Gameness

E l'uomo incontrò il cane...


Come si sa, al Mesolitico si fa risalire la domesticazione del cane. Le teorie più accreditate, parlano di due possibili progenitori: lo sciacallo dorato ed il lupo.
In  verità, è ragionevole immaginare processi assimilabili di domesticazione in areali ed epoche diversi e partendo da canidi diversi.In ogni caso, pare abbastanza condivisa l’opinione relativa al ‘come’ più di quelle su ‘dove’ e ‘chi’, riguardo al processo di domesticazione. K. Lorenz ne dà una bella suggestione nelle prime, romanzate pagine di “E l’uomo incontrò il cane”, manuale divulgativo d’etologia per il resto decisamente superato (basta pensare a come, nella Vienna dei tempi della prima pubblicazione, i proprietari girassero con il frustino per tenere a bada i loro Deutsche Schäferhunde…), almeno per quanto riguarda la ‘sensibilità’ nell’approcciarsi all’animale ‘canis lupus familiaris’ da un punto di vista della convivenza.È opinione condivisa che il rapporto uomo-cane nasca sulla base di un reciproco vantaggio: i proto-cani offrivano un ‘servizio di vigilanza’ avvertendo gli uomini dell’approssimarsi agli accampamenti di animali pericolosi o di altri gruppi di ominidi, abbaiando o ululando; per parte loro, gli uomini, probabilmente ricompensavano tali servigi ed incentivavano la presenza dei canidi attorno agli accampamenti lasciando loro libero accesso a carogne ed avanzi dei loro pasti.Un'altra utile collaborazione era probabilmente data dalla propensione dei canidi a seguire gli animali usualmente predati dagli uomini (e delle spoglie delle quali si cibavano in seguito) indicando in tal modo agli uomini le tracce della selvaggina.Quindi (è utile sottolinearlo), dieci, dodicimila anni fa, il rapporto uomo-cane nasceva su due basi: reciproca indipendenza e legame dovuto solo ed occasionalmente a reciproci vantaggi.Come dire: una collaborazione paritaria.L’evoluzione del rapporto fu probabilmente improntata ad una presa di coscienza via via sempre più profonda da parte dell’uomo degli svariati ambiti nei quali i proto-cani avrebbero potuto rendergli utili servigi.Al Mesolitico, infatti, in concomitanza della fine delle glaciazioni, risale il principio dell’inclinazione dell’uomo alla stanzialità, l’introduzione della agricoltura in vece (o ad integrazione) di un’alimentazione fondamentalmente basata sulla raccolta e dell’allevamento in vece della caccia. La stanzialità e l’arricchimento degli accampamenti con risorse importanti quali campi coltivati e capi di bestiame, chiaramente, rese ancora più prezioso l’ausilio di animali in grado di fare la guardia avvisando gli abitanti dell’accampamento di possibili predatori, su due o più zampe.È in questa fase che inizia l’addomesticamento vero e proprio, ovvero, partendo dalla raccolta di cuccioli nati in libertà, la riproduzione di soggetti in cattività, basando la selezione su una minore ritrosia nel rapporto con l’uomo (cioè caratteri di selvaticità meno marcati) e su altri caratteri aderenti alle necessità degli uomini di allora. Ecco quindi che il cane addomesticato comincia a distinguersi dal progenitore selvatico, ad esempio diventando un animale molto più sonoro (si sa che i lupi, ad esempio, abbaiano molto raramente), grazie ad una selezione che predilesse animali inclini ad abbaiare ad indicare presenza di estranei. Inoltre il cane diventa un animale molto meno schivo e meno timoroso di fronte alle variazioni e novità. Quest’ultimo aspetto, tipico del pedomorfismo neotenico si accompagna ad una modificazione anche fisica del cane domesticato. In esso, i caratteri fisici tipici del cucciolo rimangono anche in età adulta e così, caratteristiche fisiche e comportamentali del cucciolo cominciano a radicarsi nel DNA di animali ormai già per molti versi dissimili dai progenitori selvatici.Di pari passo con la specializzazione dell’uomo nelle sue varie attività, la possibilità di selezionare il cane, incrementata dalla minore selvaticità dell’animale ed anzi dalla maggiore confidenza nell’uomo, incentivò probabilmente fin da tali epoche remote la ricerca di animali che si distinguessero in particolari ruoli ed in capo a determinate richieste.In un certo senso, la selezione intesa come ‘riconoscimento di determinate attitudini nell’animale e ricerca di perpetuazione e consolidamento attraverso riproduzione ed incroci di soggetti che manifestassero le stesse attitudini’ deve essere stato un processo intuitivo e messo in pratica fin da tali remote epoche. Tuttavia, presumibilmente, per secoli e secoli il ‘cane domestico’ doveva essere di medio-piccola taglia (10-15 kg.) e fisionomia assimilabile a quella dei cani paria di oggi o del dingo.
Già ai tempi degli Assiri, tuttavia, è spesso riprodotto in rilievi e sculture un tipo di cane molossoide  che si ritiene sia il progenitore degli attuali mastini e che a sua volta pare derivasse da giganteschi molossi tibetani, che attraverso Nepal, Cina ed India giunsero in Egitto, di qui in Grecia ed infine portò al canis pugnax romano.
Da notare che tutta questa lunghissima (anche sul piano temporale) successione di animali mette in luce un ‘tipo’ fisico già molto differente dagli originari progenitori (sciacallo e lupo). A mio parere è difficile pensare ad una uniformità tale da parlare di ‘razze’ in tempi così remoti, nonostante alcune raffigurazioni possano far pensare a certa omogeneità, almeno in un dato contesto temporale e geografico. Tuttavia, così come oggi noi raffigureremmo in un modo stereotipato un gatto se ci venisse richiesto di disegnarne uno, non sarebbe opportuno che un nostro discendente, tra mille anni ne desumesse che in quest’epoca esistevano sono gatti di fattezze simili ad europei e certosini.Infatti, in altre zone, il ‘tipo’ che sopravvisse e venne perpetuato era decisamente più vicino agli antenati selvatici. Ancora oggi, secondo la classificazione FCI (Fédération Cynologique Internazionale), il gruppo 5 (spitz and primitive types) raccoglie razze dall’aspetto decisamente lupino o simile ai paria.