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Ogni giorno non possiamo che restare stupiti al ripetersi del mistero quotidiano che trasforma i suoni della lingua italiana nel flusso di coscienza, nelle parole che danno voce e corpo ai nostri stati d'animo, ai nostri pensieri. Un miracolo altrimenti inspiegabile se da piccoli, attraverso la forza dell'imitazione, non ci fossimo impadroniti dei suoni, delle forme grammaticali, della struttura sintattica della lingua nazionale.Quei suoni, uditi fin dalle prime ore della nostra vita, apparentemente senza senso, separati a stento gli uni dagl'altri, e poi pronunciati ad alta voce: "mamma" "papa", "mio".Fino alla parola "io". Parola simbolo della nostra presa di coscienza; pietra fondante della nostra costruzione identitaria; materializzazione del nostro io in forma di una parola, tramandata, lavorata, arricchita, trasmessa a noi come un'eredità sacra da milioni e milioni d'esseri del nostro sangue.E in quel preciso istante che la nostra auto-consapevolezza si realizza per mezzo della parola "io", il senso della storia nazionale entra inconsciamente dentro di noi, interiorizzandosi nella nostra identità, facendo sì che la rivelazione di sè, coincida indissolubilmente con la propria iniziazione linguistica. Quanti di noi hanno provato quel senso di alienazione, di straniamento, al momento di esprimersi in una lingua straniera, nello sforzo innaturale di imitarne l'intonazione; sentendosi come forzati, inadeguati, nell'esprimere i propri pensieri? Come se la scansione di quelle parole incidesse sulla percezione di noi stessi, spingendoci a perdere la nostra personalità e a vederci dal di fuori, diversi... Come se suonassero falsi, innaturali al nostro palato quei suoni così duri e disarmonici, come se la loro pronuncia trasfigurasse i nostri stessi connotati fisici, obbligandoci a muovere in modo innaturale palato e mascella; come se labbra e muscoli facciali non rispondessero più all'impulso dei nostri sentimenti.Quando invece la lingua italiana la sentiamo scaturire spontaneamente fino quasi a fondersi con le idee più intime; divenendo forma, suono, colore, sostanza del nostro essere più profondo. E quand'anche l'esercizio dell'apprendimento, lo studio razionale e metodico di una lingua estera avrà portato apparentemente il nostro cervello ad avere ragione sul sentimento, quando la spontaneità avrà ceduto il passo al ragionamento, inaspettatamente l'inconscio riemergerà tradendoci nella pronuncia di un accento, nella costruzione di una frase.E laddove l'inerzia del tempo e la lontananza dalla patria avranno sradicato in noi la lingua italiana, fino a credere di poter pensare senza di essa, rimarrà pur sempre la sensazione di un vuoto, di una perdita interiore.E la certezza di questa mancanza crescerà al primo udire le parole di una poesia, di una canzone italiana, come se quelle parole avessero cristallizzato ricordi, sensazioni, immagini a noi care di forme umane; come se quell 'inconfondibile colorito comico, quella dolcezza misteriosa, quell'infinità musicalità tornasse ad essere la nostra cifra dell'affetto, del dolore, della gioia pronta a rivivere ancora dalla punta delle nostre labbra.(M.Zambelli, per Rinascita Nazionale)