Creato da giulio.stilla il 21/04/2014
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A DON SALVATORE CAMILLO

Post n°112 pubblicato il 28 Settembre 2017 da giulio.stilla

 

Reverendissimo DON SALVATORE, amico mio e Padre intelligente, comprensivo dei problemi del nostro tempo, sollecito a non indulgere sulle responsabilità oggettive di chi erra, mi riesce molto grato il tuo pensiero sul mio dimesso commento storico-critico inerente la realtà sociale del mio paese. Per un secolo e mezzo, a partire dalla UNITA’ D’ITALIA, storici e filosofi della nostra Storia Patria, non hanno mai mancato di denunciare i problemi gravissimi e mai risolti del Mezzogiorno d’Italia. Intendo ricordare, per primo, il Patriota MASSIMO d’AZEGLIO, che con straordinaria lungimiranza, subito al mattino della proclamazione dell’UNITA’ RISORGIMENTALE, amava ripetere: “Fatta l’ITALIA, bisogna fare gli Italiani”. E così via via, per tutto il NOVECENTO, insigni studiosi di Politiche Sociali, di Scienze Storiche e Filosofiche, hanno sempre sollevato con specifici ed abbondanti Scritti la urgenza di mettere mano alla soluzione dei problemi socio-economici del nostro Meridione. “La Rivoluzione Liberale” di Piero Gobetti, la “VOCE” di Giuseppe Prezzolini, “Quarto Stato” di Pietro Nenni e Carlo Rosselli, gli Scritti di Tommaso Fiore, Giustino Fortunato, Gaetano Salvemini, Benedetto Croce, fino a menzionare le posizioni isolate dei nostri rissosi Parlamenti, sono rimasti “Voces clamantes in deserto”, Voci che hanno gridato nel deserto. La corruzione, l’avidità, il mantenimento personale del potere per il potere, i profitti illeciti hanno sempre sovrastato le responsabilità etico-politiche di coloro i quali avrebbero dovuto riscattare dalla servitù e dall’asservimento medievale le nostre popolazioni meridionali. Non mi si venga a dire che la fatalità ha segnato nel corso dei decenni il destino di milioni di disereditati. Altri popoli non africani ma europei hanno gettato le fondamenta dei propri Stati sull’impegno etico e la severità dei costumi pubblici di contro al malcostume e alla demagogia dei nostri esponenti politici, che ancora oggi conservano la improntitudine atavica di lusingare gli sprovveduti, sussurrando loro “non preoccupatevi, ci penso io”. No!, non è così che deve funzionare la macchina politica. A preoccuparsi dei propri cittadini deve pensarci lo Stato, dello Stato che fa proprie le istanze etiche della famiglia, della religione, della scuola, della società civile. Ci sorprendiamo, oggi, della triste realtà delle piccole comunità locali, come questa del mio sparuto paese, che declina inesorabilmente verso la desertificazione e ci si dimentica che la responsabilità di tanto obbrobrio civile ed umano va ricercata nel contesto del nostro Meridione, abbandonato da sempre alla miseria, alla delinquenza organizzata, alla corruzione degli apparati amministrativi, alla violenza e all’arroganza medievale dei mestieranti della “politica”. La politica ha una sua normativa interna al concetto che evoca e, cioè, è la ricerca razionale del benessere dei cittadini, altrimenti non è politica. E’ tutt’altro. E’ delinquenza autorizzata dai comitati d’affari. In Germania, il tasso di disoccupazione si aggira intorno allo zero. In Italia, il tasso di disoccupazione è superiore al 50%. In Germania, un giovane laureato in Ingegneria o in Economia viene assunto al lavoro dopo aver indicato le sue preferenze. In Italia, un giovane laureato deve prostituirsi o fuggire via per altri lidi o avventure dagli esiti incerti. Non è retorica o reminiscenza poetica se solo mi ricordo dei versi del Sommo Poeta:  “Ahi serva Italia, di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran tempesta, / non donna di province, ma bordello!” Già, dai tempi di Dante nulla è cambiato.

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