Creato da solomarlboro66 il 02/05/2008
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SOGNATE GENTE, SOGNATE

Post n°6 pubblicato il 03 Settembre 2008 da solomarlboro66

Troppe notizie brutte, brutali, incredibili ho sentito in questi mesi in tv.

Troppi fatti strani, incomprensibili. La cronaca ci racconta quotidianamente avvenimenti che sono semplicemente assurdi. Ultimamente però ho sognato tante cose che adesso vi racconto.

Ho sognato un arcobaleno che al posto dei colori aveva tutte le bandiere del mondo e una la luce che accendeva l'oscurità.

Ho sognato la terra che produceva frutti gustosi, ho sognato la pace che padroneggiava in ogni luogo e un angelo che annunciava la fine di ogni razzismo, ho sognato una anziana nonna che raccontava la propria vita.

Ho sognato una mano che si lavava con un'altra e il sangue che scorreva solo nelle vene.

Ho sognato i Beatles che cantavano ancora insieme, Troisi che scherzava con Totò, De Andrè che suonava una sua poesia, il "Che" che moriva di vecchiaia, Battisti che registrava un nuovo album, Papa Woytila che giocava con i bambini.

Ho sognato cannoni che sparavano fiori, ho sognato un ex malato di tumore che scoppiava di salute, e un sole che asciugava tutte le lacrime.

Ho sognato un ragazzo che baciava la sua mamma che dormiva. Ho sognato una epidemia di sorrisi, una stella a forma di cuore, una bellezza acqua e sapone, un finale che non mi aspettavo, un dolore che si allontanava.

Ho sognato la strada che indicava la giusta via, la Storia che non si ripeteva, l'acqua che dissetava l'Africa, la notizia che rispecchiava la verità e la realtà che non si confondeva con la fantasia.

Ho sognato la povertà festeggiare la propria morte.

Ho sognato la Libertà che tutti potevano avere.

Immaginare, è questo il punto nodale del mio sogno, questo è l'invito. Immaginare un mondo che non ha nulla a che fare con quello l'odierno: un'oasi di pace, un luogo in cui non ci siano né ricchezze, né avidità. Un luogo in cui ci si possa dividere tutto, un luogo in cui prevalga la vera pace.

Un'utopia?

Fino a quando la Terra sarà popolata dagli uomini, il mondo, "cantato" da John Lennon (Imagine), resterà un'utopia. Non è possibile omologare il pensiero umano, sempre differenti saranno gli interessi della gente, gli ideali, il modo di rapportarsi. Sempre prevarrà il "dio denaro", capace di annullare la coscienza e rendere l'uomo spietato. Perciò è indispensabile sognare, immaginare il proprio mondo, il mondo perfetto, che nessuno potrà mai distruggere.

Il sogno come terapia. Un inno alla pace, al sogno di uguaglianza per continuare a sperare in qualcosa di positivo. C'è sempre una parte del nostro "io" che inconsciamente considera fattibile quella speranza, dandoci la forza ed il coraggio per affrontare la vita ed andare avanti, in ogni situazione, anche la più disastrosa ed irrecuperabile. "Puoi dire che sono un sognatore, ma non sono il solo" (Lennon), spero.

                                                                                                          Solomarlboro66

 
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L'INVIDIA

Post n°5 pubblicato il 01 Settembre 2008 da solomarlboro66
Foto di solomarlboro66

L'invidia è un sentimento che divora chi lo nutre. Morandotti, Alessandro

 

L'invidia è anzitutto un sentimento doloroso, che si impone spesso contro la propria volontà e del quale è difficile liberarsi attraverso riflessioni di tipo razionale. L'invidia comporta infatti sentimenti negativi, che sfiorano il rancore, l'odio, l'ostilità verso chi possiede qualcosa che l'invidioso non ha. L'invidia agisce allora come un meccanismo di difesa, come un tentativo di recuperare la fiducia e la stima di sé stessi, attraverso la svalutazione di chi ha di più: in termini di fortuna, di successi personali, di possibilità economiche ecc.

Che cosa avviene allora quando una persona che vive nel suo ambiente, fra i suoi pari, vede che uno di loro, magari un collega o addirittura un amico, a un certo punto ha successo, balza a un livello superiore, guadagna miliardi, viene ammirato, elogiato, applaudito?

Poiché si è sempre confrontato con lui si sente diminuito, inferiore. Qualcuno può cercare di spiegargli che, in realtà, non ha perso niente, che è rimasto esattamente quello di prima. Ma è falso perché noi ci valutiamo comparativamente e lui, dopo il successo del conoscente, è sceso nella gerarchia sociale. Non solo, a ogni successo dell’altro scende ancora di più. Allora, non potendo salire al suo livello vuole trascinarlo verso in basso: cerca di dimostrare che è un incapace, che non merita. E, nei limiti in cui gli è possibile, fa di tutto per rendergli difficile la strada, di danneggiarlo. È questa l’invidia. Tutti coloro che salgono in alto sono perciò oggetto d’invidia.


Il sentimento dell'invidia è sempre stato condannato dalla società, tanto che essa è considerata, dal punto di vista morale, un 'vizio'. L'invidioso infatti ha il 'vizio' di svalutare le persone che percepisce come 'migliori' di sé e spesso non si limita al pensiero o alle fantasticherie di tipo aggressivo e distruttivo, ma cerca di danneggiare oggettivamente l'invidiato, ostacolandolo in ogni suo progetto o iniziativa. Egli infatti è 'colpevole', agli occhi dell'invidioso, per essere apprezzato e stimato dalla società più del dovuto, e comunque più di quello che l'invidioso desidererebbe, anche in confronto a sé stesso. La consapevolezza che il soggetto odiato a causa dell'invidia non nutra alcun sentimento negativo nei confronti dell'invidioso non migliora in quest'ultimo il rancore e l'ostilità provata. Quasi nessuno ammette di essere invidioso. Pochissime persone ne parlano apertamente, perché svelare questo sentimento è come rivelare al mondo la parte più meschina e vulnerabile di sé stessi, cosa che non fa piacere a nessuno, nemmeno a chi tende ad autodenigrarsi o a svalorizzarsi continuamente. Per questo motivo è più frequente osservare e analizzare l'invidia negli altri, piuttosto che nei propri pensieri e comportamenti.

Solo la miseria è senza invidia (Giovanni Boccaccio)

 
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SOLO UNA RIFLESSIONE

Post n°4 pubblicato il 10 Maggio 2008 da solomarlboro66
Foto di solomarlboro66

Tutti hanno parlato della morte di Aldo Moro, ma nessuno compreso i media hanno speso una parola per Peppino Impastato. VERGOGNA.

 
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Post N° 3

Post n°3 pubblicato il 07 Maggio 2008 da solomarlboro66
Foto di solomarlboro66

Peppino Impastato: l'eroe della lotta alla mafia

 

Una poesia (Ciuri di campo) di Peppino Impastato cantata da Carmen Consoli. La cantantessa siciliana  l'ha presentata a Palermo l’anno scorso alla partenza del suo tour, proprio il 9 maggio, giorno della morte di Impastato, ucciso dalla mafia. Era la notte tra l'8 e il 9 maggio 1978: un ordigno esplosivo uccise un giovane di trent'anni: Giuseppe Impastato. Il cadavere fu ritrovato dilaniato da una carica di tritolo posta sui binari della linea Palermo-Trapani, sulla costa palermitana (Cinisi). La sua colpa è quella di aver condotto una decennale attività contro la mafia (pur provenendo da una famiglia mafiosa) e di aver denunciato e sbeffeggiato, dai microfoni di una emittente locale (Radio Aut), i mafiosi della zona, a cominciare dallo zio (capomafia) Gaetano Badalamenti.

Impastato venne fatto passare per terrorista e suicida. Lo massacrarono senza pietà lo stesso giorno in cui le Brigate Rosse uccidevano Aldo Moro. Lo uccisero due volte: perchè quel ragazzo fu sepolto sotto il fango di un'inchiesta pilotata e bugiarda. Solo poco tempo fa l'Antimafia lo ha liberato da quella schiera di carabinieri e di magistrati corrotti ed insabbiatori e gli ha restituito una degna sepoltura. E almeno per un attimo ha asciugato le lacrime di Mamma Felicia, una minuta signora (scomparsa di recente) vestita di nero, per un figlio che le fu ucciso dalla mafia e dallo Stato, in una lunga notte che forse ha incontrato la sua difficile aurora. Peppino oggi avrebbe sessanta anni.

Peppino Impastato era un ragazzo degli anni Settanta ed è ancora oggi il simbolo dell'antimafia sociale, una forma di dissenso e di battaglia sociale rispetto alla mafia in grado di rompere steccati e convenienze. Peppino era convinto del fatto che non si può vivere da soli, e soprattutto che anche quando si è in gruppo si è soli se fuori non c'è che deserto: tutti sanno ma nessuno parla, tutti soffrono ma nessuno mette in comune questa sofferenza per tradurla in liberazione.

Ecco allora il senso di Radio Aut: prendere parola e coscienza, avendo capito il legame strutturale che esiste tra mafia e politica e tra legalità e pubblica opinione. Dal microfono ebbe il coraggio di raccontare ciò che tutti sapevano ma non avevano nemmeno il coraggio di pensare. Bisogna quindi ricordare per sempre l'esempio di Peppino e della sua coraggiosa lotta contro la mafia e ogni forma di sopraffazione per l'affermazione della legalità e della libertà, un'azione portata avanti senza mai guardare in faccia nessuno, neppure in famiglia. 

Peppino non è stato un giullare di un sogno irrealizzabile ma l'uomo che ha raccontato di una speranza possibile. Esempio di una lotta tra il bene ed il male, ma passo-passo con la convinzione di una possibilità con cui riscattare il dolore dell'ingiustizia. Peppino accese un riflettore su quel clan radicato fin dentro casa sua, prese in giro gli dei dell'olimpo criminale.

Dovremmo essere tutti come Peppino Impastato: che soddisfazione urlare in faccia ai mafiosi infami che ti fanno schifo, e che tu sei uno pulito, mentre loro sono il marcio del mondo.

Dotiamoci di forza d'animo, SoloMarlboro66

 
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Post n°2 pubblicato il 02 Maggio 2008 da solomarlboro66
Foto di solomarlboro66

Io credo nei siciliani che parlano poco... 

"Io credo nei siciliani che parlano poco, nei siciliani che non si agitano, nei siciliani che si rodono dentro e soffrono: i poveri che ci salutano con un gesto stanco, come da una lontananza di secoli... Questo popolo ha bisogno di essere conosciuto ed amato in ciò che tace, nelle parole che nutre nel cuore e non dice...".

Non sono naturalmente parole mie ma di un "Grande" autore siciliano morto 19 anni fa: Leonardo Sciascia. In queste settimane ho avuto modo di conoscere meglio, attraverso i suoi libri, Sciascia e la sua grande dote di narrare le storie di mafia e i caratteri e comportamenti del popolo siciliano e dei suoi personaggi più "ironici" e suggestivi. Sciascia è uno dei pochi che abbia raccontato la mafia in opera di alto livello rivolta a un vasto pubblico. I suoi sono dei gran bei libri: attualissimi, scorrevoli e molto profondi. Fanno riflettere su come la mafia è profondamente radicata nella nostra società e su quanto sia importante riuscire a sconfiggerla.

Oggi di Sciascia c'è una profonda e costante nostalgia: manca la sua acutezza. E mi domando come avrebbe giudicato e commentato gli accadimenti a cui abbiamo assistito, dall'anno della sua scomparsa ad oggi, tempo di elezioni regionali, provinciali e tempo in cui è stato catturato il boss Provenzano. Oggi, questa Sicilia dalle mille facce sui muri, dai mille slogan ad effetto convincimento "vota per me, sono il migliore".

Con l'occhio critico e ironico di sempre Sciascia ha narrato storie di disillusioni, ideali caduti, sogni non realizzati. Di persone "meschine" sempre pronte a cambiare bandiera e di chi per restare fedele ai propri ideali ha rischiato la salute mentale. Cosa dire di un autentico genio come Sciascia: dovrebbe essere innanzitutto un autore da studiare approfonditamente, i suoi scritti dovrebbero avere una lettura obbligatoria nelle scuole. Dalla bocca di uno dei suoi personaggi, ho "ascoltato" una confessione che, letta oggi, potrebbe valere da epigrafe per tutta la sua opera: "E mi sentivo come un acrobata che si libra sul filo, guarda il mondo in una gioia di volo e poi lo rovescia, si rovescia, e vede sotto di sé la morte, un filo lo sospende su un vortice di teste umane e luci, il tamburo che rulla morte. Insomma, mi era venuto il furore di vedere ogni cosa dal di dentro, come se ogni persona ogni cosa ogni fatto fosse come un libro che uno apre e legge: anche il libro è una cosa, lo si può mettere su un tavolo e guardarlo soltanto, magari per tener su un tavolino zoppo, lo si può usare o per sbatterlo in testa a qualcuno: ma se lo apri e leggi diventa un mondo; e perché ogni cosa non si dovrebbe aprire e leggere ed essere un mondo?".

Una domanda mi sono però chiesto leggendo i suoi scritti: Sciascia crede che i siciliani, o sarebbe meglio dire, la Sicilia, potrà mai mutare? La situazione dell'Isola avrà l'opportunità di riscattarsi da quel sonno di stampo gattopardesco?

Io della mia Sicilia (e di Sciascia) credo che conserverò, per tutta la mia esistenza, la capacità di non prendersi troppo sul serio e di avere sempre una certa autoironia. Un'autoironia parente stretta dell'amarezza, però. Un'amarezza che traspare negli occhi malinconici e penetranti dei siciliani dello stampo di uomini che hanno lottato anche in silenzio contro la mafia, e che della terra natia amerà ricordare soprattutto gli scrittori come il Leonardo di Racalmuto. Sciascia penso che sia un reale rappresentate di quello che succedeva (e che disgraziatamente succede ancora) in Sicilia. La Sicilia che Sciascia ama... e che anche io adoro, nonostante tutto.

Dobbiamo smettere di essere tutti dei "quaquaraquà" e diventare tutti "uomini".

Questa è la mia Terra.

 
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