"Sapere aude"

La Parola e il Simbolo


 La PAROLA e il SIMBOLO  (2)La poesia è contemplazione lirica nel momento in cui il tragico amore di Paolo e Francesca, la “Pietà” della Mater dolorosa di Michelangelo Buonarroti, il neoclassicismo de “Le Tre Grazie” di Antonio Canova, l’armonia dei sacri affreschi della Cappella Sistina, la elegia del Canzoniere del Petrarca, la “religione delle illusioni” del Foscolo o il pessimismo cosmico nei Canti di Leopardi si trasfigura in immagine ideale e in bellezza d’arte. Tutto ciò che è arte cade nel trionfo della bellezza.La poesia è immagine che si fa “parola”, ovvero, per dirla con il Pascoli, è la voce interiore che si fa “simbolo”, forza dell’anima che aspetta di essere ascoltata, interpretata e spiegata sul piano logico-concettuale dal filosofo ontologico.Giovanni Pascoli è il maggiore poeta del Decadentismo italiano, e per la civiltà decadentistica, che aveva fatto della psicoanalisi fondata da Sigmund Freud la base scientifica  della sua poesia simbolista, la “parola” è l’espressione dell’inconscio, è lo svelamento dell’Essere, è l’aletheia, nel suo significato etimologico di “non-nascosto”, di “rivelato”.Anche per il Poeta di Castelvecchio di Barga, il sentimento lirico è la forza dell’anima che trabocca e promana sulle cose, sulle piccole cose, svegliando stupore e meraviglia nel “fanciullino”, radicato in ciascun di noi.La visione del “fanciullino” pascoliano è la immaginazione incontaminata, pura, fresca, spontanea, che s’interroga, per l’appunto, con stupore e meraviglia sui misteri della vita e della morte e sugli arcani della natura. La poetica del “fanciullino” del Pascoli è un saggio programmato, apparso, per la prima volta, sulla rivista letteraria “Il Marzocco” del 1897.Il “fanciullino” è il simbolo dell’anima del poeta, che si fa dominare da due sentimenti prorompenti: il sentimento della memoria e il sentimento della piccole cose.Il sentimento della memoria di un mondo scomparso: quello degli affetti famigliari e del mondo agreste, che il Pascoli canta e rimpiange con struggente malinconia. Avverte con implacabile amaritudine l’estraneazione della sua incontenibile spiritualità al mondo della città e il suo amore infinito per la campagna, per il mondo agreste e le sue misteriose creature.L’altro sentimento, quello delle piccole cose, viene espresso dal Pascoli attraverso il fonosimbolismo che soltanto il poeta riesce a cogliere, perché il poeta, che non è filosofo né scienziato né altro, sa mettersi in ascolto ed intuire con lo stupore del fanciullino le proprietà “ontiche”, secondo la terminologia di M. Heidegger, che la fredda razionalità non riesce a raggiungere.La poesia è una via privilegiata che soltanto il poeta, come il Pascoli, riesce a percorrere fino in fondo per cogliere l’essenza delle cose, interpretare il simbolo e svelare la realtà noumenica del micro e del macrocosmo.La poesia pascoliana delle piccole cose, infatti, dal microcosmo spirituale del poeta si espande fino a coinvolgere il macro-cosmo.Basti ricordare la stupenda lirica del “X Agosto”, che, cantando il dolore sterminato del Pascoli per la morte del padre, si traduce in una incontenibile sofferenza delle stelle che piangono sul gran mistero del male universale.La poesia diventa cosmica, perché non ha limiti né di tempo né di spazio, ma resta sempre sentimento e visione , evocazione e musicalità che straripa dalla spiritualità del poeta.Mi piace, a questo punto, ricordare la conclusione della lirica “Il Bolide”, dai Canti di Castelvecchio: Cielo, e non altro: il cupo cielo, pieno di grandi stelle; il cielo in cui sommerso mi parve quanto mi parea terren. E la Terra sentii nell'Universo. Sentii, fremendo, ch'è del cielo anch'ella. E mi vidi quaggiù piccolo e sperso errare, tra le stelle, in una stella.  Ma del Pascoli seduce ancor di più la sua visione d’immagini e di simboli in una cornice linguistica estremamente musicale e variopinta, sorretta da onomatopee, sinestesie, anafore ed altre figure retoriche.Con grande sollazzo infantile ricordiamo i versi della gallina nella poesia “Oh, Valentino!”:Pensa, a gennaio, che il fuoco del ciocco non ti bastava, tremavi, ahimè!, e le galline cantavano, Un cocco! ecco ecco un cocco un cocco per te! Poi, le galline chiocciarono, e venne marzo, e tu, magro contadinello, restasti a mezzo, così con le penne, ma nudi i piedi, come un uccello: come l’uccello venuto dal mare, che tra il ciliegio salta, e non sa ch’oltre il beccare, il cantare, l’amare, ci sia qualch’altra felicità.Ancora più famosa è la parola onomatopeica “chiù”, che si ascolta recitando “L’Assiuolo”:“Le stelle lucevan rareTra mezzo alla nebbia di latte:Sentivo il cullare del mare,Sentivo un fru fru tra le fratte:Sentivo nel cuore un sussulto,Com’eco di un grido che fu.Sonava lontano il singulto:Chiù……. In questa breve lirica troviamo tutto il Pascoli: la sua anima di poeta simbolista, cesellatore della “parola” che si fa musica, visione e sentimento di un mondo che fu: il suo “nido” agreste ovattato da profondi affetti famigliari.Altre immagini seducenti si evidenziano in rilievo dalle numerose sinestesie di colori e di suoni che caratterizzano:“L’Assiuolo”:“Venivano soffi di lampi”.“Il Gelsomino Notturno”: “L’odore delle fragole rosse”.“Novembre”: “L’odorino amaro”. Sono bozzetti del mondo campestre, animato da colori e da suoni, che scandiscono i ritmi e i palpiti delle poesie della raccolta “Myricae”, le “umili tamerici” di virgiliana memoria.Sono il “verde delle selve” e il “biondo del grano”, il “fragor dei fiumi” e dei ruscelli”, “lo stormir della piante”, “il canto delle cicale e degli uccelli”, i colori dell’ode “Al corbezzolo” ovvero della bandiera italiana: il bianco dei fiori, il rosso delle bacche, il verde delle foglie.Sono i colori e i suoni che richiamano al cuore e alla mente emozioni e riflessioni profonde e rimandano al più programmato simbolismo francese di Paul Verlaine, Stephene Mallarmé ed Arthur Rimbaud, per i quali il poeta è un “veggente”, che svela i simboli, penetrando nei misteri della vita, illuminando l’oscuro che è in noi e provocando la “insurrezione dell’inconscio”. Per tutti questi aspetti la visione decadentistica del Pascoli prelude, in maniera più specifica, ad un’altra corrente del Decadentismo italiano: all’Ermetismo, con le sue tipiche tematiche esistenziali, che caratterizzano le famose poesie di Ungaretti, Montale, Quasimodo e Umberto Saba.Scrive Elio Gioanola: “Col Decadentismo e con la insurrezione dell’inconscio, subentra la sensibilità di una presenza della morte dentro alla vita stessa……Autenticità e morte diventano sinonimi: la morte, come più propria possibilità dell’esserci, sottrae alle tentazioni alienanti, assicurando all’artista l’originalità nella misura in cui lo affranca dal <si> , cioè dal generico, dal gia-detto, dal convenzionale, dall’equivoco, dalle spiegazioni, dalla chiacchiera. L’artista si mette nelle condizioni vere della libertà, che consiste appunto nell’essere, e nel diventare, ciò che si è”. (E: Gioanola, Il Decadentismo, Studium, Roma, 1972, pp. 177 e 179).  (continua)