Post n°11309 pubblicato il
20 Aprile 2025 da
childchild
Lei Si Sollevò Senza La Fanfara – Di SiriusB
Era una notte che puzzava di sale, rame e del lento marcire delle vecchie corde. Il cielo era basso, greve di tempesta e premeva come una mano che cercasse di soffocare l’oceano. Ero curvo sul diario di bordo, l’inchiostro che colava di traverso mentre il ponte si piegava sotto di me, la pioggia che martellava le assi come tamburi di guerra provenienti dagli abissi.
Eravamo due navi piene e pesanti, cariche di merci provenienti da Taipei. Barili di zenzero e cardamomo. Tessuti intrecciati con fili d’oro. Casse piene di monete d’argento, patate del Nuovo Mondo avvolte nella tela, antichi peperoni marinati in salamoia, semi che profumavano come la rinascita dei giardini dimenticati. Spezie così intense che il loro profumo aleggiava nei corridoi sottocoperta: dolce, pungente, esotico. Il tipo di carico per cui i re avrebbero dato il sangue.
Avevamo scaricato metà dei nostri cannoni giorni prima, per evitare di trascinarci attraverso la calma piatta. Le riserve di polvere da sparo erano semi inzuppate. Indifesi ma veloci. Cavalcavamo gli alisei a vele spiegate, pregando che il vento tenesse.
E poi arrivarono loro.
Tre di loro: galeoni lunghi e snelli che fendevano la cortina di pioggia come coltelli. Nessuna lanterna. Nessun colpo d’avvertimento. Proprio lì. Muovendosi veloci, troppo veloci, come se fossero sfuggiti da una tasca laterale del Tempo. Le loro bandiere sventolavano al vento: sporche, sbiadite, inconfondibili.
Serpenti attorcigliati che si divoravano, gli uroboro contorti degli alveari parassiti. Simboli degli spazzini della Prima Ondata, bastardi nati negli alveari che si nutrivano dei resti della caduta della Tartaria.
Non inseguivano l’oro. Cercavano l’essenza. Il potere.
Il ponte puzzava di paura: legno bagnato, agrumi bruciati, il freddo odore del ferro delle lame che gli uomini impugnavano e che speravano di non sguainare mai.
Poi il suono. Un tonfo profondo e lento ha riecheggiato attraverso lo scafo: non un impatto, non un cannone. Qualcosa di più antico. Più grande. Come se il mare avesse spostato il suo peso.
Lei si sollevò senza la fanfara.
Una piovra gigante. La stessa giovane che avevo salvato trent’anni prima al largo delle coste del Cile meridionale, quando era solo un ammasso di tentacoli e meraviglie, non molto più grande di una scialuppa di salvataggio. Ma ora? Era immensa. Non scolpita dagli abissi, no, era grassa grazie alle battute di pesca alle sardine, la pelle lucida di salute e potenza. Enorme sì, ma nemmeno lontanamente adulta. Ci vogliono due secoli perché raggiungano le loro vere dimensioni e possono vivere quasi mille anni se l’oceano lo permette.
Non era un mostro. Era una figlia del mare e il mare ama i suoi simili.
I suoi massicci tentacoli rompevano l’acqua con la grazia di una danzatrice lenta e ponderata. Una spinta, due: ha spinto il nostro scafo di lato attraverso le onde, lontano dalla trappola. I suoi tentacoli hanno schiaffeggiato i galeoni dei pirati, come una madre che scaccia le mosche. Il suono – dio, il suono – era come di alberi che si spezzavano sott’acqua, come di ossa che si spezzavano sotto secoli di pressione.
Gli spruzzi del mare mi hanno colpito il viso, taglienti per il sale e il petrolio. Il cielo si è illuminato per un istante, un lampo che ne dipingeva la sagoma d’argento. Ho sentito l’odore di pesce, di alghe secolari, il sapore ferroso della pressione profonda che emergeva. Il suo sguardo ha incontrato il mio: un globo liscio, enorme e calmo. Ricordava.
E poi è tornata sul fondo, liscia e silenziosa, di nuovo nel buio.
Andavamo alla deriva, poi le vele hanno ripreso fiato. I galeoni dietro di noi erano lacerati, fumanti, morenti. La pioggia si è attenuata. Il vento era cambiato.
L’oceano è come l’Astrale. Uno specchio. Un ciclo di ricordi. Ciò che accade nell’uno riecheggia nell’altro.
Il Tempo non è lineare qui fuori: si avvolge, si ripete, ripaga vecchi debiti con una strana valuta. Ci sono molti mostri nel mare. Ma non tutti sono nemici.
Alcuni sono osservatori. Altri sono vecchi amici. E alcuni sono il sangue stesso del mare: bestie nate non per distruggere ma per proteggere ciò che conta. Molti sono Angeli.
Nelle notti a venire, avremo bisogno di loro. Di ognuno di loro. L’oceano ricorda.
Anche noi dobbiamo farlo.
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