PENSIERO NAZIONALE

__________________________________________________________


         "MARCIARE VERSO IL DESTINO"    TRIBUTO AL NOVANTESIMO DI FIUME (TERZA PARTE).
."Tutti quegli uomini ardenti si mossero da ubriachi di sole e di polvere, di allegria, di passione, di coraggio, di patriottismo. Rivoli e rivoli versavano incessantemente turbe di volontari da ogni lato. Erano militari di tutti i corpi: avevano fiamme nere, fiamme azzurre, fiamme gialle, mostrine di tutti i colori e tutte le canzoni delle armi, le canzoni della grande guerra risuonavano nell'aria torbida e fumosa, miste al frastuono dei motori e al cigolio delle ruote.Avevano già percorso i centoventi chilometri che separano Ronchi da Fiume, quando in vista del confine di Cantrida, anche alcuni reparti di Arditi al comando del colonello Rapetto si unirono alla marcia irresistibile. Repetto scese da cavallo e si avvicinò a D'Annunzio che a sua volta aveva lasciato l'automobile. Si abbracciarono mentre il colonello esclamava: " Gli arditi sono con voi!", nonostante il colonello avesse ricevuto l'ordine tassativo dal suo generale di fermare l'avanzata ad ogni costo.La situazione reclamava che scendesse in campo il nuovo comandante del presidio interalleato di Fiume, Pittaluga, il quale inviò in avanscoperta un ufficiale  ad annunaciare al poeta il suo arrivo. "C'è il generale Pittaluga che desidera parlarle", disse l'ufficiale. "Non conosco generali"  rispose seccamente d'Annunzio. "E' comunque un suo superiore". "Non conosco superiori", egli ribattè. A Pittaluga non rimaneva che intervenire di persona, sicchè decise di affrontare il ribelle ad appena un chilometro dalla barra di Cantrida. Si trovarono di fronte un soldato fedele alla disciplina militare e un poeta sedizioso, ma entrambi animati da altisssimi sentimenti patriottici.Il momento era drammatico e il generale Pittaluga ben lo rappresenterà nelle sue memorie scrivendo:" Risalii di poco la via, tra le autoblinde e gli autocarri, e fui dinanzi a D'Annunzio. Stava questi in automobile, indossava la divisa di tenente colonnello; intorno e sulla macchina aveva arditi con la baionetta ai fucili. Non si mosse. "Così si rovina l'Italia!" esclamai in tono concitato. " Lei rovinerà l'Italia" - egli ribattè con pari tono - "se si opporrà a che il giusto destino si compia, se si farà complice di una politica infame". "Ma è forse l'onnipotente Lei? Nessuno ha diritto di sovrapporsi all'autorità dello stato", e ripresi: "Io devo assolutamente impedire che si compia un atto che avrà conseguenze inclcolabili, che comprometterà irrimediabilmente il nostro paese." E il poeta: "Ho capito. Ella generale, farebbe anche tirare sui miei soldati, che sono fratelli dei suoi. Ebbene, prima che sugli altri faccia far fuoco su di me", e mi mostrò il petto col distintivo dei mutilati e il nastrino azzurro della medaglia d'oro. "Sì, qui faccia tirare". E con gesto nervoso per due volte si picchiò il petto. Ero divenuto calmissimo: "Non sarò io, figlio e nipote di Garibaldini, che spargerò sangue fraterno: ma lei da buon soldato ubbidisca" gli dissi. "No, andrò a Fiume  a qualunque costo". E ai suoi comandò: "Avanti!". Al grido di "Viva l'Italia! Viva Fiume!" le autoblinde si mossero e la colonna riprese la marcia verso la mèta."