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TRAGEDIA NELLA TEMPESTA (tratto dal capitolo: il marito di Eleonora)


Il 1938 stava per andarsene, ma Scirocco e Levante, furiosi, gonfiando e spezzando la tempesta marina, sprigionavano continui effluvi di penetrante salsedine e non davano scampo, neanche a coloro che avevano cercato rifugio nei luoghi più reconditi del villaggio. Come enormi dita ricurve, ondate forza nove, ghermivano il litorale e si abbattevano rotonde, scagliandosi e frantumandosi sulla grigia tastiera, in scale sempre maggiori di schizzi, proiettandosi in avanti e ricomponendosi in una lunga marea. Esaurita la forza ascendente e laterale, tornavano indietro diritte e basse e falciavano le successive. Invece, le onde sole, altissime e veloci, scavalcavano agevolmente il muro, rovesciando sulla strada tonnellate di terra. La furia devastatrice si alimentava, all’interno di quelle pluralità di frullatori, grazie ad un regista fantasioso, avvolgendo pietre e sabbia in danze esotiche. Una linea tratteggiata più scura avanzava con il progredire della tempesta. In un angolo si era conservato, fino a sera inoltrata, un cocuzzolo di detriti su cui ardimentosi giovanotti si erano arrampicati per assistere, da vicino, allo spettacolo e vivere intensamente l’emozione provocata dall’acqua che li circondava e saliva saliva fino a lambire la punta più alta della collinetta. Risultati vani i tentativi delle persone  più anziane, un vecchio pescatore li aveva costretti a desistere dalla condotta imprudente in virtù di un azzeccato lancio di pietre. I ragazzacci, imprecando per il dolore e per l’umiliazione, a malincuore avevano abbandonato la postazione. Ed era stata la loro fortuna. Come previsto era arrivata un’ondata che aveva spazzato la roccaforte. Il risucchio violento, la decomposizione improvvisa di quella torre, i successivi assalti avrebbero potuto provocare conseguenze ben più gravi di un indesiderato bagno fuori stagione. Più a nord, lungo l’intero versante, muri di fanghiglia, trascinati dai torrenti ingrossati, scendevano rovinosamente, a valle, e andavano ad affrontare le onde marine in uno scontro epico, che di giorno si era colorato di marrone verdastro. Ora alla luce dei lampi accompagnati da scrosci d’acqua e tuoni, s’intravedevano masse nere che s’inseguivano e rimbalzavano l’una sull’altra.  All’interno della baracca, il lume a petrolio rischiarava le attività frenetiche dei due uomini che stavano preparando i bagagli. Zio Piero, temendo il verificarsi di eventi irreparabili, aveva ritenuto opportuno affrettare il momento della partenza. Si avvicinò alla finestra, scostò una tendina e guardando fuori commentò: “E’ una serata adatta alla fuga, nessuno con questo tempo oserà mettere il naso fuori, è una notte da lupi”. Tornò verso il centro della stanza. La porta si scosse come colpita da raffiche di sassi. Si guardarono negli occhi. “Sarà il vento” commentò Antonio. Lo zio abbassò la fiamma del lume e si avvicinò alla finestra, gettò uno sguardo di là del vetro. Buio fitto. Stava per ritirarsi, quando un lampo rischiarò il vialetto fino in fondo e così poté scorgere una macchina ferma con dentro una coppietta. Pensò che la serata fosse propizia anche per quei giovani. Il lampo aveva suscitato un fremito in Eleonora: “Arturo che ore sono?” “Un momento fa, mancavano cinque minuti alle venti. Puoi andare. Io ti seguo a distanza”. Eleonora si avviò e cominciò a chiamare: “Zio Piero, zio Piero sono Eleonora.”. L’uomo si affacciò.  Senza avvicinarsi, lei riprese in tono concitato. “Avvertite Antonio. Fatelo fuggire, perché altrimenti domani all’alba verranno e lo prenderanno”. L’ululato del vento disperdeva le parole: “Aspetta..”. “No, zio Piero, avvertite Antonio. Fatelo fuggire” “ Non andare, entra”. Mentre zio Piero insisteva, Antonio si affacciò alla finestra e cominciò a gridare: “Vattene, vattene donna schifosa, vattene se no ti uccido”. Imbracciò il fucile. Uno sparo poi un altro. Arturo si accasciò ai piedi d'Eleonora che cadde svenuta.