"Sapere aude"

IL FINE DELLA STORIA (1)


 IL FINE DELLA STORIA     (1) Quest'anno, 2015, tra la giornata della memoria, 27 Gennaio, che ricorda la liberazione, da parte dell'Armata Rossa, del campo di concentramento obbrobrioso dell'Olocausto degli Ebrei ad Auschwitz, e il 10 Febbraio, giornata della commemorazione delle vittime  delle Foibe, è capitata anche, il 29 Gennaio u.s., la visita del neo-Presidente della Repubblica Italiana, prof. SERGIO MATTARELLA, al Mausoleo delle Fosse Ardeatine. Gesto simbolico dell'Unità e della Nobiltà Nazionale per commemorare i 335 martiri dell'eccidio compiuto  dalle truppe di occupazione tedesche a Roma.Anch'io, intendo celebrare, a modo mio, i martiri, i milioni di martiri massacrati dagli aguzzini e dai carnefici di tutte le barbarie, che, ancora in questi giorni, in queste ore, "lavorano", si fa per dire, alla distruzione dell'Umanità.Ci riusciranno? Io non lo penso, perché l'essenza dell'uomo  dimora in Dio, che è il Signore della Vita, è il Dio dell'Amore. "Deus Caritas est" sono, infatti, le parole iniziali della Lettera Enciclica  di Benedetto XVI, che riprendendo il versetto di Giovanni, 1, 4, 16, afferma che l'Amore di Dio è l'essenza dell'uomo.Il filosofo napoletano Gian Battista Vico (1668-1744), partendo dal suo assunto fondamentale che "Verum et factum convertuntur", - e cioè: il vero e il fatto si convertono l'uno con l'altro, si identificano -  sostiene, nelle sue opere "De antiquissima...." e nella "Scienza nuova", che l'uomo può conoscere soltanto quello che fa da sé.  In altri termini, l'uomo può conoscere soltanto la matematica, l'etica, la storia, la sua esistenza ecc., perché sono "saperi" costruiti dall'uomo stesso.A tal fine,  il Vico argomenta che Cartesio sbagliava nel dire: "Cogito ergo sum"., che significa: "Penso dunque sono", cioè conosco la mia essenza. Avrebbe dovuto dire, invece, "Cogito ergo exsisto", che significa: Penso dunque conosco la mia esistenza, perché l'uomo può conoscere solo la sua esistenza,  in quanto progettata e costruita da sé, non la sua essenza, la sua substantia, fatta da Dio e su cui, secondo la deduzione esistenzialistica, poggi l'esistenza dell'essere uomo.Ma se per l'uomo di ragione, ens rationis, la realtà metafisica dell'uomo non è conoscibile, per l'uomo di fede la realtà metafisica dell'uomo è, a mio modesto avviso, l'amore di Dio, come credono l'apostolo Giovanni e tutti i sinceri Cristiani. La conoscenza come effetto della luce della Fede non è affatto inferiore alla conoscenza come effetto della illuminazione della Ragione.Certo, in tutte le esistenze, biologiche e materiali, particolari ed universali, consapevoli ed inconsapevoli, coscienti ed incoscienti, io ho motivo di pensare che ci sia un fine predeterminato e programmato che sfugge non solo alla nostra razionalità ma anche alle nostre capacità di immaginazione o di intuizione.E' stato sempre tema di appassionata riflessione da parte della grandissima maggioranza dei filosofi di tutti i tempi la ricerca dei fini di ogni evento che succede in questo mondo, perché si capisce subito, anche con logica elementare, che, individuando i fini  di tutto ciò che avviene sotto i nostri sensi o di tutte le cose che esistono ab aeterno,  comprendiamo anche i mezzi che la natura, sia quella consapevole sia quella inconsapevole, ci mette a disposizione per migliorare le nostre sorti e la nostra umanità.E' ovvio che non è affatto possibile  conoscere, sempre che ci siano, i fini delle esistenze nostre e di quelle degli altri enti. Se ciò fosse possibile, anche in minima o piccolissima dimensione, avremmo risolto quasi tutti i nostri problemi e avremmo anche già finito  di pensare. La morte del pensiero sarebbe la morte dell'uomo che pensa e che progetta, che ama e che combatte, che rischia e che si cura,  che afferma le grandi conquiste dell'Umanità, superando gli ostacoli e le resistenze della natura materiale, degli egoismi e dei pregiudizi,  dei bruti e dei malvagi, che si oppongono agli ardimenti dell'intelligenza sulle strade ulissiane di seguir "virtute e conoscenza".Democrito di Abdera, vissuto per oltre cento anni tra il 400 e il 300 a.C.   -  era nato nel 460 a.C.  -   contemporaneo di Socrate, speculava  -   con largo anticipo di 1900 anni sull'inizio della Ricerca Scientifica moderna, avviata, nei primi trent'anni del 1600, dal pisano Galileo Galilei  -   sul problema di grande rilevanza epistemologica relativo alla tipologia delle  cause che si dovessero cercare per conoscere i misteri della natura. Le sue acute speculazioni sul corso della "natura"  lo portarono a concludere che in questo mondo si dovessero cercare le cause materiali ed efficienti, quelle cioè che procurano l'effetto, il fenomeno, essendo la realtà costituita da materia e movimento. Egli aveva  infatti, una visione meccanicistica e deterministica della natura universale. Riteneva che cercare le cause formali, cioè essenziali o sostanziali, e quelle finali fosse una pura e sciocca perdita di tempo, per il semplice fatto che queste non esistono, e, se esistessero, pensava che fossero precluse alla umana intelligenza. Ma poiché non credeva nemmeno nell'esistenza  di una Intelligenza superiore a quella dei comuni mortali, ordinatrice e programmatrice dell'universale Realtà, così come pensava Anassagora di Clazomene,  questa possibile conoscenza delle finalità del Mondo rimaneva uno splendido miraggio delle menti umane, abbacinate dal desiderio di cercare ad ogni costo la causa finale di ogni esistenza.Sarebbe, come dire, che invece di cercare la causa meccanica che mette in atto la esistenza della quercia isolata ed assolata sulla collina  -  causa certa ed oggettiva, che bisogna soltanto trovare  -  ci si ostinasse a cercare la causa finale, chiedendosi a quale fine obbedisce la crescita di questo ente.Ovviamente, ciascuno di noi potrà dare le risposte più immaginifiche possibili, come, per es., quella che spiegherebbe che la quercia serve a fare ombra agli animali, dando loro refrigerio durante le giornate torride dei mesi estivi. Ma questa non sarebbe una spiegazione di ordine scientifico, ma la traduzione di un nostro desiderio, costitutivo della mente dell'uomo, di spiegare la esistenza di ogni cosa secondo le nostre necessità ed aspettative.L'uomo, alla pari degli altri enti dell'universo, per la cultura enciclopedica e filosofica di Democrito, era un semplice risultato casualistico, meccanico e deterministico, della combinazione degli atomi in movimento negli spazi illimitati ed infiniti dell'Universo.Non c'è che dire;  il promotore di tutta la ricerca scientifica dei tempi moderni è stato il filosofo di Abdera.Se la speculazione filosofica e scientifica fosse stata proseguita su questo binario democriteo, l'uomo avrebbe mandato forse i missili sulla luna, non nel 1969, ma 1900 anni prima, perché questo è il lasso di tempo che passa prima che nasca nell'era moderna un altro Democrito e, cioè, l'italiano di Pisa, Galileo Galilei.Purtroppo, non fu così. La storia del pensiero scientifico s'interrompe nella fase neonatale, e la ricerca sperimentale viene  sopravanzata da filosofie che mettono al centro della loro speculazione il problema dell'uomo con tutte le sue implicanze relative alla  riflessione sulla morale e sull'etica, sulla gnoseologia,   sulla storia, sul linguaggio, sulle dottrine estetiche, ecc. ecc. Socrate, Platone ed Aristotele indagano con grandi sistemi speculativi, molto importanti, anzi decisivi e risolutivi, per la storia del pensiero filosofico, ma per nulla incisivi ai fini della storia del pensiero scientifico. Platone ed Aristotele, in particolare, ritornano a riflettere sulla natura delle cause che dovrebbero spiegare la realtà universale, ma danno scarsa importanza a quelle efficienti e materiali di origine democritea. Anzi, raccontano certi aneddoti che, quando Democrito, che viaggiò moltissimo per tutti i Paesi del mediterraneo,, arrivò in Atene, Platone ed Aristotele fecero finta di non conoscere non solo il pensiero di Democrito, ma ignorarono perfino la presenza in città del Filosofo.Platone era persuaso che la sua dottrina delle Idee era esaustiva a spiegare tutte le cose. Bastava averle conosciute nel mondo iperuranico, per individuarle come radici causali delle infinite esistenze terrene. La "Idea" era la sostanza, la essenza che dava esistenza agli enti di questo mondo.Con Aristotele,  in verità, non si fa un grande passo in avanti rispetto alla filosofia del suo Maestro, perché il filosofo di Stagira non fa altro che far scendere in questo mondo la Idea di Platone, argomentando che la vera conoscenza dipende dalla capacità di conoscere la Sostanza, cioè la categoria più importante delle dieci da lui individuate e definite come dimensioni di ogni realtà. Domandarsi qual è la quantità o la qualità o la relazione di una cosa significava  interrogarsi sulla natura di questa cosa, cioè sulla sostanza.In quanto a trovarla, però, Aristotele non ce l'ha mai spiegato.Bisogna aspettare la "Rivoluzione Scientifica", che si struttura, a parere degli Epistemologi, tra la data di pubblicazione del libro di Copernico, "De revolutionibus orbium coelestium" del 1543, e la data di pubblicazione del capolavoro di Newton, "I Principi Matematici di filosofia naturale" del 1687. Nel bel mezzo di questo periodo, intanto, sorge, risplende ed illumina le menti dei comuni mortali un grande astro della genialità scientifica, Galileo Galilei, (1574-1642), senza il quale non sarebbero mutati radicalmente i due concetti fondamentali che stanno alla origine della nascita della Scienza Moderna: A) Il concetto della natura, intesa come "Ordine oggettivo, causale,relazione, retto da leggi" e B) Il concetto della Scienza "Come sapere sperimentale, matematico ed intersoggettivo" (Cfr. N. Abbagnano e G. Fornero, "Itinerari di filosofia", vol. 2°, dall'umanesimo all'empirismo, pp. 63-64).Sarà, infatti, Galileo Galilei ad intendere la natura come un sistema di relazioni, intercorrenti tra cause efficienti ed effetti ad esse strettamente correlati, ed ordinate da leggi immutabili, oggettive, sperimentabili e misurabili attraverso la matematica, la regina di tutte le scienze.  Bisogna cercare, quindi, le cause efficienti che procurano i fenomeni, attraverso la meditazione delle ipotesi, delle sperimentazioni e delle verifiche in costante rapporto con la misurazione matematica per formulare la legge.Il procedimento  della ricerca scientifica, di tutte le ricerche, si deve avvalere di due momenti fondamentali: il momento osservativo, induttivo e sperimentale, e quello ipotetico, deduttivo e matematico.Ci sono state grandi scoperte avvenute attraverso la induzione-sperimentazione e scoperte altrettanto grandi operate attraverso un instancabile lavorio della mente impegnata in ipotesi, intuizioni e deduzioni,.Certamente, la Teoria della Relatività non è stata il risultato di una sperimentazione portata a termine in laboratorio, ma la geniale deduzione matematica, elaborata da una grande mente filosofica prima che da quella induttivista e sperimentale. E' estranea, quindi, al procedimento scientifico la ricerca delle "finalità" e delle "essenze", tanto cara a Platone ed Aristotele, ma dichiarata vana da Galileo, che era fortemente convinto e scientificamente motivato a dimostrare la tessitura rigorosamente matematica della realtà universale, a cui corrispondeva fedelmente  il nostro pensiero. 2 + 2 = 4 sia per la natura sia per la mente dell'uomo sia per Dio.Lo scienziato pisano metteva così in accordo la ricerca scientifica, il suo realismo filosofico ( pensiero matematico = essere)  e la sua fede in Dio, Autore della creazione e Programmatore delle leggi universali.Sulle orme di Galileo Galilei, nel 1600, assistiamo ad importantissimi fenomeni di pensiero che gettano le basi della filosofia moderna. Il grande promotore di questa fioritura speculativa è René Descartes ovvero Cartesio (1596-1650), che indirizzò la riflessione filosofica su due ben distinte realtà: quella dell'uomo e quella della natura, la Sostanza pensante (Res cogitans) e  la Sostanza estesa (Res extensa).La prima indagabile con il metodo del "cogito ergo sum" e riconosciuta libera, consapevole ed inestesa; la seconda, connotata come inconsapevole, spaziale e determinata, era investigabile con la "Ragione Matematica" di tipo galileiano, strumento rigoroso della ricerca scientifica e sicuro fondamento delle grandi  costruzioni filosofiche di impostazione razionalistica: da Spinoza a  Leibniz, a  Kant.Nasceva così con Cartesio, fondatore del Razionalismo moderno, una solida concezione dualistica della Realtà universale, che molti altri filosofi nel prosieguo della storia del pensiero tenteranno di ricondurre  a radice unica ora di matrice spiritualistica ora di matrice naturalistica.Il primo grande filosofo, contemporaneo di Cartesio, che proverà a ricomporre il dualismo cartesiano, sarà Baruch de Spinoza  (1632-1677), olandese ma di origine spagnola. Speculando con grande acume critico e raro spirito di indipendenza spirituale, portò a termine, nel corso della sua vita condotta con straordinaria semplicità quasi francescana, una ferma e disincantata lettura filosofica della Realtà, intesa come Unica Sostanza, "causa sui" e identificabile come tale con Dio, ovvero l'Assoluto, che per esistere, sul piano ontologico,  non ha bisogno di un'altra Realtà da cui  farsi dipendere, e sul piano logico è un concetto che per essere meditato e compreso non ha bisogno di un altro concetto."Id, quod in se est et per se concipitur", scrive Spinoza nel suo capolavoro di carattere enciclopedico "Ethica ordine geometrico demonstrata" - Etica dimostrata secondo l'ordine geometrico - in cui argomenta e deduce, con un rigoroso linguaggio matematico e lessico latino, le dimensioni  fondamentali della unica, infinita, increata ed eterna  Sostanza-Natura, che, proprio per queste proprietà che garantiscono la sua autonomia sul piano ontologico e logico, finisce per identificarsi con l'Assoluto, cioè con Dio. "Deus sive natura": "Dio ovvero la Natura" è una forma di panteismo che si differenzia da tutte le altre forme panteistiche tradizionali, perché questo Dio-Natura ha una struttura consequenzialmente geometrica, fatta di leggi e regole rigorose che governano i fenomeni. Interpretabili in maniera galileiana e non ricercando le "essenze" che non esistono, ma osservando, verificando e misurando i nessi causali tra azioni ed effetti, che costituiscono la illimitata tessitura del cosmo.Di certo, all'interno di questo affascinante contesto speculativo non mancano contraddizioni logiche, che in questa pagina non è il caso di evidenziare, ma è importante sapere che la filosofia di Spinoza, pur con il suo linguaggio metafisico tradizionale, da una parte persegue e continua la rivoluzione scientifica di Galileo, asseverando che l'unica grande categoria della  Natura è la Necessità, dall'altra anticipa una grande "identità" tra realtà e pensiero, realtà e razionalità, logica e metafisica, che sarà teorizzata in un diverso movimento di pensiero, con diversi fini valoriali, da Giorgio Federico Hegel:  "Id, quod in se est et per se concipitur" :  la Natura è una Realtà che non deriva la sua esistenza da un altro Assoluto e un Concetto che per essere pensato non ha bisogno di un altro Concetto. Gli uomini, ammalati di pregiudizi finalistici ed antropocentrici, sono abituati a scorgere nella Natura "scopi" e "finalità", che credono siano stati preparati per i loro diletti e i loro bisogni.  Insomma, il sole sorgerebbe ogni mattina per deliziare le nostre membra e fecondare la nostra terra, assicurandoci  la vita e l'alimentazione necessaria per esistere.Per il filosofo di Amsterdam, non vi è nulla di tutto questo, perché la "Natura-Assoluto" è una Realtà Oggettiva e Necessaria, in cui non ci sono finalità e scopi tendenziosi che piacciono  agli uomini. Questi, come tutti gli altri infiniti enti che vivono e muoiono, stanno alla "Natura" come le onde dei mari stanno alla sterminata distesa oceanica.Se Spinoza non concede nulla alle concezioni finalistiche, Goffredo Leibniz, inventore del Calcolo Infinitesimale, volto a misurare le grandezze infinitesime,  nato a Lipsia, in Germania, nel 1646, e morto a Hannover, nel 1726, filosofo ricercatore di ogni conciliazione in tutti i  campi dell'agire e del sapere, teorizza che le due concezioni, meccanicistico-deterministica e finalistico-teleologica, possono benissimo convivere nel leggere la natura su due piani ben distinti, ma tuttavia sovrapponibili: l'uno, quello speculativo-metafisico, in grado di andare incontro a tutte quelle menti che ritengono che il mondo c'è, perché è stato creato per Amore o per fini a noi imperscrutabili, e l'altro, quello meccanicistico-deterministico, inteso a perseguire la ricerca scientifica, che ha bisogno di trovare la causa certa ed oggettiva per spiegare il fenomeno e formulare la legge della Fisica.  Del resto, anche Galileo e Cartesio, pur essendo gli autori conclamati del sapere scientifico, di scaturigine osservativo-induttivo-sperimentale e matematico-deduttiva, chiudono i loro rispettivi sistemi speculativi all'interno di un contesto filosofico-metafisico in cui il Dio, ebraico e cristiano, resta la meta finale della creazione.Con il filosofo di Lipsia, l'Ordine Geometrico Necessario ed Oggettivo del Mondo, teorizzato da Spinoza, diveniva Ordine Matematico Contingente nel senso che perdeva la categoria della Necessità e consacrava la Libertà del Creatore, che fra tutti i mondi possibili, che avrebbe potuto creare, ha scelto liberamente  di creare questoesistente, perché Dio, nella sua assoluta perfezione, ha ritenuto che questo mondo fosse il migliore possibile. Il principio razionale, che spiegherebbe per  Leibniz questo suo pensiero, sarebbe il  principio di ragion sufficiente secondo il quale per tutto ciò che accade in questo mondo c'è sempre una spiegazione fisico-matematica sufficiente a definirne la causa, come per il Mondo stesso la Ragione sufficiente è stata la libertà di Dio, non costretto da nessuna necessità ad intraprendere questa impresa.La categoria della Necessità, pensa ancora il filosofo, appartiene al mondo della logica, in cui vige il principio di identità o di non contraddizione, che detta che il triangolo ha tre angoli. Se dicessimo il contrario e cioè che il triangolo non ha tre angoli, cadremmo in patente contraddizione. Nel mondo della realtà, invece, il contrario è sempre possibile, perché nella formulazione di una proposizione, che implica una "verità di fatto", il predicato può sempre negare il soggetto, senza per questo cadere in contraddizione.Nelle verità di ragione cioè nelle verità logiche, come si è osservato,  il predicato non può contraddire il soggetto senza cadere in contraddizione. Le verità di ragione, quindi si fondano sul principio d'identità, le verità di fatto sul principio di ragione sufficiente, secondo il quale, ripeto, per tutto ciò che accade c'è sempre una spiegazione sufficiente. Basta cercarla.A precisare, in verità, tutti i dettagli della metafisica leibniziana, occorrerebbe dire che nelle verità di fatto il soggetto conterrebbe il principio di ragion sufficiente che farebbe predicare tutto ciò che riguarderebbe il soggetto stesso, definito dal filosofo "sostanza individuale".Il mondo, nella sua universalità, sarebbe costituito da un numero  infinito di "sostanze individuali", intese inizialmente come quelle umane, ma poi estese dal filosofo anche al mondo fisico, che perciò cessava di essere "res extensa", ma Universo spirituale, fatto di infiniti   atomi spirituali, detti "monadi", punti di forza attiva, aventi in se stesse la causa della propria attività, come l'entelechia di Aristotele, unità minime e perfette , non corporee  inestese, semplici, indivisibili, centri di appercezioni, di percezioni e di appetizioni, rispecchianti ciascuna, dal proprio angolo prospettico, la vita del tutto.Il dualismo cartesiano tra res cogitans e res extensa da Baruch de Spinoza era stato superato dalla riduzione del mondo ad un'unica grande Sostanza Estesa, interpretabile e conoscibile attraverso le geometria e il movimento: il mondo inteso come Res Extensa. Da Goffredo Leibniz veniva invece, oltrepassato  dall'Universo monadistico, costituito da centri di forza di matrice spirituale:  Il mondo inteso come Res Cogitans, ma sempre interpretabile nella sua estensione fisica attraverso la mente matematica, anche se la radice originaria di tutte le cose non era più il movimento ma la forza spirituale , la monade, principio metafisico del mondo fisico.Si spiega così perché la filosofia di Leibniz ritiene  di conciliare la concezione meccanicistica e deterministica della Rivoluzione Scientifica  con quella finalistica della Metafisica Scolastica. Non la pensano così i filosofi empiristi, che, nelle figure di Giovanni Locke e, in particolare,  di David Hume, argomentano che non si possa in nessun modo continuare a pensare in termini di "sostanza"  e di "finalità" il mondo fisico, per il semplice motivo che la sostanza non esiste. Non esistono "idee" innate che possano guidare il nostro processo conoscitivo.Riprendendo un vecchio assunto di origine stoica, asseriscono che: "Nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu", e cioè: "nessuna cosa è nel nostro intelletto che non sia derivata dai nostri sensi".  Al che, Leibniz risponde: "excipe:  nisi intellectus ipse", "eccetto l'intelletto stesso", che per l'appunto non deriva dai sensi, ma è un potere originario della natura umana contenente le regole che guidano le nostre conoscenze.