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Razze e selezione oggi.


Tra ipocrisia e ignoranza, arroganza e superficialità - parte 1La storia della selezione delle razze è lunga e costellata di capitoli a volte avvincenti, a volte curiosi. La storia di nascita, sviluppo e selezione di alcune razze è avvincente quanto un romanzo (e, a titolo d’esempio, mi viene in mente l’avventura dei fratelli Nores e del dogo argentino), alcune sono di origini antichissime, altre anche molto recenti. In linea di massima, l’apice della selezione consapevole e fissata da standard di razza, si è avuto nel XIX e XX secolo. Attualmente la FCI riconosce circa trecento razze, originarie di varie regioni del globo. Esiste poi l’UKC (United Kennel Club), in un certo senso “l’antagonista” americano della FCI; di fatto, alcune razze (es., Bluetick Coonhound) sono riconosciute da UKC ma non da FCI. In ogni caso, un dato è valido e riscontrabile oggettivamente al di là di questi dettagli: al mondo esistono un’infinità di razze, dalle origini più o meno remote (in alcuni casi, sarebbe più opportuno dire “più o meno recenti”), prodotte dall’uomo con una selezione che si vorrebbe basata sulle leggi della genetica e della trasmissione ereditaria.Come dichiara molto chiaramente il titolo di questo messaggio, il mio obbiettivo è quello di dimostrare come l’esistenza di un gran numero di queste razze è oggi anacronistica, essendo venute a mancare le condizioni e circostanze per le quali essere furono create e selezionate e, parallelamente, dimostrerò come le peculiarità di molte razze, le loro attitudini specifiche siano, nel migliore dei casi, oggi sottoutilizzate, spesso con ricadute assai negative per l’equilibrio e la salute dei cani stessi.Dimostrerò, in buona sostanza, come sia facile oggi parlare di “cultura cinofila”, stante la larga volgarizzazione di tanti concetti e precetti, più o meno validi e condivisibili, ma quanto sia viceversa difficile toccarla con mano, quando, in realtà, il cane è ancora ritenuto un oggetto, una proprietà acquisibile (o poco più), nei fatti anche da chi grida ai quattro venti il suo amore per gli animali in senso lato e per il cane in particolare.Nell’affrontare questo argomento, mi rendo chiaramente conto della strenua resistenza che incontrerei se il mio interlocutore fosse un allevatore.Comincerò quindi con l’identificare tale attore nel processo di “produzione e distribuzione” dei cuccioli.Parlando dell’Italia, nel nostro Paese per essere allevatori dotati di affisso, ovvero riconosciuti dall’ente nazionale della cinofilia, è sufficiente avere dei soggetti riproduttori che hanno ottenuto positive valutazioni morfologiche e caratteriali, aver pagato un contributo (nemmeno molto alto) all’ente stesso per il rilascio dell’affisso e, in pochi semplici passi, si può vantare il riconoscimento dell’ente sulle riviste di cani, nella sezione della pubblicità.Un po’ tutto troppo semplice?Credo proprio di sì.Molte persone armate di buona volontà, suggeriscono a chi si volesse procurare un cucciolo di rivolgersi solo “ad allevamenti seri e riconosciuti”. Ora, penso sia chiaro a chiunque come la serietà dell’allevatore sia una dote non certificabile da ente nazionale della cinofilia né da nessun altro ente. In secondo luogo, si vuole far credere che buona parte dei migliori allevamenti (“migliori” perché “riconosciuti”) abbiano il motore della loro attività nella passione per la razza (o razze, poiché non è raro trovare allevamenti che sfornino cucciolate di due, tre, anche quattro e più razze…) che allevano. Questo è semplicemente falso. La passione nell’allevamento cinofilo, oggi, fatte le debite proporzioni, ha probabilmente lo stesso peso della passione per il gioco del calcio nelle stanze del potere della Lega Calcio. La verità è che l’allevamento cinofilo oggi è un business, con un giro di proventi non indifferente e la natura commerciale di queste imprese è evidente e sufficientemente dimostrata dal ricorso alla pubblicità (…la cara vecchia anima del commercio), particolarmente sulla stampa di settore.Un’ottima prova per discriminare un allevatore per lucro da un allevatore coscienzioso ed animato da vera passione cinofila, sarebbe semplicemente riportargli un cucciolo acquistato da lui chiedendogli di riprenderselo (è un esempio molto calzante portato da Patricia B. McConnell): è abbastanza ovvio quale atteggiamento ci si possa aspettare dall’uno e dall’altro, al di là del “legittimo diritto di recesso dell’acquirente”.Purtroppo, un largo commercio di cuccioli viene portato avanti nei negozi di articoli per animali (ai quali, a mio parere, dovrebbe essere assolutamente vietato detenere e vendere animali).