Quando

Lavoratori invisibili e Costituzione umiliata


  
 (...) La rabbia di chi, con moglie e figli a carico, arriva a stento a fine mese, alzandosi prima dell’alba e lavorando con ritmi di movimenti ripetuti tutti uguali anche 279 volte in un turno di lavoro, si è sommata alla frustrazione per il lungo silenzio sulla fabbrica che, soprattutto nelle giovani generazioni, aveva tolto gli operai “dall’immaginario collettivo” di questo paese facendoli lentamente sparire, in un sommerso di oblio e, al massimo, di ricordi. E di questa scomparsa noi giornalisti e l’infernale meccanismo della “ruota della notizia”, siamo comunque corresponsabili.Eppure in Italia le tute blu sono oggi 6.940.000 (delle quali quali 5 milioni e 400.000 uomini, i milione e 540.000 donne): una realtà ancora concentrata soprattutto nel centro Nord Italia con 5.410.000 occupati di fronte a 1.530.000 nel Sud. In fabbrica un giovane entra con 788euro al mese: per arrivare poi a 1.300 euro un operaio metalmeccanico deve lavorare 35 anni con turni alla catena di montaggio (...). Con la fine della fabbrica-comunità degli anni ‘60-’70, l’operaio medio italiano sembrava essersi inabissato nella memoria del passato.Non è scomparso ma progressivamente rifluito negli anni verso gli strati bassi della società, dove oltre al reddito scarseggia la visibilità. (Della Volpe ha riassunto peril sito “Articolo2l.info” un suo reportage per la rubrica Primopiano del Tg3 (nel gennaio 2007):  La Costituzione italiana dice che l'Italia è una repubblica fondata sul Lavoro. E i lavoratori sono rottamati.La costituzione ci riconosce il diritto all'istruzione e stiamo scalando gli ultimi posti nelle classifiche mondiali per cultura e ricerca.Siamo nei primi posti tra i paesi che fanno la guerra. Per la guerra, nonostante l'articolo 11, i soldi si trovano.