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APPARTENENZA CONTRO ALIENAZIONE
Post n°184 pubblicato il 14 Settembre 2008 da giovanedestra_lecco
L'UOMO MODERNO TRA NICHILISMO E PERDITA DI SE' (Nella foto in fila nella notte davanti al centro commerciale per il primo lancio di IPhone) Il magmatico divenire della società odierna si configura come il luogo della perdita della nostra individuazione, dell’alienazione continua, della privazione di ogni possesso di sè. Un caotico alveare afflitto ormai dal male di esistere. E’ il punto di arrivo di decenni di tecniche basate sulla teoria dell’inconscio e sui primi studi di Frued, poi espressi in “Psicologia delle folle e analisi dell’io. E’ la devastante conseguenza di una menzogna divenuta verità collettiva. Quella che vorrebbe l’uomo moderno libero di essere se stesso all’interno di una società sempre più ricreativa e individualista, caratterizzata da infinite possibilità di affermazione del sé. Ma dietro l’ossessione quotidiana della propria auto-affermazione, silenziosamente s’insinua la perdita della nostra libertà, la dissoluzione di ogni forma di auto-coscienza. E Tutto questo si osserva quotidianamente quando milioni di persone credendo di affermare il proprio io, in realtà compiono sincronicamente le medesime azioni, elaborano i medesimi concetti, interiorizzano la medesima standardizzata e uniformante scansione del tempo, vivendo all’unisono i medesimi eventi collettivi. E proprio in questa ipersincronizzazione dei tempi delle nostre coscienze che si rispecchia la forza dei meccanismi di persuasione di massa. Comprare un prodotto per avere la sensazione di esistere, guardare i telefilm di Hollywood e identificarsi nelle stelle dello spettacolo per avere la sensazione di essere vivi, anche solo per pochi istanti. In questo narcisismo dagli esiti spersonalizzanti si realizza quel tipo di società amorfa ed eterodiretta che Oswald Spengler chiamava "civiltà di fellah" , ovvero una magmatica ipermassa depredata di ogni coscienza. Strumento centrale di questo processo di alienazione collettiva, è rappresentato della tecnica, la quale sollevata dal suo carattere strumentale e sottratta dalla sua natura di mero mezzo, diviene il fine ultimo, l’ultima essenza metafisica del mondo moderno. Vendutaci come strumento di liberazione da tutti i nostri limiti naturali, come strumento di estensione del nostro io in un mondo sempre più complesso, in realtà ne diviene il mezzo del nostro asservimento. La sua diffusione capillare in ogni ambito temporale porta alla regressione della nostra vita a un mero soddisfacimento dei soli istinti, rendendo le nostre coscienze sempre più simili le une alle altre, portando alla caduta degli elementi costituenti la nostra personalità. Le conseguenze a livello mentale e comportamentale sono note: emersione di una quantità di psichismi, infantilismo, regressione al pre-personale, fino a vere e proprie patologie alienanti: fughe in mondi completamente virtuali, alienazione nella droga, nella trasgressione. Le poche volte che si forma un minimo di reazione, quest’ultima si esprime con la riemersione nelle masse di istanze religiose/bhaktiche, sottoforma di una morbosa spettacolarizzazione del sacro, dell’esoterico e di tutto ciò che è paranormale. Di contro a livello macrosociale i risultati più evidenti sono l’espulsione delle forze sociali dall’agone politico, per lasciare campo aperto alle forze del capitale multinazionale alle burocrazie cosmopolite da esse controllate. Non più le masse di inizio novecento pronte a irrompere nella politica, ma moltitudini atomizzate di individui asociali, totalmente alienati nel loro distacco verso istituzioni e forme della politica considerate ormai estranee. Ecco quindi che il marketing diventa l’unica vera forma di controllo e di condizionamento dei modelli di vita quotidiana, in grado di minacciare sempre più le nostre capacità mentali e affettive. I messaggi subliminali da esso veicolati finiscono per creare uomini senza più un senso, incapaci di percepire uno scopo e di avere un ruolo interessante e almeno in parte condiviso. A questa mancanza di coscienza, a questa mancanza di critica si lega un livellamento emotivo, una percezione angosciante di un vuoto interiore entro il quale si annulla ogni forma di desiderio. Ed ecco allora che la nostra liberazione, non può che passare attraverso la lotta per la rigenerazione del nostro io, attraverso la ricongiunzione tra il sé e il mondo, attraverso l’opposizione, divenendo ciò che Albert Camus annunciava ne: “l’uomo in rivolta”. Solo imparando a dire no a ciò è sentiamo incompatibile con il nostro io, solo imparando a disobbedire potremo evitare lo sradicamento, ribellandoci, ridefinendo la nostra stessa libertà; trovando la forza per opporci al dogma del “dell'individualismo moderno", riscoprendoci nel rapporto con la storia e con la comunità; tornando consapevoli della nostra dimensione storica e comunitaria per porre fine alla separazione tra l’io e il mondo. In parole povere, opponendo a questa macchina devastatrice di storie personali e di culture la nostra ideologia dell’appartenenza. . (M. Zambelli per GRECE ITALIA) (Gruppo di studio e ricerca sulla civilizzazione Europea) |
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