<!-- @page { margin: 2cm } P { margin-bottom: 0.21cm } -->La fase: il moribondo che si aggrappa al vivo nota di Gianni Marchetto – fine agosto 2010 Premessa Queste note vogliono produrre una sorta di necessità nel Circolo SEL di Venaria, in ordine al fatto di aprire una discussione sulla fase attuale. È mio parere che siamo di fronte a forti discontinuità che vanno ben comprese se non si vuole essere afferrati dal “moribondo”.Per moribondo intendo: 1° l’attuale capitalismo (specie nella forma liberista), qui si fa il caso della FIAT per le ovvie ragioni di essere la nostra multinazionale più esposta ai venti della competizione internazionale e per la recente vicenda di Pomigliano - 2° lo stato sociale o almeno quello che a questa data, rimane. Il vivente sono i lavoratori e le classi meno abbienti. La prendo alla larga Un autore francese, un sociologo, ha scritto di recente un libro utilizzando gli attrezzi (il linguaggio) della interpretazione delle “emozioni” al posto degli attrezzi marxisti. E cosa ne ricava: esiste nel mondo attuale una divisione tra una serie di aree, la 1° è l’area della speranza, che grosso modo rappresenta il BRIC (Brasile con annesso il sud america, India e Cina), corrisponde a quest’area la crescita impetuosa (di produzione e di natalità) che toglie fette enormi di persone dalla fame, dal sottosviluppo - la 2° è l’area della collera, del rancore che rappresenta il mondo mussulmano, a quest’area corrisponde un sordo rancore derivante dal fatto di essere tra le culture centenarie dell’umanità e il servaggio che l’occidente ha preteso e pretende ancora in virtù del fatto di essere i paesi che hanno i maggiori giacimenti di materie prime (gas e petrolio) che sono alla base della “civiltà” degli occidentali, è l’area dove maggiormente ci sono dei conflitti in corso - la 3° è l’area della paura, del timore e rappresenta l’Europa e in parte gli USA. È questa un’area dove la crisi si fa più sentire con effetti devastanti e di incredibili regressioni, è l’area che a differenza delle altre, dove sono presenti in maniera massiccia le fasce di età più vecchie con tassi di natalità molto esigui. Manca in questa elencazione l’Africa, la quale viene sempre dimenticata. Chi potrebbe andare avanti Uso apposta il condizionale, perché nell’attuale fase nulla può essere dato per scontato.Il BRIC non potrà rappresentare nessuna novità per un salto in avanti nella civilizzazione dell’umanità: i problemi di crescita (di un meccanismo che noi abbiamo già conosciuto) sono e saranno enormi.Così come gli USA non potranno più essere (così come lo sono stati) il faro per tutti. Anche loro hanno troppi problemi, il 1° dei quali farsi una ragione (elaborare il lutto) di trovarsi (a breve, medio termine) come seconda potenza dopo la Cina – e basta vedere la contraddizione di Obama che cerca disperatamente di copiare il modello europeo di stato sociale per una popolazione intrisa nell’adorazione del capitalismo e dell’individualismo più acuto - e, 2° (molto, molto difficile) tenere a bada il “complesso militare” che dagli anni ’50 “governa” insieme agli inquilini della Casa Bianca, quel paese (anche con Obama).Rimane l’Europa. Però: siamo troppo vecchi, stanchi, non facciamo più bambini, ci stanno in culo i migranti (anche se li usiamo a mani basse) – per gli oltre 20 paesi che ne fanno ormai parte, non ci si capisce (ognuno la sua lingua) – abbiamo delle strutture unitarie (la UE) costosissime in mano a dei burocrati liberisti – ci manca un vero governo federale, ed è la seconda volta che in occasione di una crisi profonda l’Europa volge a destra mentre gli USA guardano a sinistra (parlo del ’29 e della crisi attuale) - però salvo la tragedia dei balcani (negli anni ’90) da oltre 60 anni non ci siamo più accoppati tra di noi.epperò, a chi se non a noi europei, tocca il compito di tentarci, di uscire dalla situazione attuale, visto poi che il processo qui è avvenuto nella forma più compiuta, cosa che dovrà ancora avvenire nelle altre aree. Avendo attenzione però che occorre avere un progetto di massima che faccia intravvedere una diversa società, fondata su altri consumi, su altri modi di produrre e di prodotti e su altri stili di vita, su altre modalità nello stare assieme. Se non lo si fa il moribondo ci trascinerà con lui.Per aiutarmi farò cenno ad alcune cose scritte per es. da Guido Viale sul Manifesto, dice il nostro:“Per anni, a ripeterci «non c'è alternativa» sono stati banchieri centrali, politici di destra e sinistra, sindacalisti paragovernativi, professori universitari e soprattutto bancarottieri. Adesso, forse per la prima volta, a confermarlo con un referendum, sono chiamati i lavoratori stessi che di questo sopruso sono le vittime designate. Ecco la democrazia del pensiero unico: votate pure, tanto non c'è niente da scegliere.Effettivamente, al piano Marchionne non c'è alternativa. Nessuno ci ha pensato; neanche quando il piano non era ancora stato reso pubblico. Nessuno ha lavorato per prepararla, anche quando la crisi dell'auto l'aveva ormai resa impellente. Nessuno ha mai pensato che sarebbe stato necessario averne una, anche se era chiaro da anni che prima o poi - più prima che poi - la campana sarebbe suonata: non solo per Termini Imerese, ma anche per Pomigliano.Ma a che cosa non c'è alternativa? Al «piano A» di Marchionne. Un piano a cui solo se si è in malafede o dementi si può dar credito. Prevede che nel giro di quattro anni Fiat e Chrysler producano - e vendano - sei milioni di auto all'anno: 2,2 Chrysler, 3,8 Fiat, Alfa e Lancia: un raddoppio della produzione. In Italia, 1,4 milioni: più del doppio di oggi. La metà da esportare in Europa: in un mercato che già prima della crisi aveva un eccesso di capacità del 30-35 per cento; che dopo la sbornia degli incentivi alla rottamazione, è già crollato del 15 per cento (ma quello della Fiat del 30); e che si avvia verso un periodo di lunga e intensa deflazione.Quello che Marchionne esige dagli operai, con il loro consenso, lo vuole subito. Ma quello che promette, al governo, ai sindacati, all'«opinione pubblica» e al paese, è invece subordinato alla «ripresa» del mercato, cioè alla condizione che in Europa tornino a vendersi sedici milioni di auto all'anno. Come dire: «il piano A» non si farà mai.Non è una novità. Negli ultimi dieci anni, per non risalire più indietro nel tempo, di piani industriali la Fiat ne ha già sfornati sette; ogni volta indicando il numero di modelli, di veicoli, l'entità degli investimenti e la riduzione di manodopera previsti. Tranne l'ultimo punto, che era la vera posta in palio, degli obiettivi indicati non ne ha realizzato, ma neanche perseguito, nemmeno uno. Ma è un andazzo generale: se i programmi di rilancio enunciati da tutte le case automobilistiche europee andassero in porto (non è solo la Fiat a voler crescere come un ranocchio per non scomparire) nel giro di un quinquennio si dovrebbero produrre e vendere in Europa 30 milioni di auto all'anno: il doppio delle vendite pre-crisi. Un'autentica follia”.Occorre per metterci al passo con i tempi, afferma Marchionne (a Rimini). Ma i tempi che corrono non sono quelli raccontati da Berlusconi; e il mercato non è quello prospettato dalla FIAT. I tempi sono quelli dell’ondata di scioperi che sta investendo la Cina (con aumenti salariali del 30% a botta). E sono quelli della crisi del modello liberista che ci sta ripiombando nella recessione, qui in Europa, in Italia, del picco del petrolio, dei cambiamenti climatici, dei disastri ambientali. Insomma, della improrogabile necessità di una conversione ambientale dell’apparato produttivo e dei modelli di consumo. Tempi che rendono evidente che il caso FIAT, e dei suoi lavoratori, non può essere separato da un progetto – che non c’è – di contenimento del declino industriale. Non sarà l’auto a portarcene fuori; caso mai ci farà sprofondare in questo gorgo sempre di più.E veniamo al secondo moribondo: il “compromesso socialdemocratico” che ha caratterizzato lo Stato Sociale in Europa, specie dopo la 2° guerra mondiale il quale aveva però un suo obiettivo: sulla crescita continua, la piena occupazione.Domanda: dalla crisi attuale (essenzialmente da sovrapproduzione) si potrà uscire con tassi di crescita pre-crisi. Apposta ho messo le opinioni di Guido Viale sulla produzione dell’auto: il principe della nostra “civiltà” – Viale dice di no. Io sono d’accordo con lui.
PRIME TRE DI UNDICI PAGINE
<!-- @page { margin: 2cm } P { margin-bottom: 0.21cm } -->La fase: il moribondo che si aggrappa al vivo nota di Gianni Marchetto – fine agosto 2010 Premessa Queste note vogliono produrre una sorta di necessità nel Circolo SEL di Venaria, in ordine al fatto di aprire una discussione sulla fase attuale. È mio parere che siamo di fronte a forti discontinuità che vanno ben comprese se non si vuole essere afferrati dal “moribondo”.Per moribondo intendo: 1° l’attuale capitalismo (specie nella forma liberista), qui si fa il caso della FIAT per le ovvie ragioni di essere la nostra multinazionale più esposta ai venti della competizione internazionale e per la recente vicenda di Pomigliano - 2° lo stato sociale o almeno quello che a questa data, rimane. Il vivente sono i lavoratori e le classi meno abbienti. La prendo alla larga Un autore francese, un sociologo, ha scritto di recente un libro utilizzando gli attrezzi (il linguaggio) della interpretazione delle “emozioni” al posto degli attrezzi marxisti. E cosa ne ricava: esiste nel mondo attuale una divisione tra una serie di aree, la 1° è l’area della speranza, che grosso modo rappresenta il BRIC (Brasile con annesso il sud america, India e Cina), corrisponde a quest’area la crescita impetuosa (di produzione e di natalità) che toglie fette enormi di persone dalla fame, dal sottosviluppo - la 2° è l’area della collera, del rancore che rappresenta il mondo mussulmano, a quest’area corrisponde un sordo rancore derivante dal fatto di essere tra le culture centenarie dell’umanità e il servaggio che l’occidente ha preteso e pretende ancora in virtù del fatto di essere i paesi che hanno i maggiori giacimenti di materie prime (gas e petrolio) che sono alla base della “civiltà” degli occidentali, è l’area dove maggiormente ci sono dei conflitti in corso - la 3° è l’area della paura, del timore e rappresenta l’Europa e in parte gli USA. È questa un’area dove la crisi si fa più sentire con effetti devastanti e di incredibili regressioni, è l’area che a differenza delle altre, dove sono presenti in maniera massiccia le fasce di età più vecchie con tassi di natalità molto esigui. Manca in questa elencazione l’Africa, la quale viene sempre dimenticata. Chi potrebbe andare avanti Uso apposta il condizionale, perché nell’attuale fase nulla può essere dato per scontato.Il BRIC non potrà rappresentare nessuna novità per un salto in avanti nella civilizzazione dell’umanità: i problemi di crescita (di un meccanismo che noi abbiamo già conosciuto) sono e saranno enormi.Così come gli USA non potranno più essere (così come lo sono stati) il faro per tutti. Anche loro hanno troppi problemi, il 1° dei quali farsi una ragione (elaborare il lutto) di trovarsi (a breve, medio termine) come seconda potenza dopo la Cina – e basta vedere la contraddizione di Obama che cerca disperatamente di copiare il modello europeo di stato sociale per una popolazione intrisa nell’adorazione del capitalismo e dell’individualismo più acuto - e, 2° (molto, molto difficile) tenere a bada il “complesso militare” che dagli anni ’50 “governa” insieme agli inquilini della Casa Bianca, quel paese (anche con Obama).Rimane l’Europa. Però: siamo troppo vecchi, stanchi, non facciamo più bambini, ci stanno in culo i migranti (anche se li usiamo a mani basse) – per gli oltre 20 paesi che ne fanno ormai parte, non ci si capisce (ognuno la sua lingua) – abbiamo delle strutture unitarie (la UE) costosissime in mano a dei burocrati liberisti – ci manca un vero governo federale, ed è la seconda volta che in occasione di una crisi profonda l’Europa volge a destra mentre gli USA guardano a sinistra (parlo del ’29 e della crisi attuale) - però salvo la tragedia dei balcani (negli anni ’90) da oltre 60 anni non ci siamo più accoppati tra di noi.epperò, a chi se non a noi europei, tocca il compito di tentarci, di uscire dalla situazione attuale, visto poi che il processo qui è avvenuto nella forma più compiuta, cosa che dovrà ancora avvenire nelle altre aree. Avendo attenzione però che occorre avere un progetto di massima che faccia intravvedere una diversa società, fondata su altri consumi, su altri modi di produrre e di prodotti e su altri stili di vita, su altre modalità nello stare assieme. Se non lo si fa il moribondo ci trascinerà con lui.Per aiutarmi farò cenno ad alcune cose scritte per es. da Guido Viale sul Manifesto, dice il nostro:“Per anni, a ripeterci «non c'è alternativa» sono stati banchieri centrali, politici di destra e sinistra, sindacalisti paragovernativi, professori universitari e soprattutto bancarottieri. Adesso, forse per la prima volta, a confermarlo con un referendum, sono chiamati i lavoratori stessi che di questo sopruso sono le vittime designate. Ecco la democrazia del pensiero unico: votate pure, tanto non c'è niente da scegliere.Effettivamente, al piano Marchionne non c'è alternativa. Nessuno ci ha pensato; neanche quando il piano non era ancora stato reso pubblico. Nessuno ha lavorato per prepararla, anche quando la crisi dell'auto l'aveva ormai resa impellente. Nessuno ha mai pensato che sarebbe stato necessario averne una, anche se era chiaro da anni che prima o poi - più prima che poi - la campana sarebbe suonata: non solo per Termini Imerese, ma anche per Pomigliano.Ma a che cosa non c'è alternativa? Al «piano A» di Marchionne. Un piano a cui solo se si è in malafede o dementi si può dar credito. Prevede che nel giro di quattro anni Fiat e Chrysler producano - e vendano - sei milioni di auto all'anno: 2,2 Chrysler, 3,8 Fiat, Alfa e Lancia: un raddoppio della produzione. In Italia, 1,4 milioni: più del doppio di oggi. La metà da esportare in Europa: in un mercato che già prima della crisi aveva un eccesso di capacità del 30-35 per cento; che dopo la sbornia degli incentivi alla rottamazione, è già crollato del 15 per cento (ma quello della Fiat del 30); e che si avvia verso un periodo di lunga e intensa deflazione.Quello che Marchionne esige dagli operai, con il loro consenso, lo vuole subito. Ma quello che promette, al governo, ai sindacati, all'«opinione pubblica» e al paese, è invece subordinato alla «ripresa» del mercato, cioè alla condizione che in Europa tornino a vendersi sedici milioni di auto all'anno. Come dire: «il piano A» non si farà mai.Non è una novità. Negli ultimi dieci anni, per non risalire più indietro nel tempo, di piani industriali la Fiat ne ha già sfornati sette; ogni volta indicando il numero di modelli, di veicoli, l'entità degli investimenti e la riduzione di manodopera previsti. Tranne l'ultimo punto, che era la vera posta in palio, degli obiettivi indicati non ne ha realizzato, ma neanche perseguito, nemmeno uno. Ma è un andazzo generale: se i programmi di rilancio enunciati da tutte le case automobilistiche europee andassero in porto (non è solo la Fiat a voler crescere come un ranocchio per non scomparire) nel giro di un quinquennio si dovrebbero produrre e vendere in Europa 30 milioni di auto all'anno: il doppio delle vendite pre-crisi. Un'autentica follia”.Occorre per metterci al passo con i tempi, afferma Marchionne (a Rimini). Ma i tempi che corrono non sono quelli raccontati da Berlusconi; e il mercato non è quello prospettato dalla FIAT. I tempi sono quelli dell’ondata di scioperi che sta investendo la Cina (con aumenti salariali del 30% a botta). E sono quelli della crisi del modello liberista che ci sta ripiombando nella recessione, qui in Europa, in Italia, del picco del petrolio, dei cambiamenti climatici, dei disastri ambientali. Insomma, della improrogabile necessità di una conversione ambientale dell’apparato produttivo e dei modelli di consumo. Tempi che rendono evidente che il caso FIAT, e dei suoi lavoratori, non può essere separato da un progetto – che non c’è – di contenimento del declino industriale. Non sarà l’auto a portarcene fuori; caso mai ci farà sprofondare in questo gorgo sempre di più.E veniamo al secondo moribondo: il “compromesso socialdemocratico” che ha caratterizzato lo Stato Sociale in Europa, specie dopo la 2° guerra mondiale il quale aveva però un suo obiettivo: sulla crescita continua, la piena occupazione.Domanda: dalla crisi attuale (essenzialmente da sovrapproduzione) si potrà uscire con tassi di crescita pre-crisi. Apposta ho messo le opinioni di Guido Viale sulla produzione dell’auto: il principe della nostra “civiltà” – Viale dice di no. Io sono d’accordo con lui.