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Riparte GEOPOLITICANDO!!

Post n°22 pubblicato il 16 Settembre 2012 da geopoliticando

Sapete che vi dico, ho voglia di far ripartire il blog, le primavere arabe, le rivolte antiamericane, l'interesse nazionale italiano...lo richoedono... a tra pochi giorni!!

 
 
 

Post N° 21

Post n°21 pubblicato il 14 Giugno 2007 da geopoliticando

SCUDO SPAZIALE AMERICANO NELL'EUROPA DELL'EST. A COSA MIRA LA CONTROPROPOSTA DEL PRESIDENTE RUSSO PUTIN?

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Argomenti (tags) dell'articolo:

   RUSSIA 2    STATI UNITI D'AMERICA 2

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Nelle settimane scorse non sono mancate forti diatribe tra americani e russi sullo scudo spaziale che i primi vorrebbero installare in Polonia e nella Repubblica Ceca.

In cosa consiste lo scudo spaziale proposto dagli americani?

Il piano iniziale americano prevede l'installazione di una base radar nella Repubblica Ceca e di dieci intercettori in Polonia.

Gli intercettori sono dei missili che andrebbero a colpire eventuali altri missili lanciati dal nemico.

 Non c’è altro sostanzialmente.

Putin ha preso molto male questa proposta minacciando di far puntare i missili russi verso l’Europa e altre amenità del genere.

Fin dall’inizio è sembrata strana una diatriba così violenta, viste anche le continue rassicurazioni americane sul fatto che lo scudo non doveva essere in alcun modo considerato una minaccia verso la Russia.

Chi sospettava che Putin mirasse a qualcos’altro ha avuto ragione.

Infatti il Presidente russo ha fatto una controproposta:

  • installare uno degli elementi del sistema anti-missile in una base, ex sovietica, già esistente nell'Azerbaigian.

A che mira Putin?

Secondo Geopoliticando, i motivi sono due, integrabili in un soltanto:

I russi hanno bisogno di mostrare i muscoli non solo agli occidentali ma anche verso quelle aree dell’ex unione sovietica o ex satelliti dell’unione sovietica che ancora non sono entrate nell’orbita Nato/occidente. La partecipazione allo scudo spaziale americano, da parte della Russia (l’Azerbaigian è pienamente nell’orbita di Mosca) è un segnale forte verso tutti i Paesi dell’area.

Ed è anche un segnale forte (ed ecco il secondo integrabile motivo) verso gli USA.

Il messaggio è chiaro: “fino in Polonia e in Repubblica Ceca, ci siete arrivati, il Caucaso è roba nostra!”

E l’Italia?

D’Alema non ha compreso questo progetto e si è schierato in modo solidale con Putin quando minacciava di puntare i suoi missili verso di noi, affermando che i negoziati bilaterali tra USA e Polonia e Repubblica Ceca erano “irrituali”.

Gli atteggiamenti "ideologici" del nostro Ministro degli Esteri hanno fatto si che i russi, che miravano ad altro, sono indifferenti a questa forzata solidarietà e i nostri rapporti con gli americani ne escono ulteriormente indeboliti.

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Post N° 20

Post n°20 pubblicato il 12 Giugno 2007 da geopoliticando

SCONTRI TRA AL FATAH ED HAMAS. DIVERSE SENSIBILITA' DI ISRAELE ED IRAN

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 immagine PALESTINA 7  immagine ISRAELE 6  IRAN 5

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Sempre più gravi gli scontri tra Al Fatah ed Hamas e soprattutto gravi sembrano le conseguenze:

la più importante al momento è l'annuncio del ritiro dei ministri di Al Fatah dal Governo di unità nazionale fino a che gli scontri non termineranno.

Il leader di Al Fatah e Presidente dell’Autrità palestinese, Abu Mazen, ha accusato Hamas di stare tentando un colpo di stato.

Le domande che occorre porsi ogni qual volta vi sia una recrudescenza di violenza nei territori palestinesi, in questo caso nella striscia di Gaza, è chi abbia maggiore convenienza a che ciò accada.

  • Iran, certamente il maggiore responsabile della mancata ragionevolezza di Hamas, che si concretizza non solo nelle violenze di questi giorni ma nel mancato riconoscimento, da parte del movimento palestinese, dell’esistenza di Israele. Il nostro ministro degli esteri d’Alema, che ha ormai dimostrato in più circostanze una certa impreparazione in argomenti internazionali, sosteneva in occasione dell’accordo di Hamas ed Al Fatah che quella era la priorità e che il riconoscimento di Israele sarebbe venuto. Invece non è così, senza riconoscimento di Israele Hamas non può essere considerato un movimento legittimato a trattare con la comunità internazionale da pari a pari. Certo, non vanno chiuse tutte le porte ma occorre far passare il concetto che il movimento venga appena tollerato fintanto manchi il riconoscimento di Israele. In ogni caso, come si diceva, è all’Iran che occorre guardare per trovare il maggiore responsabile dell’attuale situazione di tensione, quell’Iran terrorizzato che il Piano di Pace saudita, dal quale è partito il precedente accordo tra Hamas ed Al Fatah, possa avere successo. In questo caso il ruolo geopolitico dell’Iran (sciita) sarebbe destinato a perdere fortemente quota a favore dell’odiata Arabia Saudita (sunnita). Questa visione è pienamente confermata anche dalla stessa Al Fatah, per mezzo del proprio portavoce, Maher Miqdad, che ha ufficialmente accusato, ad una radio palestinese, l’Iran di essere dietro il riacutizzarsi degli scontri fratricidi e che la volontà sarebbe quella di una vero e proprio tentativo di pulizia etnica (a favore di Hamas contro Al Fatah) nei territori (Jerusalem Post, 12 giugno 2007).

  • Israele: non nascondiamoci dietro un dito, difficile pensare che gli Israeliani sotto sotto non godano di questa situazione ma certamente non ne sono significativi responsabili. Ovvio che Israele tenti di approfittare della situazione spingendo per la presenza di una forza internazionale nella striscia di Gaza, come possiamo leggere nell’intervista del Premier Olmert al Jerusalem Post del 12 giugno. Il Premier ha affermato che sarebbe utile la presenza di forze internazionali nella striscia di Gaza. In questo caso l’obiettivo sarebbe principalmente quello di bloccare l’illegale traffico di armi che arriva dall’Egitto a favore soprattutto di Hamas, armi poi utilizzate contro Israele (o contro Al Fatah in questo caso). Questa mossa non era scontata, infatti Olmert si è già preso le critiche feroci di chi non vede di buon occhio le truppe internazionali di pace. Non dimentichiamo che per intervenire l’ONU richiede, come regola generale, un certo consenso di tutte le parti in lotta, consenso che Hamas non darà mai. Israele potrebbe quindi ottenere l’obiettivo di far diminuire fortemente l’immagine internazionale di Hamas, immagine che crollerebbe in caso di risposta negativa priva di motivazioni sostanziali.

Morale della favola, solo una fortissima pressione dei Paesi Arabi, in primis l’Arabia Saudita, potrà convincere Hamas che quella violenta è una scelta senza via d’uscita che oltretutto rafforza, nell’immediato, l’odiata Israele. Un eventuale mancato rientro dei ministri di Al Fatah sarebbe un segno molto negativo, riteniamo che un rientro vi sarà ma che senza un intervento politico serio che cerchi di isolare maggiormente l’Iran ricadute violente saranno all’ordine del giorno.

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Post N° 19

Post n°19 pubblicato il 05 Giugno 2007 da geopoliticando

SU COSA SI BASA LA STRATEGIA INTERNAZIONALE CINESE?

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immagine CINA 4

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di Orson

 

Sono quattro le direttrici dell’espansione cinese sullo scacchiere delle relazioni internazionali; stabilità politica, penetrazione economia e sicurezza nell’approvvigionamento energetico che corrispondono in parte alla realtà geografica ed alle caratteristiche economiche delle aree d’interesse, Asia, Occidente, Africa, più una variabile comune a tutte le regioni d’interesse che è l’aspetto demografico-migratorio.

Per quel che riguarda l’Asia i cinesi perseguono una strategia di integrazione politica volta ad accentuare il ruolo di potenza regionale e ad assicurare un contesto pacifico per la repubblica popolare cinese in un’area strategica. Non è solo la prossimità  geografica ad interessare  il governo di Pechino: è infatti in atto uno spostamento del peso politico-economico dall’area atlantica all’area del Pacifico. Sottolinea il Wall Street Journal come oltre ¼  delle posizioni di alto profilo nel mercato del lavoro si stia spostando  dalla East Coast (New York) alla area del pacifico con in testa Hong Kong e Shanghai. L’International Herald Tribune sottolinea come si sta assistendo ad una caduta della metropoli americana simile a quanto avvenne nella Venezia lontana dalle rotte centrali dell’economia mondiale dopo la scoperta dell’America. La Cina è per ragioni storiche e geografiche il centro del nuovo mondo e ha intenzione di gestirne il successo in un quadro, al meno per il momento, di pace internazionale.

In Europa e negli Stati Uniti i cinesi vengono a fare shopping. L’enorme liquidità data da un’incredibile aumento dell’export legato al ruolo centrale negli scambi di prodotti a basso costo e ad un’espansione nelle quote di mercato in settori ad alto valore aggiunto trova un naturale sfogo nei settori immobiliare, finanziario e nelle attività produttive europee e americane. Identificate e mappate le forze del sistema economico europeo come il settore immobiliare, piccole e medie imprese, alto valore delle risorse umane, innovazione ed aspetti culturali e di quello americano con finanza e ICT in prima fila, i cinesi puntano a penetrare gli attori mondiali su terreni a loro congeniali e con la forza dei soldi. In Italia per esempio i Cinesi puntano dalla logistica alla realtà del tessile, non solo insediandosi e operando in distretti industriali strategici ma anche con joint-venture con primarie società; l’interesse alla logistica con le ultime manifestazioni di interesse della COSCO per il porto di Trieste sono per fare alcuni esempi alcuni degli interessi cinesi nel nostro paese. Negli Stati  Uniti il discorso è invece spostato sul settore finanziario: dopo essere diventati i primi creditori della tigre di carta i cinesi puntano a Wall Street; significativo in questo senso la scalata ad uno dei più importanti fondi d’investimento d’olteroceano (inteso come Pacifico e non come Atlantico). La società governativa cinese States Investement ha investito 3  miliardi di dollari nel fondo d'investimento americano Blackstone: un'operazione, questa, che conferma la  volontà cinese di penetrare finanziariamente non solo il settore pubblico americano, ma è indice del desiderio di sbarcare nel cuore stesso dell’economia americana.

Come in passato per l’Europa e più tardi per gli Stati Uniti, l’Africa, seppur sembra lasciata a se stessa, è centrale nelle strategie di espansione delle grandi macroaree geoeconomiche. L’enorme disponibilità di risorse naturali fanno si che l’ultimo dei continenti sia sempre all’interno di strategie d’espansione. Come in passato la risorsa lavoro africana sotto forma di schiavitù ha rappresentato una fonte centrale nell’espansione economica americana oggi le risorse naturali di buona parte delle nazioni africane rappresentano un gasolio  per i motori della crescita cinese. Gli incontri sempre più frequenti, non ultimo quello fra i rappresentanti di 48 nazioni africane e le autorità cinesi sotto lo sguardo compiaciuto della Banca per lo Sviluppo Africano del mese scorso, fanno si che lo scambio più o meno equo fra le due realtà vada sempre più rafforzandosi. Due le direttrici: aiuti economici, legittimità per ogni tipo di gestione politica del continente, (che include una politica di non interventismo da parte di Pechino) e prodotti a basso costo per la popolazione da un lato, e risorse energetiche e possibilità di influenza per la Cina dall’altro.

L’ultimo e probabilmente il più importante degli elementi della strategia internazionale di Pechino è quello legato ai movimenti demografici e migratori dei cinesi. A facilitare la penetrazione geografica in giro per il mondo, dalle vicine filippine e Singapore agli USA passando per Italia e Madagascar, sono i numeri e le caratteristiche demografiche unite  alle politiche governative.

Ufficialmente i Cinesi nel Mondo sono poco più di 1 miliardo e trecento milioni. Nella realtà sono molti più, fra i cinesi della diaspora illegale, quella cioè di persone “che non esistono” e quelli presenti in madrepatria e mai dichiarati all’autorità per sfuggire alle strette regole del figlio unico,

pare che il numero totale superi agilmente il miliardo e mezzo. Numeri fondamentali per quanto riguarda gli aspetti strategico militari (l’esercito più numeroso del mondo), di influenza sull’estero (diritto di voto ed influenza economica in molti paesi, specialmente in Asia), in termini di rimesse (oggi all’1% del PIL). In tutto uno è il vero motivo di preoccupazione è il numero di donne per uomo. In Cina ad  oggi ci sono 116 uomini ogni cento donne, elemento che con i numeri cinesi spaventa. E’ una verità che le società in cui il numero degli uomini eccede in maniera considerevole il numero delle donne sono tendenzialmente più aggressive. Su questo punto si gioca buona parte dell’opzione guerra /pace in Cina: può essere facile per un sistema autoritario rivolgere questa aggressività verso l’esterno per mantenere l’ordine interno, ma cosa conviene alla Cina delle interrelazioni economiche, della pace per il progresso, la guerra o la pace?

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