Scrivere

graphitis, romanzo di Nicolò Gueci


L'eremo nella foresta (2)“Peccato che fra poco dovremo lasciarci” – sospirò quasi impercettibilmente mentre passeggiavamo nel parco.            “Come? Hai già finito la tua ricerca?” – esclamai deluso.  Colse il mio smarrimento e volle consolarmi. “In fondo potrei cercare un lavoro anche qui. Veramente pensavo di cambiare ambiente”. Per lasciarmi un po’ di speranza mi accarezzò come si fa con un bambino che sta per piangere.“Perché non mi dai una mano?” – le chiesi con un lampo di speranza. “Da solo ormai non ce la faccio più, segno il passo. Potrei parlarne con la direzione”. Scoppiò in una risata che non seppi come interpretare.“Non stai correndo troppo? Io mi interesso di biochimica. Che cosa vuoi che ne capisca delle tue ricerche elettroniche?”“Ebbene” – risposi a me stesso più che a lei, ed era un’intuizione che proprio allora prendeva corpo. “Sai, non sono più tanto sicuro dei confini dell’elettronica. Non siamo noi stessi un laboratorio chimico? E che cosa stimola le connessioni dei neuroni?” Avrei voluto aggiungere che i miei neuroni erano molto stimolati dal suo profumo al gelsomino: evocava ricordi d’infanzia, di sere magiche in riva al mare.“Noi diciamo che la chimica deve funzionare” – mi disse annusandomi attorno alla bocca. Sì, funzionava. Ci annusammo come due cagnetti e per un istante mi aspettai che si mettesse a leccarmi il viso. Invece ci baciammo a lungo e ci bilanciammo l’un l’altra per non cadere. Poi si fece taciturna, come se un pensiero molesto la intristisse. “Che cos’hai?”“Nulla” – rispose. Ma sentivo che stava per piangere. “Non è vero. È chiaro che qualcosa ti turba. A me puoi dirlo: siamo amici”.“Non posso”. Era una risposta decisa, una porta sbattuta. Non avrebbe cambiato parere. Mi parve che diventasse formale, distante. Avevo rovinato qualcosa. Che cosa avevo sbagliato?Durante il ritorno fummo taciturni. Non riuscivamo a liberarci dalla frustrazione. Ci scambiammo parole vuote come convenevoli, per evitare di impigliarci in quel dialogo improvvisamente interrotto. Alla fine desiderai rituffarmi al più presto nel mio lavoro; m’incupii, non trovando risposta alla mia tristezza e al suo cambiamento.Fermò in uno slargo nel bosco, che serviva da parcheggio, e dal quale si diramavano diversi sentieri. Mi abbracciò con dolcezza. “Non essere triste. Non è cambiato niente, ti assicuro. Solo… non posso. Non sono una buona professionista e ho sbagliato tutto. Un giorno ti spiegherò. Non puoi darmi un po’ di tempo?”“Certamente” – risposi. “Conosci un’alternativa?”“No; ma… ti voglio bene”. E rimise in moto, mordendo le curve con rabbia. Professionista? – pensavo. (continua). Cercare a ritroso i capitoli precedenti