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Post n°485 pubblicato il 03 Maggio 2010 da 1carinodolce
http://www.facebook.com/profile.php?id=100001411413453 Quell’uomo era Henry Newman, il teologo inglese convertito al cattolicesimo, da poco beato. In questi termini ha parlato di lui Benedetto XVI, lunedì, concentrandosi sul momento della sua prima conversione. Che è domanda, speranza, magari rifugio nella malattia o nella vecchiaia; Immaginiamoci: un giorno un uomo, fino ad allora simile a tutti, vede che la realtà autentica è un’altra. Le cose, forse ora gli sembrano apparenze. Scorge, dietro di loro, mai viste prima, altre colonne originarie, portanti: il Creatore e la creatura - l’uomo, fatto a sua immagine e somiglianza. In un istante un’altra realtà gli si palesa, «più reale degli oggetti afferrabili». Come un’epifania: l’istante in cui Dio si mostra, sovrano, e dice: Io sono. Una grazia (a lungo domandata). «Svolta copernicana, che cambia la forma fondamentale della vita». Ma perché Benedetto XVI parla in questo Natale della conversione di un uomo di 120 anni fa? Crediamo, perché la cosa ci riguarda. Profondamente. Non siamo anche noi, o almeno tanti di noi, divisi come un giorno Newman? Dio da una parte, e la realtà dall’altra; e il faticoso tentativo di integrare due dimensioni incompatibili. Forse non è così per i più anziani, per quelli cresciuti in una fede semplice, quotidianamente declinata fino dalle preghiere del mattino. Ma in quanti, più giovani, avvertono come sottopelle quella che Benedetto XVI in “Luce del mondo” indica quasi come una “schizofrenia”: la fede come un substrato remoto, che non contagia la vita di ogni giorno. Un Dio che non riusciamo a credere presente, vivo, oggi: sui metrò affollati al mattino, e negli uffici dove si lavora e basta, e dietro le finestre delle nostre case che si illuminano, la sera, nelle città. Ci guardiamo, e ci sembriamo reciprocamente così soli. Questo Newman, invece, che un giorno capovolge lo sguardo, e diventa certo. Prima, era quasi un uomo come gli altri. Potrebbe, dunque, accadere anche a noi? La “svolta copernicana”, che rende certo ciò che noi riusciamo solo a sperare. Possibile che sia successo a un uomo come noi? Ma perché il Papa ne parla, in questi giorni di vigilia? Forse per suscitare un desiderio. Per indicare il dono – per chi ne ha troppi, e per chi non ne ha nessuno – da domandare davvero, in una notte di Natale.
Il Papa e la lezione di Newman
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