"Sapere aude"

La Società aperta (3b)


  “LA SOCIETA’ APERTA E I SUOI NEMICI”       (3 b)   ( MARX )                   di    K. R. POPPER In conclusione della terza parte della disamina critica condotta sul pensiero di Marx, intendo dire che in  Inghilterra  nasceva e si consolidava lo Stato Sociale,  per tutto il 1800 e il 1900. La prima Legge sui poveri (Poor Law) risale al 1601. In tutto l’Occidente poi, via via con il progredire della Rivoluzione industriale si assiste ad uno straordinario stato assistenziale, cioè al “welfare state”, che in questi ultimi anni sembra essere entrato in crisi. Non, però, nell’Europa del Nord, a partir dalla Germania, dove il livello di sicurezza sociale resta semplicemente invidiabile ed è un miraggio per la nostra strisciante e illiberale democrazia catto-comunista italiana. Marx aveva previsto, invece, una sorta di “utopia“  che potesse e dovesse diventare realtà in Inghilterra, nel Paese più industrializzato del Mondo, in omaggio dommatico al sua “Legge dell’opposizione e della corrispondenza”, che, interpretata come un dogma religioso dai suoi seguaci, darà luogo a quella convinzione storicistica altrettanto dogmatica, la vera responsabile del totalitarismo moderno e, in particolare, di quello comunista.Non è in discussione, quindi, per Karl Popper la spiccata vocazione umanistica di Karl Marx, ma la sua fede nelle leggi della Storia, concepita  -  lì dove non fosse emerso chiaramente da tutto quello che si è detto finora  -  come sviluppo necessario e costante tanto da rendere prevedibile il futuro, a prescindere dalle finalità e dalle azioni dei singoli uomini. E’ questo il cuore della intransigente critica di K. Popper al materialismo storico e dialettico di Marx, accomunato a tutte quelle filosofie idealistiche (Platone ed Hegel), evoluzionistiche e materialistiche, che preludono poi al totalitarismo politico moderno. Il vero protagonista della storia è l’uomo che si autodetermina liberamente sotto la spinta dei suoi bisogni e dei suoi problemi pratici.“….lo storicista non ammette che siamo noi a selezionare e ordinare i fatti della storia ma crede che la storia stessa e la storia del genere umano determini, per effetto delle leggi ad essa immanenti, noi stessi, il nostro futuro e anche il nostro punto di vista.  Invece di riconoscere che l’interpretazione storica deve rispondere a un bisogno che scaturisca dalle decisioni e dai problemi pratici di fronte ai quali veniamo a trovarci, lo storicista crede che nel nostro desiderio di interpretazione storica si esprime la profonda intuizione che, contemplando la storia, possiamo scoprire il segreto, l’essenza del destino umano”. (Op. cit., pag. 353).La visione storicistica della storia è, pertanto, un attentato alla libertà e alla ragione dell’uomo, come, d’altronde, si è sempre verificato nella storia, ogni qualvolta, si è voluto introdurre e giustificare   tramite essa il totalitarismo politico di tutte le tinte, e in particolare, quello comunista, scaturito dalla “ideologia” marxiana, accettata ed interpretata dogmaticamente come una religione salvifica.L’utopia è bella e ricca di fascino, quando viene intesa come idea regolativa verso la quale tendere per il nostro comportamento, ma, quando viene tradotta in praxis, in azione politica, che è sempre realtà, allora perde il sua fascino e diventa azione criminale per la uccisione di centinaia di milioni di persone, per la diabolica creazione di universi concentrazionari, stermini, olocausti di popoli e genocidi scientificamente programmati.La concezione storicistica della realtà, così come viene intesa da Popper, è la menzogna dell’uguaglianza, della giustizia e della libertà, ma è anche una svergognata negazione della ragione dell’uomo, - consapevole dei suoi limiti e, quindi, finita e concreta -  la quale stranamente viene annullata e precipitata nel sonno da una costruita Ragione metafisica ed infinita, che s’immanentizza di volta in volta nelle passioni dei popoli, nelle dittature politiche, nel socialismo scientifico. “Kant aveva ragione a fondare la regola d’oro sull’idea di ragione. [….] Noi abbiamo anche il dovere di rispondere, di replicare, laddove le nostre azioni toccano gli altri. In conclusione, il razionalismo risulta in questo modo connesso con il riconoscimento della necessità di istituzioni sociali atte a proteggere la libertà di critica, la libertà di pensiero, e così la libertà degli uomini. Ed esso impone una specie di obbligazione morale a sostenere queste istituzioni. Questa è la ragione per cui il razionalismo è strettamente connesso con la richiesta politica di una ingegneria sociale pratica  -  ingegneria gradualistica, naturalmente  -  in senso umanitario, con la richiesta di razionalizzazione della società, di pianificazione per la libertà e per il controllo di essa mediante la ragione; non mediante la scienza, non mediante un’autorità platonica pseudo-razionale, ma mediante quella ragione socratica che è consapevole delle proprie limitazioni e che quindi rispetta gli altri uomini e non aspira a coartarli, neanche al fine della felicità”. ( Op. cit., pp. 313-314)Già Giovanni Amedeo Ficthe, scrivendo, sul finire del 1700, della missione sociale dell’uomo e del dotto, pensava che lo scopo fondamentale dell’uomo è la sua libertà. La qual cosa impone a ciascuno di noi di lottare strenuamente anche e soprattutto per la libertà degli altri, perché l’io sociale ha un senso solo se è in relazione con gli altri, dai quali è stimolato a realizzare se stesso per la “unificazione del genere umano”, cioè per la formazione di una società di uomini liberi e razionali.  L’Io Spirituale si definisce e si risolve nel Noi Spirituale. All’interno di questa società, opera in maniera del tutto speciale il dotto, l’intellettuale, il maitre à penser,  che ha il compito morale di guidare gli altri a prendere coscienza dei propri bisogni e della necessità insopprimibile di esercitare liberamente i propri diritti naturali e razionali. (Cfr.: G. A. Ficthe, “Sistema della dottrina morale”, 1798, e “Lezioni sulla missione del dotto”, 1794).Questa è la società aperta di cui parla  Karl Popper e di cui furono i principali nemici Paltone, Hegel e Marx, ma anche quei sistemi sociali o pseudo-democrazie atti a manipolare la pubblica opinione di massa attraverso il potere della televisione.Poco tempo prima di morire, il filosofo della scienza, infatti, prende una netta posizione contro l’esercizio del potere della televisione, scrivendo il saggio “Cattiva Maestra Televisione”, pubblicato in Italia da Marsilio Ed., in cui propone che gli operatori televisivi abbiano una sorta di patente per esercitare un potere così delicato e pericoloso come quello televisivo: pericoloso e nocivo non soltanto per la crescita corretta dei bambini e dei giovani, ma anche per le sorti della democrazia.In Italia, oltre modo, questo pericolo è quotidiano, il potere esercitato dalla Televisione Pubblica Italiana non ha mai celato il proposito di tele-ammannire a milioni di ignari tele-utenti programmi noiosi, al fine di servire il potere politico, che ancora in questi giorni non riesce a varare una riforma della RAI, che possa consentire una libera informazione, autonoma e non succube del partiti politici. Ma, forse, questo non avverrà mai, perché gli Italiani hanno paura della libertà critica e preferiscono soggiacere alle pratiche imbonitrici di molti politici di mestiere, che vendono anche tramite la Televisione di Stato posti di lavoro, carriere aziendali e professionali e circuiti clientelari al limite della sopportabile liceità.  Il grosso, poi, della tele-utenza viene addormentato da telenovelle, programmi soporiferi e repliche di spettacoli di trenta, quarant’anni fa, soprattutto in questi mesi estivi, durante i quali torturano le persone anziane e disabili, che non possono evadere da casa per cercare distrazioni lontano dalla televisione. Altro che “cattiva maestra televisione”, che metterebbe in pericolo la democrazia della società aperta! Qui, in Italia, carissimo maestro Popper, non c’è mai stata la democrazia, teorizzata dal suo pensiero, e il potere televisivo dei politici e delle loro corporazioni e il sistema politico dei mestieranti hanno creato un popolo di sudditi, di poveri, di pezzenti, soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia, privi di coscienza critica e della pur minima libertà di pensiero, perché hanno bisogno di essere lusingati, imbrogliati e turlupinati dalle cosche mafiose di ogni colore. Il motto è: tu non devi pensare.