Il blog di Giovanni

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Breve storia della chiesa abbaziale parrocchiale di S.Francesco d'Assisi in Serravalle (Ferrara)

Post n°91 pubblicato il 05 Maggio 2021 da g.raminelli

La storia della chiesa di Serravalle, e del consolidarsi del nucleo abitativo della comunità, può farsi di certo risalire al momento in cui, al tramonto della presenza degli Estensi nel ducato ferrarese con la morte di Alfonso II, il conte Alessandro Pasqualetto Giglioli del fu Ottavio decise di costruire un oratorio dedicato al Poverello d’Assisi. In quell’epoca il territorio, con le famiglie ivi insediate, era soggetto ab immemorabili alla giurisdizione della diocesi di Adria e l’assistenza spirituale era garantita parte dai sacerdoti della parrocchia di Papozze e parte da quelli di Ariano nel Polesine. Il disagio più particolare della popolazione, per portarsi alle due sedi parrocchiali per soddisfare il precetto festivo o per l’adempimento di altre pratiche religiose, era enorme, ulteriormente accresciuto dalla impraticabilità delle strade in tempo di pioggia e, in generale, durante la stagione invernale, senza dimenticare le periodiche e pericolose piene del fiume Po. Si tentò di ovviare, in parte, alle difficoltà con il convogliare gli abitanti della zona poste in fronte all’abitato di Santa Maria in Punta (detta allora “del Traghetto”) a quella chiesa che, proprio in quegli anni, palesò d’essere insufficiente a contenere non solo gli abitanti locali ma anche quelli che costituivano la porzione serravallese.

Il Giglioli, erigendo l’oratorio di Serravalle, dotandolo di rendite abbastanza cospicue (parte delle decime di cui egli era stato investito dall’antica Abbazia di Gavello), nonché di suppellettili, ebbe l’indiscusso merito di aver favorito l’aggregazione comunitaria sia dal punto di vista religioso che sotto il profilo civile. Nel corso di una Sacra Visita Pastorale effettuata il 9 settembre 1603 si apprende che il sacro edificio era ancora da rifinire e carente pure di un campanile (quest’ultimo costruito addossato alla parete nord solo dopo il 1607). Proprio in quell’anno, più precisamente il 10 settembre, i conti Ippolito e Alfonso Giglioli, del fu Scipione, rappresentati dal Procuratore Domenico Vallarolo, ed eredi legittimi del fondatore, presentarono al Vescovo di Adria il Rev.do don Francesco Bonfioli della diocesi di Cervia perché venisse nominato Cappellano perpetuo. Secondo il testamento del fondatore il sacerdote avrebbe dovuto celebrare ogni settimana una santa messa per l’anima del fondatore e dei suoi defunti, come pure celebrare la santa messa in tutti i giorni di festa. L’atto di nomina del cappellano e la sua immissione "in forma solenne" nel possesso perpetuo dell'oratorio porta la data del lunedì 8 ottobre 1607.

A seguito della morte di don Bonfioli (il sacerdote fece testamento nel 1613 con atto di Gaspare Rasori, notaio di Ariano nel Polesine), i conti Giglioli nell’anno 1614 presentarono al vescovo di Adria, per la nomina a Cappellano perpetuo, il conte don Alfonso Giglioli. La nomina di un famigliare, nonostante questi non avesse mai celebrato nella chiesa di Serravalle (che era officiata da un sostituto; sappiamo, ad esempio, della presenza nel 1633 di don Domenico Motta.), consentiva il rientro nella casata degli introiti delle decime. Alfonso Giglioli seguì gli onori di una brillante carriera ecclesiastica giungendo ad alte cariche. Già nell'anno della sua nomina a Serravalle lo ritroviamo con il titolo di protonotario apostolico. Divenne quindi governatore di Camerino, ambasciatore del Pontefice in Firenze ed ebbe pure la nomina a vescovo di Anglona. Il suo nome figura nel Dizionario Biografico degli Italiani.

Deceduto mons. Alfonso Giglioli il 24 marzo 1630, trascorsero ben otto anni prima che venisse nominato per Serravalle un altro Cappellano perpetuo. Risale al 19 ottobre 1638 la redazione di un mandato di procura voluto dal conte Francesco Giglioli nella persona del Rev.do don Sperandio Rasi per la presentazione al Vescovo di Adria, e per la successiva nomina a Cappellano perpetuo, del conte don Giovanni Giglioli, figlio di Galeazzo. Don Giovanni Giglioli, in quell’epoca, deteneva già il titolo di Priore della chiesa di San Leonardo in Ferrara oltre a gestire interessi con il cardinale Antonio Barberini, perpetuo commendatario della chiesa di Santa Maria di Gavello, grazie ai cui buoni uffici ottenne con Breve Pontificio, dato in Roma presso la basilica di Santa Maria Maggiore del 15 maggio 1639 il titolo perpetuo di “Abbazia” alla chiesa di Serravalle e di “Abate” al sacerdote che vi venisse immesso.

Alla morte dell’Abate Giovanni, collocabile tra il 1665 e i primi mesi del 1666, con atto del notaio Alessio Tabarrini datato 23 agosto 1666 venne nominato Abate di Serravalle il canonico Decio de Quochi o Cocchi di Roma, il quale rinunciò alla prebenda in manu Sanctissimi.

In conseguenza di ciò, con rogito del notaio Domenico Nali datato 5 aprile 1684, venne eletto Abate il conte don Galeazzo Giglioli.

Alla morte del Giglioli, la Dataria di Roma conferì il titolo abbaziale al reverendo don Giuseppe Marsigli in data 30 gennaio 1694, già primo e perpetuo Rettore della chiesa di San Luca in Ferrara col titolo di Canonico.

Al Marsigli subentrò attorno al 1738 il Marchese don Gherardo Bevilacqua presentato al Vescovo di Adria dal conte Riccardo Giglioli. Il Bevilacqua tuttavia lasciò lo stato ecclesiastico cedendo di fatto l’Abbazia di Serravalle al sacerdote don Antonio Schiavi (nominato il 13 aprile 1761, deceduto il 20 febbraio 1797). Sono di quell’epoca le controversie giudiziarie che contrapposero i Giglioli ai Bevilacqua in merito al diritto di nomina degli Abati di Serravalle e derivanti dai legami di parentela fra le due casate. Infatti, il conte Ippolito, figlio di Scipione d’Alfonso Giglioli, e fratello del vescovo Mons. Alfonso, sposò Costanza Bevilacqua da cui nacquero i figli Scipione, Francesco, Lucrezia e Costanza. Lucrezia, a sua volta, si unì in matrimonio con Onofrio Bevilacqua ed ebbe un unico figlio, Riccardo, che portò entrambi i cognomi Bevilacqua e Giglioli. Di qui il preteso diritto dei Bevilacqua di nominare gli Abati di Serravalle. Ma la sentenza del 1797 confermò ai Giglioli, originari fondatori e costruttori della chiesa, il diritto di nomina. In conseguenza di ciò il 10 marzo 1797 venne presentato al vescovo di Adria il sacerdote don Giovanni Antonio Crepaldi. La sua nomina porta la data del 3 giugno 1800.

Alla morte del Crepaldi, avvenuta il 16 aprile 1802, si presentò in data 22 aprile di quell’anno don Angelo Reali, immesso poi ufficialmente nel possesso abbaziale in data 9 maggio 1803. Nel 1818 con Bolla del pontefice Pio VII De salute dominici gregis le comunità di Berra e di Serravalle passarono dalla diocesi di Adria a quella di Ravenna, con aggregazione per la responsabilità della cura d’anime alla chiesa arcipretale di Santa Margherita V.M. di Cologna.

Deceduto il Reali in data 26 dicembre 1824, i Giglioli presentarono all’arcivescovo di Ravenna in data 13 settembre 1825 don Luigi Bianchi, originario di Mezzogoro. Sacerdote perennemente in conflitto con i giuspatroni e con i superiori a causa di una gestione discutibile tanto del ministero sacerdotale che del beneficio, ostacolò per un trentennio la trasformazione dell’Abbazia di Serravalle in parrocchia. Ritiratosi in famiglia e rinunciato il titolo di Abate, gli subentrò nel 1855 don Angelo Malandri.

Con l’approvazione dei conti Giglioli e con soddisfazione dell’intera comunità, in data 11 giugno 1858 (rogito del notaio Luigi Ferrarini) la chiesa di Serravalle divenne “Abbazia parrocchiale”. Il Malandri lasciò la cura pastorale nel 1885 al faentino don Pio Minghetti che la tenne fino al 1908, allorché in data 1 novembre di quell’anno venne sostituito da don Primo Filippetti. Tre anni appresso ebbe la nomina ad Abate Parroco don Giuseppe Minguzzi, ricordato per aver ricostruito il sacro edificio e aperto un asilo infantile fra i primi dell’arcidiocesi ravennate.

Con la morte di don Minguzzi (24 giugno 1931) si ebbe la nomina del sacerdote don Adamo Zani, dopo pochi mesi sostituito da don Giovanni Baravelli (il cui ingresso ufficiale avvenne il 17 aprile 1932). Con la sua rinuncia al beneficio parrocchiale attuata nei primi mesi del 1950, l’arcivescovo di Ravenna inviò il 26 aprile 1950 don Giuseppe Fabbri (immesso ufficialmente il 22 ottobre 1950). Nominato il Fabbri direttore spirituale del Seminario di Ravenna, la chiesa abbaziale parrocchiale di Serravalle ebbe il nuovo nominato nella persona di don Francesco Migliorati (immesso il 4 ottobre 1958).

Il 18 maggio 1966 Serravalle e gli altri paesi della cosiddetta “Pentapoli” ravennate passarono sotto la giurisdizione della Arcidiocesi di Ferrara. Nominato il Migliorati Vicario Foraneo a Coccanile, l’11 giugno 1967 ebbe l’immissione ufficiale quale Abate parroco di Serravalle il sacerdote ferrarese don Silvio Padovani, poi inviato alla fine del 1973 a reggere la parrocchia di Quacchio. Dall’1 gennaio 1974 e con ingresso ufficiale datato 4 agosto 1974 il nuovo investito fu don Giovanni Alberto Camarlinghi, che resse la comunità fino ai primi giorni del febbraio 1985.

 

Dal 15 febbraio 1985 la nomina passò a don Carlo Maran (ingresso il 24 febbraio 1985), che lasciò la parrocchia nel 1992 e a cui subentrò ufficialmente dal 6 gennaio 1993 per trasferimento da Mezzogoro il sacerdote don Michelangelo Sandri. Questi, dopo un lungo periodo di malattia e di sofferenza, morì in Serravalle il 6 giugno 1996. Gli subentrò don Giogio Caon, fino al 2016, e da quella data don Andrea Masini, tutt’ora Abate parroco di Serravalle.

Giovanni Raminelli

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Un nuovo libro di Raminelli con le famiglie di Berra e Fossasamba dal 1787 al 1808.

Post n°90 pubblicato il 08 Febbraio 2021 da g.raminelli

Ancora un interessantissimo lavoro di ricerca storica del Dott. Giovanni Raminelli ha visto la luce proprio in questi giorni. Si tratta di un libro in formato A4 di quasi 90 pagine che reca un titolo esplicativo del suo contenuto: “Famiglie di Berra e Fossasamba dall’anno 1787 al 1808 negli stati d’anime conservati nell’Archivio della Chiesa Parrocchiale di Villanova Marchesana (Rovigo)”.  Berra e la vicina località di Fossasamba erano parte della parrocchia di Villanova e tali rimasero fino al passaggio dalla diocesi di Adria a quella di Ravenna nel triennio 1818-1821. Raminelli ci presenta lo stato demografico del lungopò berrese con una miriade di dati e di rimandi alle situazioni territoriale, religiosa ed abitativa con la possibilità di un confronto fra i dati del 1787 e quelli del 1808. Il testo è corredato di alberi genealogici, elenchi, annotazioni storiche e trascrizioni di documenti attinenti la vita delle genti di qua e di là dal Po. La pubblicazione riporta notizie e dati sulla composizione di numerosissime famiglie molte delle quali ancora insediate nella zona. Eccone un elenco: ALBIERI, ANDREOTTI. ARMARI. BALLARINI. BARUFFA. BATTAGLIA. BECCATI. BERGAMINI. BIGANI. BIOLCATI. BISI. BOMPANI. BONINCONTRI. BRANCALEONI. CAGNOTTI. CANETTI. CANIATTI. CAPATTI. CASTAGNARI. CASTELLANI. CATTANI. CAVALLARI. CAVECCHIA. CESTARI. CHIARATI. COLLA. CORNETTI. CREPALDI. CURINA. DAINESI. DOATTI. DUO’. FABRI. FELLISATTI. FERRO. FINOTTI. FORECHI. FRANCHI. GALETTI. GAMBONI. GARENTI. GHIRARDI. GIOVANNINI. GRANDI. GRASSI. GUARNIERI. LUISARI. LORENZETTI. MANTOVANI. MARZOLA. MASIERI. MATTIOLI. MAZZOCCHI. MISSOLI. NEGRINI. NICCHIO. NOCENTI. NOVI. PAGANINI. PAMPANI. PASQUALI. PAVANI. PERDOMI. PILLAN. PIVA. PIVANTI. POCATERRA. POLLESENANI. POZZATI. PREVIATI. RADINI. SIVIERI. SPADONI. STEFANATI. TRONCONI. TUMIATTI. VALLI. VERONESI. ZAGATI. ZAMBAGLIA. ZANELLA. ZERBINI

Non va dimenticato che l’avere a disposizione i registri degli Stati d’anime conservatisi nel tempo risulta indispensabile ai ricercatori e agli studiosi di storia locale per ricostruire l’assetto demografico di una comunità o di un intero territorio. Raminelli, da ottimo genealogista ha voluto protrarre il suo sforzo per consentire un soddisfacente cammino di conoscenza a chi è desideroso di andare alla ricerca delle proprie origini, consultando i tanti alberi genealogici ricavati dall’esame dei registri canonici. D’altra parte va sottolineato che un adeguato utilizzo dell’indagine storica può condurre a ricostruire e tramandare le origini familiari, le discendenze e i legami di parentela. Questa preziosa ed unica ricerca ricerca può fornire conoscenze circa l’evoluzione della onomastica e aiutare a ricostruire collegamenti e legami con altre famiglie, talune estinte, altre emigrate in regioni lontane da quella di origine se non addirittura all’estero, ma altre magari ancora presenti in una limitrofa area geografica. Inoltre, avendo a disposizione altri documenti, è stato possibile al Dottor Raminelli realizzare una descrizione di matrimoni celebrati dal 18 aprile 1803 al 28 luglio 1806, specificando che alcuni riti si svolsero nella parrocchiale di Villanova Marchesana, altri negli oratori di Canalnovo e della “Chiesuola metà Ferrarese e metà Veneziana”, altri ancora nelle chiesette di Fossasamba e di Berra. Insomma un libro indispensabile per conservare la memoria storica della zona, un libro in sole 150 copie numerate e firmate dall’Autore che, in attesa della presentazione ufficiale (restrizione pandemica permettendo) possono essere reperite e/o richieste a Raminelli. Chi fosse interessato può mettersi in contatto con l’Autore scrivendo all’indirizzo mail   historicus@outlook.it

 

Zan.Di.Pac.

 

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Il comunicato dell'amministrazione comunale di Riva del Po circa il libro di Giovanni Raminelli

Post n°89 pubblicato il 26 Novembre 2020 da g.raminelli

Comune di Riva del Po

(Ferrara)

È con grande piacere che l’amministrazione di comunale di “Riva del Po” ha concorso alla pubblicazione di questo interessante lavoro di meticolosa ricerca storica dell’amico e concittadino Giovanni Raminelli grande cultore della nostra storia locale.

Un territorio nuovo, che così come è articolato nella sua estensione, abbraccia una serie di vicende ed episodi importanti della storia di Ferrara è della sua provincia come appunto la rivolta degli insorgenti contro i Francesi di Napoleone.

La figura del mugnaio colognese Valeriano Chiarati meritava da diverso tempo un approfondimento sulla vita e la storia di questo personaggio che di fatto divenne il capo della rivolta nel 1799.

Giovanni Raminelli, con questo suo importante lavoro, riesce a darci un quadro esauriente di questa vicenda con un grande lavoro di ricerca che lo ha impegnato per diversi anni. Un approfondimento storico che colma una lacuna di studi e ricerche su questo importante periodo della storia d’Italia con particolare interesse al nostro territorio. Il volume poi è ricco di precisazioni, di aneddoti e brevi biografie di personaggi storici che hanno avuto parte nella vicenda.

Diversi volumi verranno distribuiti alla scuola secondaria di primo grado di Berra in modo da consentire ai più giovani di approfondire con i loro insegnanti questa vicenda che ha caratterizzato la storia delle nostre comunità

L’amministrazione comunale di Riva del Po, come del resto, le due precedenti amministrazioni dei comuni di Berra e di Ro hanno sempre incoraggiato lo studio della storia dei propri territori e comunità. Per tanto, quest’opera s’inserisce nell’importante solco di ricerca e di recupero della nostra memoria fin qui tracciato.

Questo lavoro, ben si adatta ed integra quanto fatto dall’ex comune di Ro sulla vicenda della civiltà rurale e fluviale legata ai mulini natanti, così ben descritti nel fondamentale romanzo del grande Riccardo Bacchelli, a cui è dedicata l’area golenale di Ro, dove è ancorata una storica riproduzione di un mulino galleggiante. Inoltre la biblioteca comunale di Ro è a lui intitolata.

Nonostante questo momento difficile che stiamo attraversando siamo convinti che pubblicare questo lavoro di recupero della nostra memoria storica sia un contributo importante a cementare con il richiamo ad una memoria comune il passato, il presente e il futuro di questa nuova comunità.

 

Novembre 2020

 

Amministrazione comunale Riva del Po

 
 
 

IL NUOVO LIBRO DI GIOVANNI RAMINELLI SULL' "Insorgente" VALERIANO CHIARATI

Post n°88 pubblicato il 09 Novembre 2020 da g.raminelli

Con il patrocinio del MIBACT, dell’Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara e il contribuito del Comune di Riva del Po è fresco di stampa il saggio di ricerca storica del Dott. Giovanni Raminelli “Valeriano Chiarati – Insorgente”. Il libro è frutto di una lunga e meticolosa ricerca che Raminelli ha condotto anche su documenti inediti e di prima mano, una interessante serie di fonti che hanno consentito all’Autore di tracciare una ben definita linea interpretativa della figura del mugnaio colognese. Chiarati guidò la rivolta antifrancese del marzo-aprile 1799. Il saggio, che contiene appunti e considerazioni sul triennio giacobino (1796-1799) ha pure riflessioni ben calibrate di Raminelli tese ad offrire uno spaccato esauriente e definito della realtà sociale, economica e politica di quegli anni. Non solo, poiché l’Autore protende lo sguardo indagatore fino al fenomeno del brigantaggio del 1809 col conforto, come si diceva, di una documentazione ampia e col riferimento ad una ricchissima bibliografia. Il testo è aperto dalla presentazione a firma dell’attuale sindaco di Riva del Po Dr. Andrea Zamboni, seguita da una colta prefazione dello storico e bibliotecario Dr. Alberto Astolfi. Il municipio di Riva del Po farà avere copia del volume a tutte le biblioteche pubbliche della provincia di Ferrara e ne farà dono agli studenti della locale scuola media di primo grado. Date le restrizioni del momento a causa della pandemia non è stata fissata la data della presentazione ufficiale del volume nel corso della quale appassionati di storia locale, studiosi e cittadini potranno averne copia.

COPYRIGHT - 2020

(Zan. Di Pac.)

 
 
 

Cesare Grandi, il Fiume, la Bonifica, il Ponte. (ed. La Torre - Torino) - UN LIBRO DAVVERO INTERESSANTE

Post n°87 pubblicato il 06 Ottobre 2020 da g.raminelli

Esce in questi giorni, ma avrà presentazioni in vari luoghi ed in tempi diversi, il libro edito da La Torre nella Collana Etnopharma (Torino) opera di Cesare e Maurizio Giovanni Grandi. Un testo che ripercorre, insieme con la storia del territorio del lungopò di Ariano e Serravalle, nella località Valline, la storia della famiglia Grandi. Un libro di 232 pagine, ben illustrato e gradevole nelle varie sezioni che parlano di luoghi, personaggi, situazioni. Un poderoso riferimento con buona e valida documentazione pure all'eccidio di Ponte Albersano, di cui si celebreranno i 120 anni nel 2021 anche attraverso queste belle e interessanti pagine. Il libro contiene una mia Prefazione, che sono onorato di aver redatto e che porto a conoscenza attraverso questo blog.

 

Ho accolto di buon grado la cortese richiesta del Prof. Maurizio Grandi di esporre alcuni pensieri in relazione al testo sulla sua famiglia e sulle vicende del nonno Cesare: quasi una epopea, scritta con encomiabile impegno e con il giusto trasporto emotivo, che tuttavia non inficiano la corretta impostazione storica, sociale e territoriale del libro. La memoria, inquadrata nei contesti che ne significano doverosamente il valore, aiuta a delineare, senza zuccherose nostalgie, gli aspetti più ragguardevoli delle vicende singole così come di quelle familiari e comunitarie, tutte protese a insegnare che la vita non scorre invano. Il passato infatti aiuta a capire come siamo stati, e non rifugge dal farci intendere a quali mete possiamo aspirare.

Il lettore si renderà conto, fin dalle prime pagine, che l’intento era quello di far comprendere come le radici affondino nella memoria. Di qui il largo spazio dedicato alla storia antica ed anche a quella più a noi vicina, fino alle bonifiche estensi e a quella ultima, ormai a fine Ottocento dopo il disastro della rotta del Po a Guarda. Così come i toponimi di luoghi e possessioni agricole, ed anche gli spostamenti stagionali, le transumanze. Ben si capisce che lo scopo, come s’è detto poc’anzi, non è solo quello del fermare nostalgicamente i ricordi, ma quello della tensione a far intendere che il futuro può essere più consapevole e migliore per tutti solo riuscendo a coltivare e a fortificare le nostre radici. In fin dei conti sta tutto qui l’intento del libro: esercizio importante, direi fondamentale, che ha animato il Prof. Grandi nella salvaguardia della memoria dei luoghi e della sua famiglia nella concomitante e contestuale ricerca della comprensione degli avvenimenti.

Insomma un intento etico che si spinge oltre quello didascalico, della narrazione e della annotazione bibliografica ed archivistica.

In tale operazione, condotta con lodevole tenacia, si è inquadrata la “storia” nella “Storia”. In buona sostanza qui si è posta attenzione con acribia a quella Storia, che scriviamo con l’iniziale maiuscola, e che può essere tale non solo con re e imperatori, con presidenti e dittatori, con generali, truppe, guerre, pestilenze, e con le trasformazioni economiche e sociali, bensì con l’apporto sempre dignitoso, indispensabile ed unico degli “umili”, talora a torto definiti “i senza storia”.

Mi sia permesso poi evidenziare un altro aspetto. Questo testo è completo ed esauriente perché in esso è presentato lo scorrere del tempo in un’area di grande interesse come quella deltizia, suggestiva ma ancora oggi conosciuta più nella sua evoluzione geomorfologica che in quella umana, politica, economica e religiosa.

Gli abitanti di queste lande ferraresi, in relazione alle tante vicende politiche ed economiche, sono stati protagonisti di fatti determinanti, suffragati purtuttavia da sofferenze e fatiche indicibili. Mi piace qui citare, fra le tante opere meritevoli di attenzione, il bel romanzo di Massimo Felisatti e Marco Leto, O dolce terra addio (Rizzoli, 1987), dove pure si parla delle zone della bassa ferrarese e dei tragici fatti di Ponte Albersano del 1901 nel complesso panorama rappresentante l’epopea di famiglie contadine che dopo tenaci lotte, volte a difendere i diritti dei miseri, furono obbligate a emigrare per sfuggire agli spettri della disoccupazione, della sottoccupazione, della fame, della miseria, dell’analfabetismo. Così come si fuggì, nel novembre 1951, dal Polesine invaso dalle acque della rotta del Po a Occhiobello. Ed ancora, l’abbandono delle campagne per riversarsi nel triangolo industriale negli anni del “boom” economico.

Il Po, il fiume che ha segnato la vita di generazioni, qui è ancora padre e padrone. Più in particolare il ramo ora detto di Goro, ma sempre chiamato nei secoli scorsi “Po d’Ariano” e ancora oggi, popolarmente, il “Po piccolo”, sulla cui sponde destra, in quel lembo di terra, fra Serravalle e Ariano ferrarese, sta la zona “Valline”, culla e feudo della famiglia Grandi, che alcuni secoli or sono i notai e i funzionari civili e i sacerdoti di qua e di là dal Po identificavano come terra “a latere Serravallis” (dal lato di Serravalle).

La presenza di un corso d’acqua ha sempre costituito per l’uomo un valido motivo per collocarvi appresso i propri insediamenti, teatri di vicende singole e comunitarie significative. Infatti questo libro del prof. Grandi segnala come molti, in seguito a ripetuti avvenimenti, territoriali e politici, si siano sottratti con caparbietà ad una posizione di marginalità umana nella quale le genti di questa parte d’Italia sono state confinate per secoli. Campagne prede di paludi mefitiche. Acque stagnanti periodicamente ambienti di vita ideali per canna palustre e paviera. Grazie a chi è rimasto, questi luoghi hanno lasciato il posto a campi feraci e le terre redente dalle bonifiche, prima naturali poi meccaniche, accolgono ora piantagioni intensive e colture all’avanguardia: segni di una agricoltura sempre più moderna ed economicamente più evoluta.

L’augurio sgorga spontaneo: questo testo deve essere letto e meditato. Lo dico da amante e ricercatore di storia locale, ben consapevole che, quando si scrive di una famiglia tentando di illustrarne le vicende segnate da ricordi e dal dipanarsi degli anni, l’azione può essere sbrigativamente liquidata come semplice opera di recupero. Non è così, o meglio: non è sempre così. Il testo del Prof. Grandi deve essere letto e meditato, soprattutto dai giovani. Essi devono guardare a chi li ha preceduti, a chi è vissuto prima, con la consapevole speranza che il passato non è mai chiuso per sempre.

Il passato è appena dietro l’angolo delle nostre frenesie quotidiane e vuole essere conosciuto. Lo vuole perché solo così può aiutarci a definire la nostra attuale identità.

Per progettare e vivere serenamente il futuro di tutti e di ciascuno.

 Serravalle (Ferrara), 14 giugno 2020

 

 

GIOVANNI RAMINELLI

 
 
 
 
 

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Data di creazione: 28/06/2011
 

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