora una volta si stava addormentando, il sole aveva deciso di morire ancora, l'ombra del picco aveva iniziato ad allungarsi sulla valle. Il tentativo di finire tutto in battaglia era fallito, il nuovo re non era poi tanto forte e scaltro. Ma l'aquila adesso sapeva di non essere lei, né la più forte, né la più libera, né la più sola, né la più crudele. E donato un ultimo sguardo al suo regno, si voltò verso il sole morente e gli volò incontro, sfumando in una linea scura dentro il vermiglio orizzonte.