....... sarebbe illusorio pensare, infatti, che basti condonare il debito estero dei Paesi poveri perché questo automaticamente generi sviluppo.
Lo ricorda anche un’economista africana, Dambisa Moyo, nel suo sferzante studio dal titolo "Dead Aid". Di aiuti allo sviluppo si può morire – sostiene la giovane studiosa zambiana – laddove creano dipendenza e assistenzialismo invece di innescare relazioni nuove fra i Paesi. Un esempio? Nel 1987 Mobutu, padre-padrone dell’allora Zaire (oggi Repubblica democratica del Congo), chiese a Reagan condizioni più favorevoli per onorare il proprio debito con gli Usa, pari a 5 miliardi di dollari; ma subito dopo noleggiò un Concorde per trasportare la figlia a sposarsi in Costa d’Avorio.
La cancellazione del debito dei Paesi poveri, negli intenti di quanti lanciarono la Campagna, voleva essere il preludio a un cambio di mentalità, l’avvio di un metodo nuovo, prima che una mera soluzione contabile.
Del resto, come ricorda Benedetto XVI nella Caritas in veritate, «la solidarietà senza la sussidiarietà scade nell’assistenzialismo che umilia il portatore di bisogno. Gli aiuti internazionali allo sviluppo possono a volte mantenere un popolo in uno stato di dipendenza. Gli aiuti economici, per essere veramente tali, devono assumere in misura sempre maggiore le caratteristiche di programmi integrati e partecipati dal basso».
Il punto focale della questione diventa allora il nesso fra giustizia e solidarietà. Non ci può essere aiuto reale se avviene a latere di rapporti economici non improntati a equità; in caso contrario, siamo in presenza di beneficenza avvelenata. Aiuti calati artificiosamente dall’alto, debiti cancellati più per calmare la coscienza che per attivare energie in loco non portano lontano. |