Creato da solomarlboro66 il 02/05/2008
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L’idiozia al potere. Ma i siciliani non erano il sale della terra?

Post n°11 pubblicato il 03 Agosto 2009 da solomarlboro66
Foto di solomarlboro66

La Sicilia ha tutto e non ha niente. Ha arte, storia, cultura, risorse umane ed è come se tutto questo non gli appartenesse. Ha un’autonomia che la rende libera di decidere ciò che vuole, e si comporta come una colonia africana dell’ottocento.
Qual è il male oscuro di questa terra felicissima ed infelicissima? Se facessero un inventario dei beni culturali e paesaggistici, i siciliani dovrebbero recarsi in chiesa ogni mattina ad accendere un cero al loro Santo per i doni copiosi ricevuti.
E invece sbattono la testa al muro perché non riescono a tirare la carretta.
Non è che tutti abbiano il problema di che cosa mangiare il giorno dopo, ci sono - e come - quelli che se la passano magnificamente. Per meriti propri o altrui, buona sorte o “regalie”, competenza e furbizia. Se dovessimo indagare sull’origine del benessere ci perderemmo di casa.
Il punto è un altro: è troppo alto in Sicilia il numero dei cittadini che devono la loro fortuna alla Regione siciliana, così come è troppo alto il numero di persone che, pur guadagnandosi lo stipendio, vivono grazie alla Regione siciliana.


Tutto gira attorno alla Regione.
L’impresa, l’università, l’industria, la sanità. Tutto.
La Regione “speciale” – per via dello Statuto - non è la macchina che promuove lo sviluppo, ma una macchina che distribuisce commesse, appalti, prebende e stipendi. Non ha stimolato l’imprenditoria, la creatività, l’investimento, la cultura, ma ha affinato l’arte di arrangiarsi coltivata per secoli. La Sicilia ha avuto qualche re (straniero) e molti vicerè (stranieri), con brevissime parentesi di autogestione (marginali) ed ha dovuto osi ritagliare un pezzo di potere per sopravvivere ai dominatori.
I siciliani sono diventati gli ingegneri più affidabili del governo parallelo. Non potendo accedere a quello legittimo, formale ed ufficiale, hanno costruito quello di “risulta” che ha funzionato nei secoli magnificamente. Sono stati così bravi da trasformare il tribunale d’inquisizione in una azienda fiorente, chiusa per ultima nel mondo, solo grazie al fatto che il Vicerè Caracciolo si vergognava da morire a passare come il governatore dell’ultimo pezzo di mondo che faceva giustizia “abbruciando” eretici e manigoldi, anche in effige (per pigliarsi i beni di famiglia).
Siccome la Sicilia è un mistero insondabile - non c’è chi riesca a fare di peggio - ed un campionario di tale insensatezza che i ladri di polli indossano il doppio petto blu, viene da sospettare che tutti i guai nascono dalla storia piuttosto che da quelli che comandano nell’Isola.
Un sospetto che non sta né in cielo né in terra, le responsabilità sono tutte nelle mani di quelli che tengono i cordoni della borsa, signorotti uguali spiccicati a quelli di ieri che si sono assunti il compito di perpetrare il diritto a spartirsi le spoglie.
Abbiamo qualche remora e mettere insieme le storie di quattro secoli fa con quelle di quattro giorni fa, ma la tentazione di svolgere comparazioni assurde è forte.
E’ meglio restare con i piedi a terra e raccontare la Sicilia com’è, un casino pazzesco dove tutti combattono contro tutti e il rispetto delle istituzioni è un optional. C’è chi promette pubblicamente di rubare capipopolo al partito alleato al ritmo di quattro la settimana e che, incaricato di fare da arbitro, si schiera con una delle squadre in campo.
Qualche giorno fa il presidente dell’Assemblea regionale siciliana, Francesco Cascio, alzatosi di buon mattino, ha confidato a un gruppetto di giornalisti che l’aspettava nel loggiato di Palazzo dei Normanni, che il governo siciliano in carica è il peggiore possibile. L’ha fatto con l’aria compunta e dispiaciuta che la frustrazione dona agli animi forti che la coltivano, e con una postura di chi si carica il peso della storia.
Tutto questo non ha niente a che fare con l’arte di arrangiarsi che è una cosa seria, ma con lo sbandamento attuale. Niente è come prima. Fino ad una ventina di anni si era in grado di decifrare che cosa succedeva, ma ora non è più possibile discernere un bel nulla.
Ma questo accade perché i siciliani appaiono interessati a essere informati sugli amori brasiliani dell’ex sindaco di Catania, sui cannoli di Totò Cuffaro dopo una condanna a cinque anni, sulle malefatte di Giuseppe Garibaldi e le trovate di Vittorio Sgarbi. La Sicilia fa notizia per le cazzate della Regione e le mafie, o niente.
Meno male che gli storici un giorno sì ed uno no discettano su Federico II che governava l’Europa da Palazzo dei Normanni, o sulla Magna Grecia, che aveva arte, filosofia e teatro sopraffini, quando nel resto della Penisola era ancora barbarie. Altrimenti come si farebbe a sopportare questo inestricabile groviglio di insolente idiozia.

 
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LETTERA A ME STESSO: L'AMICIZIA 

Post n°10 pubblicato il 18 Settembre 2008 da solomarlboro66
Foto di solomarlboro66

Caro Eppep,

ti scrivo in quanto c'è tanto da comunicarti ed ho inoltre il tempo per poterlo fare. Potrei usarlo per fare altro, magari passeggiare per le vie del centro della nostra città, sfruttando la bellissima giornata di oggi. Ma non mi va, in quanto dovrei farlo da solo.

Non preoccuparti, comunque: non sono un riccio. Stasera uscirò con due carissimi amici. Ed è proprio questo il tema protagonista di questa lettera, l'amicizia.

Per cominciare, Cicerone scriveva che essa non è frutto di calcolo o necessità; non è interessata simulazione d'affetto; non è complicità in azioni disonorevoli. E', invece, il naturale sentimento che unisce le animi nobili ed oneste ed è un vincolo più forte dei legami di sangue. Ed in questi ultimi anni, caro Eppep, io ho trascurato l'amicizia, perché troppo legato ad altro. Ho messo da parte chi mi ha dimostrato di essere un sostegno sempre presente ed un conforto solidale nei momenti più difficili della mia esistenza. Ed ora che “l'altro”, ahimé, ha deciso di fare strada a sé, il desiderio di amicizia è nuovamente rinato. A torto, naturalmente. In quanto l'amicizia non deve essere presa in considerazione solo per motivi di convenienza, ma sempre. Perché, riprendendo il buon vecchio Cicerone, l'amicizia è dividere gioie e affanni in una comune tensione verso il bene ed il giusto.

Mi accorgo, dunque, di avere sbagliato e ti esorto, Eppep, di non commettere i miei stessi errori, ma di rispettare il valore dell'amicizia. Però, ci sono amici ed amici. Sono difficilmente tali, ad esempio, coloro i quali compiono il tuo medesimo cammino di qualsivoglia genere, giacché, una volta compiuto o interrotto, ti potresti accorgere che non lo sono mai stati, proprio com'è accaduto a me. L'amicizia è sempre tale, a prescindere dal percorso. L'amicizia vera, infine, è quella che ha come elemento costitutivo la fiducia reciproca, come scrisse per bene Seneca a Lucilio, "se stimi amico uno, e poi non hai in lui la stessa fiducia che hai in te stesso, commetti un grave errore e ignori il valore della vera amicizia. Prendi ogni decisione d'accordo con l'amico, ma prima sii ben sicuro di lui. Prima devi giudicarlo ma, una volta che hai stretto l'amicizia, devi fidarti pienamente di lui".

 
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OMAGGIO ALLA DONNA SICILIANA

Post n°9 pubblicato il 11 Settembre 2008 da solomarlboro66
Foto di solomarlboro66

Omaggio alla Donna Siciliana.

Certe donne preferiscono essere belle piuttosto che intelligenti. Non hanno tutti i torti: moltissimi uomini hanno la vista più sviluppata del cervello. B. Laurence

La Sicilia Antica , forse più di oggi , riserva alla Donna un posto preminente nella vita sociale e nell'ambito familiare. La "Fimmina Siciliana" ha saputo combattere, resistere, curare, proporre, consigliare, è stata la "madre coraggio" devota, ansiosa e dominatrice silenziosa , con il riso o con il pianto, del suo Amore o della sua famiglia.

Nella tradizione popolare la figura della Donna trova la sua naturale espressione nell'Amore e nell'immaginazione intellettuale riceve gli aggettivi più luminosi associati ad immagini poetiche e delicate……Quante frasi, quanti accostamenti, quanta poesia nell'innamorato "disiusu" di un suo sguardo o di un suo cenno …. la sua Donna era stella del cielo, colonna d'oro, rosa marina, raggio di sole, garofano rosso incarnato d' Amore, mare di bellezza, aquila d'argento, palma di gigli e di rose ed ancora ….quando nacque Lei , il Sole Le dette il suo splendore, la neve la sua bianchezza, la rosa i suoi colori, il miele la sua dolcezza, la cannella il grato suo sapore.

E quanto desiderio nell'immaginazione destava un tanto sospirato bacio ….A quantu paghirria pi na vasata dice proprio cosi l'innamorato durante una dolcissima serenata …….

 
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“Nun c’è cchiù né re né regnu”

Post n°8 pubblicato il 04 Settembre 2008 da solomarlboro66

Ricordo mio padre che, quando – io picciriddu – facevo murrìti (in verità non ero proprio un esempio di mansuetudine), mi diceva: “U’ carratùni sta scennu di fora”. Era un chiaro preavvertimento alla altrimenti inevitabile fraccàta di curriàte, cincu e cinquantacincu, timpulàte, boffe e funciàte che mi sarei meritato alla successiva tinturìa, la più veniale.

A pensarci bene, viviamo tutti al limite dello strabocco: non ce la facciamo più, siamo sull’orlo di una crisi di nervi, rischiamo il precipizio alla prossima camurrìa. Ma fingiamo di comportarci come se tutto fosse al suo posto, come se nulla andasse storto, come se la corda non fosse già tesa e ormai in procinto di spezzarsi. Che non si tratti del ciclico senso di saturazione che di solito prelude ad una ripresa degli entusiasmi, è provato dal buio totale che si intravede (!) all’orizzonte, dalla completa assenza di spiragli e di barlumi dopo il tunnel: neanche un fioco lucignolo balena alla più ottimista delle visuali.

Quanti scommetterebbero un solo €uro su un recupero di tranquillità o anche soltanto di speranza (per esempio) in un’inversione di tendenza dei prezzi e/o in un raddoppio di stipendi e pensioni? Diciamoci la verità: non ci sentiamo un po’ tutti privi di protezione, come se ci librassimo in aria senza paracadute? Non vi capita di avvertire una strana sensazione di declino, di mancanza di ancoraggi, di scarsezza di coordinate?

E va’ para sti crasti o’ scuru!

Pare quasi che fluttuiamo tutti attorno ad un … centro di precarietà permanente, preparandoci una caduta libera dalla quale – stavolta – non servirà alcun colpo di c. a risollevarci. E’ abbastanza più di uno scoramento diffuso. Si tratta di una strisciante malattia psicologica che si incunea corrosivamente fra le coscienze di chi non era abituato a lasciarsi vivere. E che ora si sente “preso dai Turchi”.

Guardarsi attorno non aiuta a nutrire alcun ottimismo: votiamo persone che avevano promesso di occuparsi del bene comune ma che, appena insediate (cioè sedute su qualsiasi sedia) si scatenano in una litigiosità inaudita, tutti contro tutti (anche all’interno della stessa coalizione, dello stesso partito, persino della stessa corrente)lottando solo per i propri gettoni di presenza e lasciando nel dimenticatoio i loro proclami. E i nostri problemi.

Alla scadenza successiva, però, torneremo a votare per gli stessi che ci hanno disamministrato: magari perché pari malu dire di no ad amici e parenti. Non si sa mai un domani, un concorso una cosa…. E intanto continuiamo a perdere posizioni nelle graduatorie delle città italiane per qualità della vita, auto inquinanti, quantità di rifiuti, raccolta differenziata, piste ciclabili, verde urbano, zone a transito limitato. Gonfiamo il petto per l’orgoglio dell’appartenenza territoriale, ma in quel momento inspiriamo veleni nei nostri polmoni e ci accontentiamo di vivere in un luogo ventoso ma disperato per nullità di prospettive. Esaltiamo le nostre produzioni di ortaggi perchè hanno il valore aggiunto del sole e del mare ma siamo diventati i maggiori fornitori di… pazienti per gli ospedali oncologici. Il vino che sappiamo ben produrre, poi, non riusciamo neanche a venderlo. Ma abbiamo tutti il telefonino e ne compriamo uno ai nostri figli già quando vanno in quarta elementare.

Si indignerà qualcuno (e magari si affannerà a smentire) se l’ultimo rapporto del Censis include la nostra provincia fra le prime cinque in Italia (le altre sono Napoli, Agrigento, Caltanissetta e Palermo) per tasso di criminalità? Smetteremo di bestemmiare non vedendo alcun vigile urbano a dipanare il traffico impazzito delle strade arcinote, quando sapremo che fra le maggiori entrate comunali figurano le multe per divieto di sosta spiccate sempre nelle stesse innocue stradine?

A quale livello può giungere la sopportazione di chi improvvisamente non vede più scorrere l’acqua dal rubinetto pur avendo da tempo saldato all’amministratore le quote condominiali?

La benzina e la nafta alle stelle, pizzaioli e ristoratori ormai alla paranoia, blue jeans griffati che superano i cento euro ogni braga, luce e gas che producono bollette da lotteria, scatolette di vermi che fanno chiudere i Licei per parecchi giorni, tre quarti dei minorenni che fumano (tabacco, nella migliore delle ipotesi), gradinate di stadi e palazzetti diventati “luoghi catartici dell’aggressività sociale”, televisioni che propongono boss sanguinari come modelli di comportamento o istupidiscono gente già psicolabile propinandole reality scollacciati in appartamenti poco credibili o in isole tropicali più famose dei loro ospiti a corto di altri ingaggi, Università con il “numero chiuso” pilotato dalle raccomandazioni, laureati con le suole consumate dal passeggio…

In questo contesto – racconta sempre il Censis – chi può se ne va: settantacinquemila italiani hanno recentemente trasferito la loro residenza all’estero. Probabile che erano proprio i più preparati e perciò i meno rassegnati a morire d’inedia in questa Italietta inginocchiata.

Secondo un lucido scrittore siciliano contemporaneo, Domenico Seminerio, gli uomini si dividono in tre categorie: ci sono i corruttibili, poi i ricattabili e, infine, le persone normali; quelle di cui (zittendole o ignorandole) è più facile sbarazzarsi. E’ una descrizione che compie in un suo recente bel libro, il cui titolo riporta proprio la stessa frase che mio nonno – uomo umile e saggio – ripeteva spesso quando notava che saltavano le regole per troppo ammuìnu intorno. Il qual detto antico fotografa anche quel che stiamo vivendo: “Nun c’è cchiù né re né regnu”.

 
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SICILIAE

Post n°7 pubblicato il 03 Settembre 2008 da solomarlboro66

 
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