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D. Rondoni

Post n°510 pubblicato il 25 Novembre 2010 da 1carinodolce

 

IL DISAGIO, I GIOVANI, IL PAESE

 

È l'incontro che cambia

 

Una cosa è chiara. La nostra voglia di incontrarci è più forte della vostra voglia di scontro.

Nonostante le manifestazioni, gli atti vandalici, le violenze (e le minacce, come quella tremenda della bomba dimostrativa trovata ieri sulla metro di Roma), nonostante le accensioni violente del dibattito, da parte di studenti, intellettuali (?) e politici; insomma, nonostante l’Italia sia fatta apparire come pervasa da una voglia aspra di scontro, noi sappiamo una cosa che non troverete scritta su tanti giornali e sugli striscioni: è più forte la voglia di incontro.

 

Ci avvertiva Pavese: la bellezza suprema degli uomini si vede nei loro incontri.

In quelli tra padri e figli, tra compagni, tra colleghi, tra amici. Tra innamorati. Tra gente di cultura e di idee diverse.
Noi lo sappiamo. Segretamente lo sappiamo. E soffertamente.

Perché troppi media sembrano sobillare la voglia di scontro. E troppi politici e troppi intellettuali.
Mentre noi sappiamo (e tutti sanno, in fondo) che solo dagli incontri nasce qualcosa di buono ed emerge la vera forza rivoluzionaria, quella che cambia le cose.

 

Negli scontri si acuisce solo il senso dell’avversario. Lo si dipinge come il male.
E da scontro così nasce solo altro scontro. E odio. Mai costruzione. Mai riforma.

L’Italia invece è un Paese di incontri. La stessa identità di italiani fu scelta da popoli che decisero di incontrarsi, cessando una logica di solo scontro.
E la nostra storia ha trovato momenti di reale progresso solo quando gente diversa ha deciso di incontrarsi.

 

Fu così per la Costituente. Ed era gente che veniva da esperienze opposte. Che era passata dalla logica dello scontro alla scommessa dell’incontro.

Si dice che questi giovani
(i manifestanti occasionali, non quelli di professione)  stanno indicando un disagio.
Se il disagio genera solo scontro, sarà disagio sterile. Un disagio che genera vuoto, il peggio che può accadere.

Ma anche il disagio può essere un motivo di incontro.
Perché il malessere – va detto a questi giovani – non è un lasciapassare per lo scontro o la violenza. E il loro è anche il nostro disagio. Su questo occorre incontrarsi.

 

Ma quanti adulti sono disposti a incontrarsi veramente con questi ragazzi?
A condividere tempo, energie, risorse? A giocare responsabilità e rischio di costruzione e non solo slogan?
Si dice, con uno slogan appunto, che sono ragazzi (una parte non maggioritaria, va detto anche questo)
che manifestano e scelgono lo scontro perché non sentono sicurezze sul futuro.

Ma il futuro non è un problema solo dei giovani. È un problema dei padri, come dei figli. In modo diverso, ma con uguale intensità. Il futuro per un padre si chiama problema della eredità. Cosa lascio? Cosa ho costruito?

 

Drammatico come le domande di un giovane circa il suo futuro. Su questo occorre incontrarsi. E non solo nelle aule del Parlamento, dove la prassi degli incontri diviene regola democratica, che o si accetta o ci si pone solo in sterile logica di scontro.

Si tratta di incontrarsi anche in tutti i luoghi della vita quotidiana. Tra padri e figli, tra padri e padri, tra amici, tra colleghi, tra compagni.

Noi sappiamo e lo diciamo forte: la nostra voglia di incontri è più forte della vostra voglia di scontro.

Più forte di voi manifestanti o politici o giornalisti o intellettuali che cercate un triste entusiasmo nel soffiare sullo scontro.

 

Tra il fumo e i titoloni e in mezzo a segni inquietanti noi vediamo che l’Italia ha forte voglia di incontri: imprevedibili, faticosi, anche, ma segnati da desiderio di costruzione.

Gli incontri che fanno la bellezza dell’Italia e dell’esser uomini.

 

Tutti, ragazzi e no, devono decidere se stare dalla parte della bellezza o della sterilità.

  

 

 
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Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 28/11/10 alle 11:06 via WEB
La tv tribunizia/1 Chiesa nel mirino Nel nuovo tempio un antichissimo livore Quanto sussiego. Quanta retorica. E che propensione al predicozzo. Quanto ricorso al tremolare di lacrimuccia sotto i fari tv. Poca storia. Molte chiacchiere e molta furbizia. Molti slogan. La De Filippi in confronto è una dilettante. «Aria nuova» dicono i vertici di Raitre. Sarà… Aspettiamo dunque che di questa aria possa godere anche chi non la pensa come i due predicatori Saviano-Fazio. La puntata di lunedì ha avuto un convitato di pietra. Come se i due "mattatori" avessero un complesso grande come una casa. E questo complesso si chiama cristianesimo, si chiama Chiesa. L’unico bersaglio vero, tenacemente e persino violentemente cercato, è stata infatti la Chiesa. Fatta passare per una realtà assurda che disonora i giusti, asseconda i potenti e i ladri, viola le coscienze e non vuole i poveri tra i piedi. La Chiesa evidentemente va bene, ma solo se la pensa come loro. È insopportabile per questi nuovi "giusti" tribunizi che ci sia qualcuno che non segue il filo così buono, carino, ricercato eppure casual, moderno, ovvio delle loro posizioni. Lo diceva cent’anni fa Newman: non la vogliono eliminare, ma vorrebbero la Chiesa come ancella. E infatti, han trovato qualche prete vanitoso che si è prestato a fare in tv da scendiletto delle loro prediche squinternate e faziose. Un servo vanitoso si trova sempre. Ma come tutti quelli oppressi da un complesso Saviano e Fazio restano per così dire impigliati, e un poco grotteschi, nel loro agitarsi. Come quelli che hanno il complesso della statura e mettendosi tacchi evidenziano di più la loro insofferenza. Un che di posticcio come risultato. Di finto. Hanno dato fondo al repertorio più consono a somigliare a custodi di una verità, hanno dato il massimo finendo per diventare in definitiva una brutta caricatura del loro avversario dichiarato. E si è capito che non sono giornalisti – ché non lo sono, evidentemente – non sono solo predicatori, ma possibilmente a vescovi e papi vorrebbero farsi somiglianti, ma non a quelli veri bensì a quelli che spacciano per veri e insolentiscono. Finendo più volte nel patetico e nel grottesco. La Rai coi nostri soldi ha permesso loro di celebrare la liturgia dell’attacco fazioso, del pensiero a senso unico su questioni drammatiche e discusse, su ferite aperte per migliaia di famiglie. Ha permesso di pontificare con sussiego su questioni gravi. Forti del successo di share (naturalmente i successi tv sono sporchi e cattivi solo quando li fanno altri e con la massificazione no, loro non c’entrano) ora fanno dire in Rai: era ora che si sperimentassero vie nuove. Certo, c’è bisogno di nuove piste, di nuove idee. Di volti nuovi. Di nuovi "format". E di «aria nuova». Ma non di questa retorica vecchia di almeno cinquant’anni. Non c’è bisogno di questi visini compunti da finti chierichetti già veduti mille volte. Non di questi oratori complessati. Non di queste faziose ricostruzioni dei fatti, di questi monologhi da inviato della Giustizia nei salotti tv. Forse i nuovi predicatori non capiranno mai la differenza tra il loro predicare e il cristianesimo. Forse il loro complesso li porta a pensare di essere in questo modo quel che la Chiesa dovrebbe essere. Lo fanno persino (forse) in buona fede, certo non solo per i molti soldi che ci guadagnano. Lo fanno per salvarci tutti. Per rendere tutti migliori. Così da non aver più bisogno del cristianesimo. Di non aver più bisogno della Chiesa. Perché bastano loro, piacevoli, in primo piano, in quel che hanno deciso essere il nuovo tempio: la tv. Ma nel luccichio che a tutti compiace i più svegli vedono lo scintillio di uno strano, nuovo e antichissimo livore. Davide Rondoni
 
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