"Sapere aude"

La Parola e il Simbolo


LA PAROLA E IL SIMBOLO   (1)Se fosse possibile radunare i miei ex-alunni in un’aula scolastica di dieci, venti, trent’anni fa, avvierei con loro una ricerca didattica sulla valenza della “parola” e del “simbolo” nel linguaggio dell’arte e della filosofia, partendo dalla parole che Papa FRANCESCO ha pronunciato, lo scorso 6 Ottobre, alla inaugurazione del  Sinodo di cardinali, vescovi e patriarchi sulla famiglia. Il Papa  ha invitato tutti i padri sinodali a “parlare con parresìa e ascoltare con umiltà”.Nella tradizione cristiana, dall’Antico al Nuovo Testamento, negli Atti degli Apostoli, in San Paolo, “parlare con parresia” significa “parlare con franchezza e fiducia” nella preghiera a Dio e con gli altri uomini.“Palare”, però, non significa comunicare, emettere suoni articolati o peggio ancora “chiacchierare”. “Parlare” significa, oltre modo, saper ascoltare, “ascoltare con umiltà”, come dice il Papa. Parlare implica due necessità: l’una, aderire con franchezza e verità al proprio essere; l’altra,  predisporsi ad ascoltare l’altro con umiltà e fiducia nelle sua verità e sincerità.Il “parlare” implica “relazione”. Se non c’è relazione non ha luogo il “parlare”. Già Platone scrive nel “Sofista” che, se non c’è possibilità di relazione, non c’è nemmeno l’essere. Ovvero, in altri termini, non esiste chi non dispone di alcuna possibilità di entrare in relazione con altro o con l’altro.Ma la “relazione”, oltre a sottintendere il concetto di “essere” di cui resta la principale categoria, postula anche il concetto di “amore”, che ancora per Platone, nel “Simposio” e nel “Fedro”, è desiderio di bellezza, la quale, nel suo sommo grado, è guida verso il mondo delle “idee”;  è, cioè,  dialettica, filosofia, ricerca dell’essere; è amore. Eros per l’essere. Desiderio della bellezza metafisica.Con Sant’Agostino scendiamo in mezzo agli uomini, nella concretezza delle infinite esistenze, e sentiamo ammonirci dalle sue testimonianze spirituali: quando parli, parla sempre con amore; quando correggi, correggi sempre con amore, quando perdoni, perdona sempre con amore, ecc.ecc.. L’amore è, quindi, l’anima della relazione e la relazione è a fondamento del parlare, ovvero l’amore è l’anima della parola. Il resto non è altro che chiacchiera, banalità, superficialità, pettegolezzi ed opinioni della vita quotidiana, mera curiosità. E’ equivoco, a motivo del quale, direbbe Martin Heidegger, due interlocutori finiscono per non intendersi più, perché hanno smarrito perfino l’oggetto-concetto intorno a cui hanno intrapreso non a “parlare”, ma ad emettere chiacchiere, futilità, dicerie, maldicenze, supponenze, arroganze, ecc. ecc.,  senza mai ascoltare con umiltà l’altro che interagisce con i medesimi stati emotivi, partendo da una base priva di razionalità e di pensamento logico. Nella sistemazione critico-filosofica delle sue tesi fondamentali che presiedono alle diverse elaborazioni delle sue opere estetiche, Benedetto Croce, nella sua meravigliosa opera “POESIA” del 1936, individua nella “parola” la valenza della poesia. “La sola parola è veramente espressione poetica”, che innalza il particolare, l’individuale sul piano dell’universale. “L’espressione poetica”, cioè la “parola”, è forma e contenuto della poesia. La poesia non è un sentimento che aspetta di ricevere la sua forma, o,  viceversa, una forma che aspetta di ricevere il suo contenuto. La poesia è un contenuto già formato. “Rem tene, verba sequentur”, soleva ripetere  il Croce, intendendo significare che se c’è il sentimento, c’è anche l’espressione poetica, che quel sentimento ha già trasfigurato in pura immagine universale, resa pura, libera  dal sentimento individuale, che è la morte della poesia.   Il sentimento, quindi, non preesiste alla espressione poetica e questa non ha nulla a che fare con le altre espressioni, che possono essere tecniche, prosastiche, letterarie, oratorie, sentimentali, nel senso che sono veicoli di accese passioni individuali, ma non espressione poetica. Questa, ripeto, compie il miracolo di trasfigurare un sentimento individuale in poesia universale. Il miracolo è assicurato dalla “parola” che, con le altre espressioni che non sono quella poetica, resta “un suono articolato”, un veicolo che assicura la comunicazione, la tecnica , il saper parlare, ecc. ecc.; ma la tecnica non è “poesia”.La poesia nasce come intuizione lirica o forza dell’anima e si fa poesia nel ritmo, nell’armonia, nella bellezza, nell’arte.La poesia è contemplazione del sentimento trasfigurato in immagine ideale, e perciò universale.La poesia è la immagine del dolore della madre di Cecilia de “I Promessi Sposi”, rese ideale, universale, bellezza, arte.Scrive il Manzoni nel cap. XXXIV, in uno dei momenti lirici più emozionanti del suo Romanzo, nel mezzo della bufera della peste della Milano del 1630:  “Scendeva dalla soglia d'uno di quegli usci, e veniva verso il convoglio, una donna, il cui aspetto annunziava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un languor mortale: quella bellezza molle a un tempo e maestosa, che brilla nel sangue lombardo. La sua andatura era affaticata, ma non cascante; gli occhi non davan lacrime, ma portavan segno d'averne sparse tante; c'era in quel dolore un non so che di pacato e di profondo, che attestava un'anima tutta consapevole e presente a sentirlo. Ma non era il solo suo aspetto che, tra tante miserie, la indicasse così particolarmente alla pietà, e ravvivasse per lei quel sentimento ormai stracco e ammortito ne' cuori. Portava essa in collo una bambina di forse nov'anni, morta; ma tutta ben accomodata, co' capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo, come se quelle mani l'avessero adornata per una festa promessa da tanto tempo, e data per premio. Né la teneva a giacere, ma sorretta, a sedere sur un braccio, col petto appoggiato al petto, come se fosse stata viva; se non che una manina bianca a guisa di cera spenzolava da una parte, con una certa inanimata gravezza, e il capo posava sull'omero della madre, con un abbandono piú forte del sonno: della madre, ché, se anche la somiglianza de' volti non n'avesse fatto fede, l'avrebbe detto chiaramente quello de' due ch'esprimeva ancora un sentimento” .    ( continua