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MIGRAZIONI


  Poi fece un cenno verso un casotto. Dovevano esserci i gabinetti.  “Acqua?” – chiese uno con le labbra screpolate, facendo il gesto di bere. “Mangiare?” – chiese un altro in inglese. Non fu capito e fece il cenno di portare la mano alla bocca.   Si strapparono dal sonno, ed era più buio di quando erano arrivati. Poco dopo, mentre cercavano di orientarsi, videro alcuni che già si avviavano verso l’uscita. Aspettava già con il motore in folle. “Me li dai stasera” – disse nella lingua del suo paese. Ora il mare specchiava il lucore dell’alba. Il bus s’inoltrò nella valle, tra giardini infiniti d’aranci. E cominciò la raccolta, nel profumo inebriante delle bucce turgide, dei rametti acri. Queste, dunque, erano le arance, il lavoro per cui era partito. Daniel sbirciò un compagno che con l’unghia del pollice sbucciava un’arancia e ficcava in bocca a due, tre spicchi per volta il frutto succoso, mentre col piede seppelliva le bucce cadute. Pareva guardingo e Daniel capì che era proibito mangiarne. Da ore raccoglieva arance. Le braccia, le spalle dolevano, sempre tese verso l’alto; i muscoli della schiena si strappavano ad ogni chinarsi sulla cassetta. Ne aveva raccolte parecchie e presto sarebbe crollato.   “Un euro” – gli chiese. Lui non l’aveva. “Me lo dai stasera”. La notte stava calando quando diedero l’ordine di smettere.         Poi sognò o forse ancora vegliava, e c’era il suo bambino. Lui tagliava l’arancia a metà, la spremeva nel bicchiere. Il succo sprizzava come sangue.