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V.Braghieri

Post n°518 pubblicato il 12 Febbraio 2011 da 1carinodolce

 

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  'Le donne, quando si scelgono gli amori, sembrano pazienti psichiatriche in vacanza non autorizzata dall’assunzione di litio.
Evitano gli affetti praticabili come la peste, optano secondo senso di dedizione e fitte di impazienza, che sono una pessima miscela.
Puntano cieche sulle promessa di guai, filtrano la realtà col dismorfismo, scommettono sulla redenzione della «causa persa».
Per questo, quando si tratta di scegliere un amore, o anche solo un maschio, è quasi impossibile si concentrino su quel tizio bonario, adorante e gratificante, che fin dal primo appuntamento ha lasciato loro intendere la pacifica possibilità di fantasticare sul colore degli occhi della propria progenie o sulle tranquille, noiosissime serate sprofondate in un divano Ikea.
Per questo e per la possibilità, irrinunciabile per qualsiasi femmina, di lamentarsi un domani, del destino beffardo e incontrollabile: 
«Ma tutte a me?!».
Non è che succedono tutte a te, stella.  È che te le cerchi.
 
Quando ci invaghiamo, noi donne siamo tutte intellettualmente disoneste.
Il tipo che assicurerebbe gli occhi blu ai nostri bambini e il salotto componibile a noi, lo scartiamo a prescindere, questa è la perversa verità.
Vuoi mettere un uomo che ti ricambia con un’occhiata di ringhiante disprezzo? Vuoi mettere uno di quei maschi indomabili che offrono sdegno anche in un sorso di caffè?
Esemplari perfetti della cosa che desideri non desiderare, oppressori di tempo, ladri di cortesie, spietati flagelli dei deboli. In una parola: antipatici. È lì che puntiamo noi, diciamo la verità. In un particolare tripudio chimico che ci orienta verso le «carogne».
L’antipatico tira e attira. Perché al suo cospetto abbiamo già il considerevole problema di riuscire a farci salutare senza un corredo di insulti, senza che i suoi occhi ci pesino in pochi attimi come farebbe una bilancia, trovandoci scarse. Figuriamoci che cosa significherebbe, per noi,donne e quindi incliniall’autopunizione, lanciarci in una trafila di benedette mortificazioni pur di riuscire a farli innamorare?'

........

 

 

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Commenti al Post:
Utente non iscritto alla Community di Libero
Marina il 12/02/11 alle 14:09 via WEB
.... che cosa è stato ereditato, di queste vere o presunte libertà, dalle figlie. Qualcosa deve essersi inceppato nella trasmissione generazionale, se non poche, e soprattutto nelle classi sociali più modeste, declinano questa libertà come totale disponibilità di se stesse, anche di farsi guardare come cose, se occorre, e se ne vale la pena. È il “sistema” che sfrutta e usa le donne, si griderà in piazza – in quella piazza in cui io non andrò. Però quelle sono figlie nostre; cresciute davanti alla tv forse, ma educate da noi. Avete letto il sondaggio di Ilvo Diamanti che chiede agli italiani se considerano gli atteggiamenti di Berlusconi «offensivi contro le donne»? Solo il 37 per cento delle ragazze risponde di sì, e solo il 28 per cento delle trentenni. Insomma, la prospettiva di farsi meteorine in feste di vip, o di usare la bellezza per “arrivare” in fretta non è poi così riprovata. Plagiate da vent’anni di veline? Ma le famiglie, e le madri, dov’erano? Scoprire all’improvviso che le bambine di dodici anni, nelle famiglie più abbandonate ma non solo in quelle, sognano davanti allo specchio “quel” successo; e non sanno, ma ancora per poco, cosa si fa per agguantarlo. Ve ne accorgete oggi? Noi cattolici retrogradi eravamo dunque all’avanguardia?
(Rispondi)
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Mari il 12/02/11 alle 14:11 via WEB
Su Repubblica però una docente universitaria pone questa distinzione: «Una cosa è che uno scelga i valori del sedere, come la cosa migliore di sé e più preziosa; tutt’altra cosa è che glielo imponga un altro». Tipica declinazione di quel relativismo etico che è da anni il pensiero unico obbligatorio. Secondo il quale nulla è oggettivamente negativo; se una liberamente decide di vendersi, niente da dire. Ma allora cosa si scende in piazza a contestare domani? Le fanciulle, stelline, vallette, meteore che abbiamo visto sfilare sui giornali sono – per lo più – maggiorenni e capaci di intendere. E dunque? Forse il problema è più grande: ma davvero vendersi, o accettare di mostrarsi come un bell’oggetto – libera o no che sia la scelta – non è avvilente in sé, non è contrario alla dignità di una donna, o di un uomo? Non c’era forse qualcosa di primario, di oggettivo che si è buttato via insieme al resto trent’anni fa, quando si gridava «L’utero è mio e lo gestisco io»?.
(Rispondi)
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
MARINA il 12/02/11 alle 14:15 via WEB
L’ultima domanda, la più importante, è: che cosa trasmettere a una figlia, perché non sogni, sotto sotto, di incontrare Lele Mora? Basterà parlare di “decenza”? (strano ritrovare in bocche laiche questo vecchio termine “bigotto”). Ciò che, crediamo, scrive su un figlio l’orgoglio di non essere in vendita mai è che si senta fin dal primo giorno unico, e amato, e non nato per caso, ma dentro un destino comune e buono; che sappia che quel destino è un compito che lo lega agli altri, e non è risolvibile nell’arbitrio del gioco più comodo o veloce. È la certezza dei cristiani autentici, e forse quella dei laici migliori – le cui speranze, però, sembrano oggi perse o sconfitte. Senza questa certezza del valore assoluto di ognuno, non stupisce che si concepisca di vendersi – e i modi poi, per donne e uomini, sono tanti. Se nessuno ti ha detto che tu non hai prezzo, e il tuo valore è infinito. M. Corradi
(Rispondi)
 
 
lasultanablu
lasultanablu il 13/02/11 alle 18:34 via WEB
sono pienamente d'accordo con te, Marina. Il valore di ognuno di noi lo apprendiamo giorno per giorno, a cominciare dalla famiglia. (scusate se mi sono intromessa, vi ho trovati per caso e mi è sembrato molto interessante il vostro dibattito). g.
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mumonboard
mumonboard il 17/02/11 alle 14:08 via WEB
Fantastica. Niente da aggiungere.
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