"Sapere aude"

La via della Bellezza


   In questi giorni, Papa FRANCESCO si è recato in Turchia, un paese dove il 90% della popolazione è di religione musulmana, sul solco inaugurato da PAOLO VI e continuato da GIOVANNI PAOLO II e da BENEDETTO XVI, per proseguire in una impresa tanto coraggiosa quanto difficile:  a) intraprendere un dialogo interreligioso con la galassia musulmana, b) avviare un dialogo politico-diplomatico con il presidente della Turchia, ERDOGAN, e  c) consolidare un dialogo ecumenico con BARTOLOMEO I, patriarca dei Cristiani ortodossi. Per i primi due aspetti l'impresa sembra molto difficile, quasi impossibile, per ragioni che noi possiamo intuire ma che gli altri, dotati di competenze e conoscenze adeguate, possono spiegare.Per  la unità di tutti i Cristiani, Cattolici ed Ortodossi, il processo di riconciliazione sembra essere giunto all'ultimo passo, ieri, Prima Domenica di Avvento, con le firme della "Dichiarazione Congiunta",  di FRANCESCO I  e  BARTOLOMEO I.Questo mio approccio iniziale alla unità di tutti i Cristiani vuole essere, però, soltanto una occasione per esporre a modo mio una tematica altrettanto importante quanto quella religiosa: una riflessione estetica sulla Bellezza.  Il motivo mi deriva dalla visita fatta da Papa Bergoglio,  in primis, alla Moschea Blu di Istanbul, dove si riuniscono i Musulmani per pregare, e poi al Museo di Santa Sofia, ex Basilica cristiana, dedicata alla Divina Sapienza.La Bellezza estetica di queste due Architetture, decorati con mosaici e pannelli marmorei, mi induce a dire che la Bellezza, come parto dello Spirito, è una sola e non soffre conflitti o limiti né politici né culturali né religiosi. La Unità estetica della Bellezza è precedente a tutte le Unità. La Bellezza è una categoria dello Spirito che appartiene a tutti gli uomini, perché appartiene all'Umanità.Dedicata alla Divina Sapienza, l'ex-Basilica di Santa Sofia intende essere un Modello Ideale e Reale della Bellezza e una dimostrazione plastica della sorgente della Cultura dello Spirito in Medio Oriente, come la sorgente della nostra Salvezza ha trovato luogo nella umiltà e castità di Maria, Rosa mistica di Bellezza.La riflessione filosofica, poi, fin dalle prime forme sistematiche  del pensiero greco, ha sempre considerato fondamentale ricercare la natura del bello per definirlo nella concretezza naturale o per esaltarlo nelle forme d'arte, come consolazione ed emozione della nostra spiritualità.Fin da subito, ci si è interrogato se il bello d'arte o di natura avesse una sola scaturigine o una sua esclusiva collocazione nella mente e nello spirito dell'uomo. Spesso, fra le altre bizzarrie della mente mi sovviene il pensiero di chiedermi se gli animali, più o meno animati da parvenze di intelligenza, siano essi capaci di distinguere in maniera certamente istintiva ciò che è bello da ciò che bello non è e, quindi, siano essi capaci di emozionarsi. Io ritengo che questo mio dubbio non sia poi tanto peregrino e riconducibile soltanto alla natura delle mie stravaganze, perché, se il cane Fido esprime la sua contentezza nel ritrovarsi a fianco ad Ulisse, scodinzolandogli attorno per il piacere di essergli vicino, potrebbe anche  nella sua "animalità", non posso dire "spiritualità", avvertire la "bellezza" della fedeltà e della vicinanza all'essere umano, emozionandosi nel perseguire una relazione di affetto e di amicizia, di cui quasi sempre gli esseri umani non sono in grado di coltivare in maniera duratura fra di loro. Il cane Fido non tradisce mai, perché forse gode della "bellezza" della fedeltà, l'essere umano, donna o uomo che sia, tradisce sempre, perché di certo gode  per egoismo e sensibilità, che sono gli aspetti antitetici della "bellezza", la quale, essendo sempre di genesi spirituale, non ha nulla da spartire con la materialità e il soddisfacimento dell'Ego e il trasporto dei sensi.Nella storia del pensiero e della riflessione sulla natura della bellezza non sono mancati interrogativi su quante dimensioni di bellezza dobbiamo far cadere il nostro giudizio estetico. Fino a pochi decenni orsono, filosofi e cultori di estetica hanno sempre considerato l'arte, intesa in senso lato, la sede naturale della bellezza. Oggi, sembra che con il moltiplicarsi delle forme d'arte si finisce per smarrire i criteri critico-estetici con cui procedere nella definizione della bellezza. Io continuo a ritenere che la bellezza, come la bontà e la verità, essendo tutte dimensioni dello spirito, siano tutte univoche nella loro struttura trascendentale e proprietà a priori dell'essere. Sono numerose le vie lungo le quali procedere per stupirsi della bellezza, ma essa resta unica e kantianamente universale per tutti gli uomini.In altri termini, voglio dire che non esiste la bellezza della rosa irrorata di rugiada e la bellezza del rosso tramonto che si riflette sulle montagne innevate o la bellezza di un'opera d'arte che siano diverse dalla bellezza che alberga nell'armonia dei lineamenti di una creatura terrena o dalla  bellezza di un'azione morale o da quella di un'opera di verità. Non esistono bellezze diverse a seconda delle emozioni che procurano l'ascolto di una lirica verdiana o lo smarrimento emotivo dell'amore per monna Laura   o il rapimento mistico nella santità etica. La bellezza è una sola ed è quella che insorge nel nostro Spirito, nella nostra mente, nella nostra comune struttura mentale, in senso universale e, cioè, nel senso che tutti ci dobbiamo trovare concordi nel giudicare una cosa bella, non perché la bellezza esiste negli oggetti come proprietà ontologica di essi, ma perché la bellezza inerisce strettamente al nostro Spirito, che è la sorgente esclusiva della bellezza. Si potrebbe, quindi, ripetere con Kant che "se le belle forme sono in natura, la bellezza è nell'uomo".Con PLATONE abbiamo la prima trattazione sistematica della Bellezza nelle due grandi opere d'arte  e di filosofia, che sono i dialoghi : il Simposio e il Fedro.  In essi il filosofo riflette sulla natura e sull'ufficio della Bellezza, intesa come "desiderio dell'Eros", dell'Amore che si stabilisce fra gli uomini. L'Amore, cioè, è pensato come tensione continua verso la Bellezza,  come desiderio insopprimibile  di ciò che non si ha, essenza ontologica  dell'essere "uomo" e funzionale alla sua esistenza.L'Amore può permanere irretito dalla bellezza corporea, ma colui il quale è fortemente innamorato della Bellezza  desidera ascendere, attraverso la bellezza dell'anima, delle leggi e delle scienze, fino alla Bellezza metafisica, alla Sostanza ideale, che alimenta e spiega la esistenza di tutte le bellezze che si fenomenizzano in questo mondo.La Bellezza ideale, la Idea della Bellezza, insieme con l'Idea del Vero e del Bene, si trova all'apice della piramide della Realtà Ideale. Contemplate dalle nostre Anime, prima della loro  incarnazione, le tre Idee della Bellezza, del Vero e del Bene vengono riconosciute come copie nel mondo fenomenico  soprattutto dall'uomo saggio,  che persegue con la ricerca  la conoscenza del Vero, del Bello e del Buono, da  spiegare agli altri come le tre finalità fondamentali della filosofia.La Bellezza, quindi, già con Platone, che aveva teorizzato i diversi gradi della Bellezza,  resta, in verità, una sola, la Bellezza metafisica, la "Divina Sapienza", la fonte ideale di tutte le bellezze che hanno luogo in questo mondo dei fenomeni.L'Amore, come desidero di Bellezza, non riposa, non si acqueta, non attenua la sua tensione fino a quando non contempli la Bellezza Ideale. Elaborata in questi termini, la ricerca platonica della Bellezza, come la ricerca del Vero e del Bene, è la ricerca della vera sostanza, cioè filosofia, "dialettica dell'anima", per ascendere alla "Realtà" iperuranica, di cui questo nostro mondo è pura imitazione.Si potrebbe adombrare in questa meravigliosa dottrina di Platone una intuizione precristiana del Cristianesimo, inteso come Bellezza, la quale tramite la Scienza, l'Arte, la Filosofia, la Religione ci seduce e ci conduce fino a Dio.Sia chiaro, però, che questa concettualizzazione non intende essere una pretesa della mente mirante a definire i diversi gradi per salire la scala della Ascensione a Dio, ma una mera dimensione dello Spirito per affermare, fra le altre visioni di Dio e del Mondo, che, se Dio è Amore, "Deus caritas est" - come suole ripetere Benedetto XVI -   Amore incommensurabile per le sue creature, queste per corrispondere all'Amore di Dio devono essere pervase dall'Amore per la sua Bellezza, per la sua Verità e per la sua Bontà.Allo scriba che chiedeva a Gesù: "Qual è il primo comandamento di tutti?",  Gesù rispondeva: "Il primo comandamento di tutti è: < .......Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza >. (Marco 12, 28-34).  Se, dunque, amare Dio significa amare con il cuore, con l'anima e con la mente, la ricerca di Dio non può che essere Amore per la Verità, per la Bontà e per la  Bellezza. Il desiderio di Dio, come pensava Platone, è desiderio di Verità, di Bontà e di Bellezza."Potrà questa bellezza rovesciare il mondo", si domandava Padre David Maria Turoldo, parlando e scrivendo di poesia. Questo frate dei Servi di Dio, morto il 6 febbraio 1992, è stato una personalità complessa di sacerdote e di poeta. Viene considerato, per parere quasi unanime, uno dei più grandi poeti del Novecento, per la sua poetica di sensibilità ermetica, molto simile al fascino della poesia di G. Ungaretti e pervasa tutta dallo Spirito  dell'Antico Testamento. A giudizio dei suoi critici, in padre Turoldo, poesia e Bibbia si coniugano in misura mirabile, soprattutto  nelle sue poesie dei"Canti ultimi" e delle "Mie notti con Qohelet". Scrive Luciano Zappella: "La Bibbia innerva tutta la poesia di Turoldo, tanto che i due ambiti non sono semplicemente giustapposti o sovrapposti, bensì intimamente compenetrati, come se la Bibbia accendesse la poesia e la poesia rischiarasse la Bibbia, come se la Bibbia arricchisse di senso la poesia e la poesia arricchisse di senso la Bibbia, in un vero e proprio circolo ermeneutico ( la poesia interpreta la Bibbia che a sua volta interpreta la poesia)." ("Il mondo della Bibbia", Marzo-Maggio 2012, pag. 63).E' molto famosa e popolare la espressione di Fedor Dostoevskij, che, nel romanzo "L'idiota", dice:  "Il mondo lo salverà la bellezza"; locuzione che, esplicitata dagli studiosi del pensiero del grande scrittore russo, esprimerebbe  la interpretazione secondo la quale nel mondo permane la Bellezza come proprietà immanente. Basti saperla scorgere e goderne della sua esistenza. Il mondo, in altri, termini sarà salvato dalla Bellezza, perché a questa deve essere finalizzata la nostra esistenza, educando gli uomini a saperla riconoscere negli enti del creato, nei misteri della vita, nel fascino di tutte le creature, nelle leggi  dello Spirito, che è il signore del vero, del bene e del bello, in lotta perenne contro la volgare materialità, la violenza, la barbarie e la oscurità del male.Sarà lo Spirito, lo Spirito di Bellezza a salvare il mondo, ovvero, nella espressione formale, lievemente modificata rispetto a quella originale di Dostoesvskij, il suo grande amico  Vladimir Sergeevic Solov'ev affermava: "La bellezza salverà il mondo", intendendo  sottolineare, più che la presenza della bellezza nel mondo, la funzione eminentemente salvifica di essa. In altri termini ancora, il "processo estetico", esistente nella natura, verrebbe rafforzato non dalla contemplazione del bello di natura, ma dall'attività dell'uomo   - homo faber  -  che s'impegna a coltivare lo Spirito nella realizzazione del bello, del vero e del buono.L'uomo, inteso nella sua materialità, non solo non collabora al "processo estetico" universale, ma cessa anche la sua corsa nel finito; l'uomo spirituale, invece, facendosi artista, profeta e filosofo, prosegue la sua corsa nell'Infinito, nell'Eternità, perseguendo il vero, il bene e il bello nel superamento fichtiano degli ostacoli esteriori, della materia, ed interiori, della nostra sensibilità.E' una visione idealistica e spiritualistica della nostra esistenza, che non inficia, a mio modesto parere, l'autonomia dell'arte e della bellezza, perché questa non è finalizzata al vero e al bene, ma, come il vero e il bene, è una dimensione ontologica del nostro spirito.L'autonomia dell'arte è difesa nettamente, nei suoi testi estetici, da Vladimir S. Solov'ev, il più grande filosofo della storia del pensiero russo, paragonato da molti studiosi alla figura di San Tommaso, per la profondità del suo pensiero religioso e per l'elevate capacità di riflessione nell'investigazione laica della verità. E' stato anche un grande poeta dei prodromi della poetica simbolistica in Russia.GIOVANNI PAOLO II, santo, gigante e filosofo,  ne fa menzione nella sua enciclica "FIDES ET RATIO", al N. 74, dove scrive: "Il fecondo rapporto tra filosofia e parola di Dio si manifesta anche nella ricerca coraggiosa condotta da pensatori più recenti, tra i quali mi piace menzionare, per l'ambito occidentale, personalità come John Henry Newman, Antonio Rosmini, Jacques Maritain,..........., e per quello orientale, studiosidella statura di Vladimir S. Solov'ev, ......C'è da sperare che questa grande tradizione filosofico-teologica trovi oggi e nel futuro i suoi continuatori e i suoi cultori per il bene della Chiesa e dell'umanità". (Cfr.: "Fides et Ratio", Libreria Editrice Vaticana , 1998, pagg. 99 - 100).Tornando, però, alla riflessione  fondamentale di questo breve scritto sulla natura della Bellezza mi piace citare di Vladimir Solov'ev il suo importantissimo libro "Sulla"bellezza (nella natura, nell'arte, nell'uomo"),  ( Edilibri, 2006, pp. 128), che fa il paio con un altro libro "Gloria. Un'estetica teologica" (Jaca Book, Milano, 1985) di un altro grande pensatore e teologo del secolo scorso, HANS URS VON BALTHASAR,  svizzero di Lucerna, che, dopo svariate vicissitudini sofferte per responsabilità della gerarchia ecclesiastica, viene nominato cardinale nel 1988 da Papa GIOVANNI PAOLO II.Autore di una vasta produzione di Opere, sorrette da profondo pensiero teologico, a me piace ricordarlo per il libro appena citato "Gloria", che si manifesta, secondo me, come uno struggente inno alla Bellezza, fuggita via, forse per sempre da questo mondo o, meglio, non più scorta e smarrita  dagli uomini della nostra età, impegnati in "vari esperimenti artistici e critici che cercano di sostituire al bello-ideale il deforme-reale" (Solov'ev, Op. cit., pag.35), all'amore platonico come desiderio di bellezza il gusto per l'orrido, per lo stravagante, per il sensazionale, per lo scandaloso, per il brutto che bello non è.VON BALTHASAR,  nel Vol. I dell'opera sopra citata, nelle pp. 10-11, così scrive : "La nostra parola iniziale si chiama bellezza. La bellezza è l'ultima parola che l'intelletto pensante può osare di pronunciare, perché essa non fa altro che incoronare, quale aureola di splendore inafferrabile, il duplice astro del vero e del bene e il loro indissolubile rapporto. Essa è la bellezza disinteressata senza la quale il vecchio mondo era incapace di intendersi, ma la quale ha preso congedo in punta di piedi dal moderno mondo degli interessi, per abbandonarlo alla sua cupidità e alla sua tristezza. Essa è la bellezza che non è più amata e custodita nemmeno dalla religione, ma che, come maschera strappata al suo volto, mette allo scoperto dei tratti che minacciano di riuscire incomprensibili agli uomini. Essa è la bellezza alla quale non osiamo più credere e di cui abbiamo un'apparenza per potercene liberare a cuor leggero. Essa è la bellezza infine che esige (come è oggi dimostrato) per lo meno altrettanto coraggio e forza di decisione della verità e della bontà, e la quale non si lascia ostracizzare e separare da queste sue due sorelle senza trascinarle con sé in una vendetta misteriosa. Chi, al suo nome, increspa al sorriso le labbra , giudicandola come il ninnolo esotico di un passato borghese, di costui si può essere sicuri che - segretamente o apertamente - non è più capace di pregare e, presto, nemmeno di amare [.....].In un mondo senza bellezza - anche se gli uomini non riescono a fare a meno di questa parola  e l'hanno continuamente sulle labbra , equivocandone il senso -  in un mondo che non ne è forse privo, ma che non è  più in grado di vederla , di fare i conti con essa, anche il bene ha perduto la sua forza di attrazione, l'evidenza del suo dover-essere-adempiuto; e l'uomo resta perplesso di fronte ad esso e si chiede perché non deve piuttosto preferire il male. Anche questo costituisce infatti una possibilità, persino molto più eccitante. Perché non  scandagliare gli abissi satanici?  In un mondo che non si crede più capace di affermare il bello, gli argomenti in favore della verità hanno esaurito la loro forza di conclusione logica;"A smarrire, quindi, la via della bellezza, ci si perde anche sulla via della bontà e su quella della verità: l'amore che non sia  ricerca della bellezza perde il suo anelito a relazionarsi con l'altro, perde di senso, diventa sterile,  non sortisce nessuna bontà, perché manca l'oggetto dell'amore, manca la bellezza.Parimenti, deviando dalla bellezza, si smarrisce  anche la ricerca della  verità, che dà luce alla bontà e alla bellezza. Il contrario della verità è la non-verità, cioè la menzogna, l'ipocrisia, l'inganno, la falsità, l'allucinazione, l'apparenza: aspetti, tutti, del male e delle tenebre  che  oscurano  la verità e distruggono  la bellezza.Verità, bontà e bellezza sono categorie dello spirito, distinte fra di loro, come pensa B. Croce, ma tutte convergenti a realizzare la vita. "Se si domanda quale sia il fine dell'attività morale  -  scrive B. Croce  -  si deve rispondere che il fine della morale è di promuovere la vita. <Viva chi vita crea!>, cantava Volfango Goethe. Ma la vita promuovono tutte le forme dell'attività spirituale con le opere loro, opere di verità, opere di bellezza, opere di pratica utilità. Per esse si contempla e si comprende la realtà, e la terra si copre di campi coltivati e d'industrie, si formano le famiglie, si fondano gli stati, si combatte, si sparge il sangue, si vince e si progredisce". (B. Croce, "La storia come pensiero e come azione; L'Attività morale", Bari, Laterza, ultima edizione, pp. 42-43).La bellezza, quindi, nell'arte, nella natura, nell'uomo resta una dimensione dello Spirito, conserva la sua autonomia e non è ancella né della filosofia né della religione né dell'economia né della morale. Un'opera d'arte, in altri termini, non è chiamata a cogliere alcun risultato o scopo particolare, come la filosofia e la religione, che sono le scienze dello Spirito finalizzate a discernere la realtà dalla non realtà, il vero dal falso. Un'opera d'arte può benissimo rappresentare la non realtà, il falso, la bugia, perché il compito esclusivo è quello di esprimere ciò che è immanente alla sua natura, cioè la bellezza. L'opera d'arte nasce dallo spirito e vive nello spirito, emozionando chi la contempla. Parimenti, un'opera d'arte può esprimere anche una immagine moralmente biasimevole ed esecrabile, ma non per questo cessa di essere opera d'arte, che, esteticamente emozionante, mette chi la contempla in uno stato di ebbrezza spirituale, quasi simile a quella provata da Dante, quando  i beati tutti del Paradiso  intonano la dolce melodia dell'Inno a Dio: "Al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo, cominciò,  'gloria!', tutto il paradiso sì che m'inebriava il dolce canto". (Par. XXVII, 3).Allo stesso modo, la bellezza dell'opera d'arte non dipende dalla sua  valenza sul piano economico. Essa è bella perché è bella, e tutti, dico tutti, non possono non trovarsi d'accordo sulla sua bellezza. C'è stato un tempo in cui andavano di moda estetiche presunte, dipendenti da impegni e funzioni che con l'autonomia dell'arte non avevano nulla a che vedere. Basti ricordare le cosiddette concezioni estetiche sociologiche o di obbedienza politica, secondo cui l'arte doveva magnificare soprattutto il potere. Ma   la  bellezza non dipende dalle mode o dai poteri di qualsivoglia natura. Essa è una condizione eterna  dello spirito, in cui si riconoscono tutti gli uomini sotto qualsiasi latitudine, in qualsiasi tempo e contesto di cultura. L'arte, e quindi la bellezza, sempre  la si contempla e mai si ragiona su di essa.Sono questi criteri estetici  -   teorizzati prima da I. Kant e poi da B. Croce, che rese ancora più radicale, per tanti aspetti, l'idealismo estetico del filosofo tedesco  -   che mi inducono a sostenere il carattere universale della bellezza, dovunque essa alberghi, in una opera d'arte, in una opera di verità, in una opera morale,  nella Venere Dormiente di Giorgione e Tiziano, a Dresda,  o  nelle immagini sacre di Giotto nella Cappella degli Scrovegni, a Padova.In questo contesto di pensiero, la Bellezza s'incontra con la Bontà e questa con la Verità, e tutte e tre, essendo proprietà trascendentali ovvero ontologiche dell'essere, pur conservando la loro autonomia, convergono a creare la Vita." E che cosa mai aggiunge a queste opere belle, vere e variamente utili la moralità? Si dirà: le opere buone. Ma le opere buone, in concreto, non possono essere se non opere di bellezza, di verità, di utilità. [......].  Per la stessa ragione, quel medesimo che l'uomo di gusto sente come brutto, e l'uomo della verità come falso, e l'uomo pratico come discordante dal fine e perciò inutile e dannoso, si ripercuote nella loro coscienza come male e di esso si chiamano in colpa e provano rimorso morale; onde con filosofica profondità la radice degli errori teorici e delle bruttezze artistiche è stata riposta nel male morale". (Croce, Op. cit., pp. 44-45).Sulla via di Papa Bergoglio, sulla Via che conduce ad Emmaus, sulla via della Verità, del Bene e del Bello, non c'è spazio per le "bruttezze artistiche" e il male morale