Gira vota e firria

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Io credo nei siciliani che parlano poco... "Io credo nei siciliani che parlano poco, nei siciliani che non si agitano, nei siciliani che si rodono dentro e soffrono: i poveri che ci salutano con un gesto stanco, come da una lontananza di secoli... Questo popolo ha bisogno di essere conosciuto ed amato in ciò che tace, nelle parole che nutre nel cuore e non dice...".Non sono naturalmente parole mie ma di un "Grande" autore siciliano morto 19 anni fa: Leonardo Sciascia. In queste settimane ho avuto modo di conoscere meglio, attraverso i suoi libri, Sciascia e la sua grande dote di narrare le storie di mafia e i caratteri e comportamenti del popolo siciliano e dei suoi personaggi più "ironici" e suggestivi. Sciascia è uno dei pochi che abbia raccontato la mafia in opera di alto livello rivolta a un vasto pubblico. I suoi sono dei gran bei libri: attualissimi, scorrevoli e molto profondi. Fanno riflettere su come la mafia è profondamente radicata nella nostra società e su quanto sia importante riuscire a sconfiggerla. Oggi di Sciascia c'è una profonda e costante nostalgia: manca la sua acutezza. E mi domando come avrebbe giudicato e commentato gli accadimenti a cui abbiamo assistito, dall'anno della sua scomparsa ad oggi, tempo di elezioni regionali, provinciali e tempo in cui è stato catturato il boss Provenzano. Oggi, questa Sicilia dalle mille facce sui muri, dai mille slogan ad effetto convincimento "vota per me, sono il migliore".Con l'occhio critico e ironico di sempre Sciascia ha narrato storie di disillusioni, ideali caduti, sogni non realizzati. Di persone "meschine" sempre pronte a cambiare bandiera e di chi per restare fedele ai propri ideali ha rischiato la salute mentale. Cosa dire di un autentico genio come Sciascia: dovrebbe essere innanzitutto un autore da studiare approfonditamente, i suoi scritti dovrebbero avere una lettura obbligatoria nelle scuole. Dalla bocca di uno dei suoi personaggi, ho "ascoltato" una confessione che, letta oggi, potrebbe valere da epigrafe per tutta la sua opera: "E mi sentivo come un acrobata che si libra sul filo, guarda il mondo in una gioia di volo e poi lo rovescia, si rovescia, e vede sotto di sé la morte, un filo lo sospende su un vortice di teste umane e luci, il tamburo che rulla morte. Insomma, mi era venuto il furore di vedere ogni cosa dal di dentro, come se ogni persona ogni cosa ogni fatto fosse come un libro che uno apre e legge: anche il libro è una cosa, lo si può mettere su un tavolo e guardarlo soltanto, magari per tener su un tavolino zoppo, lo si può usare o per sbatterlo in testa a qualcuno: ma se lo apri e leggi diventa un mondo; e perché ogni cosa non si dovrebbe aprire e leggere ed essere un mondo?".Una domanda mi sono però chiesto leggendo i suoi scritti: Sciascia crede che i siciliani, o sarebbe meglio dire, la Sicilia, potrà mai mutare? La situazione dell'Isola avrà l'opportunità di riscattarsi da quel sonno di stampo gattopardesco? Io della mia Sicilia (e di Sciascia) credo che conserverò, per tutta la mia esistenza, la capacità di non prendersi troppo sul serio e di avere sempre una certa autoironia. Un'autoironia parente stretta dell'amarezza, però. Un'amarezza che traspare negli occhi malinconici e penetranti dei siciliani dello stampo di uomini che hanno lottato anche in silenzio contro la mafia, e che della terra natia amerà ricordare soprattutto gli scrittori come il Leonardo di Racalmuto. Sciascia penso che sia un reale rappresentate di quello che succedeva (e che disgraziatamente succede ancora) in Sicilia. La Sicilia che Sciascia ama... e che anche io adoro, nonostante tutto.Dobbiamo smettere di essere tutti dei "quaquaraquà" e diventare tutti "uomini".Questa è la mia Terra.