GF delle ArabeFelici

infinito


Questo racconto, essendo un po' più lungo di tutti gli altri...ho deciso di pubblicarlo a puntate. L'ho scritto di getto, proprio adesso...ditemi che ve ne pare;)
Un giorno di circa tre mesi fa, fui colto da un’angoscia indescrivibile. Mi sembrava di impazzire dalla voglia di evasione. Avrei avuto bisogno di un viaggio, lungo e lontano…un viaggio che, come tutti i viaggi spirituali, non sarebbe servito solo per fuggire da qualcosa o da qualcuno ma, anche e soprattutto, per effettuare una ricerca interiore che solo lontano dalle cose che conosci a menadito può riuscirti. Non avendo però a disposizione abbastanza soldi, dovetti accontentarmi di qualcosa di molto più banale. Presi l’auto, i miei risparmi e mi fiondai in un negozio di articoli sportivi…con 80 euro acquistai un bel paio di pattini in linea. Quel giorno pioveva ma non mi scoraggiai: li misi ai piedi e pattinai per circa due ore, senza avere idea di dove andare e senza curarmi della pioggia che in breve mi aveva infradiciato i vestiti, né degli sguardi un po’ straniti delle persone o del fatto che potessi prendermi una polmonite. La prima cosa che potreste pensare è: vabè, bravo il pirla; alla fine volevi riprodurre la classica scena da film dove lui, solo e con il cuore a pezzi, se ne va passeggiando sotto la pioggia impietosa. Immagine trita e ritrita, utilizzata in migliaia di romanzi e di pellicole che parlano di storie d’amore finite male. Ammetto che, all’epoca, avevo l’animo straziato da una lei, la classica lei che ferisce i tuoi sentimenti, che ti abbandona e che ti dice, fredda come il ghiaccio, dopo aver condiviso con te un oceano di emozioni: “Mi dispiace, non ti amo più”. Tuttavia, quella mia pattinata “under the rain”, non rappresentò un modo per rendere cinematograficamente scontata la pena d’amore di un ragazzo sentimentale e ancora innamorato. Quel gesto servì a farmi sentire libero; libero dal tempo, dall’ombrello, dal giorno e dalla notte, dalle prediche dei miei, dai consigli degli amici, dagli esami all’università e dalla voglia di non prendermi la polmonite. Quell’episodio, rappresentò l’appagamento del mio bisogno di tensione verso l’infinito. Ero arrivato a sentirmi così schiacciato dalle dimensioni spazio-temporali, da aver bisogno di spaccarle e di illudermi, almeno per un po’, che non esistessero. Pensavo agli orologi, ai calendari, alle batterie che si scaricavano, ai pacchetti di gomme che finivano, al serbatoio della mia moto che si svuotava, alle date degli esami che si avvicinavano, al ciclo lunare, al petrolio che si stava esaurendo; persino all’aria che respiravo e mi sentivo così schiavo del tempo, delle cose che finivano e della vita stessa che mi sembrava sul serio di andar fuori di testa. Del resto il tempo nessuno lo può fermare, il tempo passa dall’inizio dei tempi…e allora?! Perché, all’improvviso, vedevo me e il mondo così schiavi delle scadenze?!