Quest’opera prima che ha conquistato premi a non finire in Europa e l’Oscar per il Miglior Film Straniero, diventando al contempo il maggior successo al botteghino tedesco, è una di quelle pellicole rare, capaci di mettere d’accordo pubblico (magari non quello più vasto, ma comunque trasversale) e critica (quasi totalmente concorde nel sottolineare i meriti del lavoro dell’esordiente Florian Henckel von Donnersmarck, sia sotto il profilo dei contenuti che sotto quello delle qualità cinematografiche) grazie ad una vicenda semplice, ma ricca di risonanze emotive e di valenze tematiche e simboliche.
Calandosi senza artificiosità nelle atmosfere opprimenti di una Berlino anni Ottanta in cui il controllo della Stasi è capillare e invisibile (ci viene fatto sapere da una didascalia iniziale che il Servizio informativo poteva contare su oltre 100000 impiegati e il doppio di collaboratori esterni), Le vite degli altri segue i percorsi paralleli di uno spiato (il drammaturgo Dreyman, in felice, ma precario, equilibrio tra realizzazione artistica e rispetto dei dettami del regime) e di uno spione (il burocrate dagli occhi gelidi W. ,che insegna senza problemi come far crollare un teste bugiardo con i mezzi più disumani, ma poi si trova solo in casa ed è costretto a rivolgersi ad una prostituta per avere compagnia più che prestazioni sessuali).
Entrambi, grazie e attraverso l’arte (la scrittura per il teatro, ma anche la musica), compiranno un doloroso percorso di cambiamento, di purificazione e di presa di coscienza, che li porterà ad agire e a pagare il prezzo delle loro scelte.
Gli abusi e la corruzione dell’ideologia e del potere (ottimamente rappresentati sia dal laido ministro Hempf che dall’ambizioso Grubitz) sono la causa scatenante di una situazione che, una volta messa in moto, finirà per coinvolgere tutti ed ognuno in una serie di eventi dalle imprevedibili conseguenze. |