Ghè1

RITORNO A CASA DOPO INCONTRO CON MAMMA EBE


Facemmo ritorno a casa la sera stessa, ma, un’altra cosa ho da ricordare di quel viaggio: il ragazzo paralitico, non appena salito in pulman, incominciò a parlare in aramaico! Certo, nessuno di noi lo capiva, ma quello di cui molti di noi erano certi era che quella lingua era quella stessa parlata da Gesù. Eppure quel ragazzo non era mai uscito dalla sua cittadina, tantomeno aveva mai studiato lingue ed, ancor meno, l’aramaico, poiché aveva un’istruzione scolastica media. Altro non ricordo.Dopo quel viaggio passò un po’ di tempo. Un mattino, mentre mi trovavo in cucina a fare colazione, mi si presentò mio fratello R., che mi disse: ”Ugo, ha detto la Mamma Ebe perché non vieni a studiare a San Baronto?” A quelle parole restai come preso di sorpresa! E si che era quasi un anno e più che non davo un esame ed ero fermo su quello vastissimo di Patologia Medica, anche perché, proprio in quell’anno, era finito, senza quasi un motivo, uno splendido rapporto durato quasi sette  anni. Ero, in effetti, in piena crisi esistenziale, anche se non avevo ancora toccato il fondo, cosa che si sarebbe verificata da lì a pochi mesi, dopo la morte di un carissimo mio zio, Orazio, che ogni anno, essendo senza figli, mi aveva sempre ospitato per tutti i mesi estivi, cosa che, per periodi molto più brevi, faceva anche con altri suoi nipoti. Era uno zio dal cuore d’oro, come lo era, del resto, anche sua moglie Assuntina, sorella maggiore di mio padre. Erano pieni di soldi e di proprietà ma affatto attaccati a queste cose. Privi di figli, perché non ne erano venuti, ma con una casetta con tanta pace e sempre piena di parenti, nipoti, che non partivano da lì senza prima che la zia avesse riempito di vettovaglie il bagagliaio della propria macchina!Ritornando a quell’invito fattomi da Mamma Ebe attraverso mio fratello J., la mia risposta fu immediata ed impulsiva: ”No, io lì, in cima a quelle montagne, non ci andrò mai!” Ed J., di rimando, rispose: ”Eppure, ha detto la Mamma Ebe che, tra un anno, tu sarai lì!”A tali parole mi sentii come sfidato, io, che ero ancora dedito ad una vita alquanto libertina, oltre che allo studio, che del resto non andava più come all’inizio. Ed a questa “sfida” mi venne da rispondere: ”Se è volontà di Dio, tra un anno sarò lì! Ma se non è volontà di Dio, io lì, in cima a quelle montagne, non ci verrò mai, nemmeno morto!”J., intanto, dopo aver sostenuto l’Esame di Stato, aveva deciso di entrare nella Comunità di Mamma Ebe. Era il 1978. Nel frattempo mi ero trasferito da mia zia, a Termini di Massalubrense, estrema punta della Penisola Sorrentina, a cavallo tra il Golfo di Napoli e quello di Salerno. Mi ero trasferito da mia zia, Assuntina Abate, che, proprio allora aveva perso suo marito, il Maresciallo Maggiore dei Carabinieri in pensione Orazio Balsamo. Morto lo zio, ella mi aveva chiesto di andare ad abitare da lei, che mi aveva sempre tenuto come un figlio. In effetti lei era per me come una seconda mamma!Lì, a Termini, avevo incontrato i miei vecchi amici d’infanzia e me ne ero fatti anche di nuovi. Frequentavo la scuola di Teatro, a Sorrento, ma, a riprendere a studiare medicina, non se ne parlava nemmeno lontanamente!Eppure, non mi mancava proprio nulla! Soldi ne avevo quanti ne volevo, libertà, tutto e ragazze a volontà, pur non riuscendo più ad innamorarmi, nemmeno della più simpatica e disponibile tra esse!Un giorno di fine Primavera del 1979, mentre ero in camera da letto, dove ammiravo, come in quadro di Paradiso, lo splendido panorama dell’isola di Capri e dei suoi Faraglioni, baciati dal sole e lambiti dal verde mare, avevo, aperto tra le mani, uno dei quattro tomi di Patologia Medica. Ma non riuscivo a concentrarmi. Tutto era sempre fermo! D’un tratto, un pensiero orribile mi ha sfiorato il cervello: il suicidio! Mia zia era ignara di tutto. Per lei la mia vita era tutta rose e fiori.Eppure…lei, felice di vivere con me, che mi aveva sempre tenuto come un figlio e mi trattava come un figlio. Io, invece, ero nell’Inferno!Per un attimo provai la sensazione del baratro ma, d’un colpo, un altro pensiero altrettanto forte, ma positivo, si sovrappose al primo e prese il posto di questo: ”Solo Mamma Ebe mi può salvare!”I giorni che seguirono passarono veloci. Mi misi in contatto telefonico con S. Baronto e presi un appuntamento per incontrare Mamma Ebe, a Roma, un Sabato. Non ne feci parola alcuna con mia zia, che continuava ad essere ignara di tutto.Partii, dunque, da Termini, un Sabato di mattina presto, dicendo a mia zia che mi recavo in gita a Roma e che sarei ritornato la sera di quello stesso giorno. E così fu.Giunto a Sacrofano, incontrai Mamma Ebe, che mi accolse con la sua solita semplicità austera. Le parlai e lei mi disse che, se volevo, potevo stare con lei il Sabato successivo ed avrei potuto seguirla nella visita agli ammalati. Detto fatto! La sera fui di ritorno a Termini. Mia zia sembrava come se intuisse qualcosa e mi fece delle domande, alle quali rispondevo evasivamente, per non farle capire nulla. Il Sabato successivo ripartii alla volta di Roma, e, giuntovi che fui, la Mamma mi fece portare subito un camice bianco e mi disse di seguirla nelle stanze ove stavano in attesa gli ammalati.Tutto il giorno lo trascorsi così, dalle nove del mattino alle ventitré, io, con una breve pausa per il pranzo, lei nemmeno questa, ma solo un buon caffè ogni tanto, dopo qualche boccone di un  panino al prosciutto! E fu così per altri due Sabati successivi.In quei pochi incontri maturarono in me due sentimenti: il primo, quello di riprendere gli studi di Medicina; il secondo, un amore particolare verso gli ammalati e le persone bisognose tutte.