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Post n°452 pubblicato il 06 Febbraio 2013 da Guerrino35
La denuncia di Obama a S&P è importante: conferma quanto andiamo dicendo da 20 anni e mette in discussione la base delle liberalizzazioni e cioè l'affidabilità delle agenzie di rating. Si tratta di un punto decisivo perché la denuncia del governo USA dice chiaramente che le agenzie private, essendo pagate dai clienti che devono certificare, fanno giudizi di comodo sulla base dei soldi che prendono. Questo mette in discussione tutto il sistema dei controlli privati inventati con le liberalizzazioni e la deregulation. Dobbiamo costruire una campagna politica su questo usando la denuncia di Obama fino in fondo.
Post n°451 pubblicato il 31 Maggio 2012 da Guerrino35
da Partito del Lavoro del Belgio - www.ptb.be/nieuws/artikel/la-main-de-loccident-en-afrique-1-soudan-diviser-pour-regner-sur-les-regions-petroliferes.html Traduzione dal francese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare La mano dell'Occidente in Africa. Sudan: divide et impera sulle regioni petrolifere Nel luglio del 2011, con l'accordo del Nord, il Sud Sudan dichiarava la sua indipendenza. Il Sud Sudan strappava così il controllo sul 75% dei giacimenti petroliferi sudanesi. Neanche un anno dopo si profila una guerra per l'oro nero. di Staf Henderickx 08/05/2012 Il Sud Sudan che non ha sbocchi sul mare, deve, per esportare il suo petrolio, utilizzare gli oleodotti che attraversano il Sudan (la parte settentrionale, che ha mantenuto il nome prima della scissione), e che continua così a ricevere una significativa parte dei proventi sull'oro nero. Il Sud Sudan, tuttavia, si rifiuta di pagare il prezzo richiesto dal Nord per il trasporto. Alla fine dello scorso anno, il Sudan ha confiscato 800 milioni di dollari di petrolio nel Sud Sudan, che, per ritorsione, ha chiuso i rubinetti. Il Sud Sudan ha peraltro firmato un accordo con l'Etiopia per la costruzione di un oleodotto per portare il greggio al mare, e un secondo contratto con il Kenya per la costruzione di un oleodotto verso il porto keniota di Lamu. Il Sudan perderebbe definitivamente una parte considerevole dei proventi petroliferi. I disaccordi tra Nord e Sud insistono anche sulla linea di confine, nel tratto che attraversa importanti giacimenti petroliferi. I due governi continuano a sostenere i gruppi di ribelli nel campo avverso. In poco parole: ci sono tutti gli ingredienti per scatenare una guerra. "Schiacciare l'insetto" Tre settimane fa, l'esercito del Sud Sudan ha occupato il campo petrolifero di Heglig, che fornisce la metà della produzione al Sudan del Nord. Il giacimento è gestito da un consorzio che comprende la Cina, principalmente, ma anche la Malesia e l'India. Per l'attacco e la distruzione parziale delle infrastrutture di Heglig, il presidente sud-sudanese Salva Kiir ha comunicato chiaramente che il petrolio appartiene alla sua nuova patria. Nel frattempo, il Sudan ha bombardato città del sud del Sudan prossime ai confini. Omar al-Bahir il suo presidente ha dichiarato che il Sud Sudan è un "insetto che deve essere schiacciato". Questa guerra supera il livello sudanese regionale: nella regione infatti si contrappongono gli interessi delle superpotenze. Cooperazione con la Cina La Cina, che prende il 7% del suo petrolio dal Sud Sudan, ha tutto l'interesse per la stabilità e la pace in queste regioni petrolifere. Il conflitto attuale ha avuto come conseguenza che la produzione di petrolio nel Sud Sudan si riducesse da 85.000 a 60.000 barili al giorno; mentre la produzione del Sudan è scesa da 60.000 a 48.000. La Cina non desidera una escalation nel conflitto. Nel mese di marzo, una delegazione cinese si è recata sia in Sudan che nel Sud Sudan. Il mese scorso, il presidente del Sud Sudan Salva Kiir è stato ricevuto a Pechino ed è ripartito con un sostegno di 6 miliardi di euro. Questo denaro verrà utilizzato per costruire strade, ponti, centrali elettriche, reti di telecomunicazioni e progetti agricoli. La Cina resta fedele a una politica di neutralità: firma contratti di cooperazione con tutti gli Stati africani, non interferisce negli affari interni di un paese e, in caso di conflitto, non prende posizione per una delle parti. Lucrosi contratti in gioco Questa politica di neutralità contrasta vivamente con l'interferenza politica degli Stati Uniti attraverso il pretesto dei "diritti umani, della libertà e della democrazia". Per molti anni, gli Stati Uniti hanno condotto una campagna per fomentare il Sud e il Nord Sudan l'uno contro l'altro, e si sono dimostrati i più ardenti difensori dell'indipendenza del Sud Sudan. Divide et impera, dice il motto. Alla proclamazione della nuova repubblica del Sud Sudan, la multinazionale statunitense Lockheed si è scapicollata, attraverso le sue due controllate, per prendere in carico lo sviluppo dell'esercito del nuovo stato. Nel mese di gennaio, Barack Obama ha inviato cinque ufficiali nel Sud Sudan insieme a una fornitura di armi "per aiutare il Sud Sudan a stare sulle sue proprie gambe." Poco dopo, Obama ha deciso di inviare 100 "forze speciali" in Uganda (paese confinante a nord con il Sud Sudan) per partecipare alla cattura di Kony, un noto signore della guerra. Le teste di cuoio hanno formato il nucleo di una truppa di 5.000 soldati africani. Il colonnello Felix Kulayigye, portavoce dell'esercito ugandese, ha affermato alla BBC che informazioni in suo possesso indicavano che Kony era sostenuto dal Sudan. Kony è probabilmente l'alibi per attraversare il confine in collaborazione con l'esercito ugandese. Per giunta, il capo militare dell'Uganda ha recentemente dichiarato che, in caso di conflitto tra i due Sudan, il suo paese avrebbe combattuto a fianco del Sud. Creare miseria per un cambiamento di regime Gli Stati Uniti avevano dichiarato in precedenza che avrebbero smesso di trattare il Sudan come uno "stato canaglia" se il paese avesse accettato l'indipendenza del Sud Sudan. Washington si è rimangiata questa promessa. È stato mantenuto il boicottaggio economico e viene esercitata pressione su imprese e banche europee perché vi aderiscano. Nessuno potrà negare che l'attuale regime in Sudan è dittatoriale, ma, per quel che concerne i crimini e i saccheggi effettuati da truppe sud-sudanesi, gli statunitensi sono piuttosto compiacenti. Quando, appena formato, il giovane esercito del Sud Sudan fece irruzione - causando notevoli danni - in un campo petrolifero cinese in Sudan, Obama non condannò l'azione, al contrario reagì duramente alla risposta del Sudan. Lo scorso novembre, gli Stati Uniti hanno esteso l'embargo commerciale contro il Sudan, decretato dal 1997. Questo blocco, che grava enormemente soprattutto sul popolo sudanese, ha lo scopo di indebolire il regime di Bashir per sostituirlo con un regime filo-occidentale. Una rivolta a Nord è possibile: l'aumento dei prezzi alimentari e del petrolio spingono i sudanesi a insorgere contro il regime. La popolazione soffre per la guerra, la fame, le malattie... E il denaro disponibile va in armi piuttosto che in istruzione, assistenza sanitaria o acqua potabile... In breve, questa miseria che schiaccia il popolo sudanese, del Nord e del Sud, è il risultato di una strategia che serve solo l'obiettivo degli Stati Uniti: contare su un solido approdo militare ed economico in questa regione ricca di petrolio.
Post n°450 pubblicato il 29 Marzo 2012 da Guerrino35
da elpravda.blogspot.it/2012/03/mali-nueva-guerra-del-africom.html Estratto e traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare Mali, nuova guerra dell'AFRICOM? di Rick Rozoff, attivista per la pace ed analista di temi internazionali La stampa riporta l'intensificarsi dei combattimenti in Mali tra i militari della nazione ed i ribelli di etnia tuareg del Movimento Nazionale di Liberazione Azawad nel nord del paese [1]. Siccome le uniche agenzie di stampa di portata internazionale a disporre dei fondi e delle infrastrutture necessarie a mantenere uffici e corrispondenti in tutto il mondo sono quelle con sede nei principali Stati membri del NATO (Associated Press, Reuters, Agence France-Presse, BBC News e Deutsche Presse-Agentur), la copertura degli attuali avvenimenti in Mali, come di quelli che si verificano in qualunque altro paese, riflettono un taglio occidentale ed un'agenda occidentale. I tipici titoli da luogo comune risultano pertanto: Reuters: "Armi ed uomini provenienti dalla Libia rafforzano la ribellione in Mali" CNN: "Presidente: combattenti tuareg della Libia attizzano la violenza in Mali" The Scotsman: "Tuareg armati dal Colonnello Gheddafi piombano sul Mali" Agence France-Presse: "La Francia denuncia assassini compiuti dall'offensiva ribelle in Mali" Voice of America: "Mali: la Francia condanna presunte atrocità di ribelli tuareg" Per arrivare dalla Libia al Mali è necessario un viaggio di almeno 800 chilometri attraverso l'Algeria e/o il Niger. Siccome i ribelli evidentemente non dispongono di una forza aerea, non possono contare su aeroplani da trasporto militari, i titoli citati e la propaganda che rappresentano, implicano che i combattenti tuareg hanno coperto tutta la distanza dalla Libia alla loro patria in convogli terrestri, con armi pesanti al seguito, attraversando una nazione estera senza essere intercettati o per lo meno dissuasi dalle autorità locali. E questo, oltretutto, per lanciare un'offensiva tre mesi dopo l'assassinio del leader libico Muammar Gheddafi, dopo che nell'ottobre scorso il suo convoglio fu attaccato da bombe francesi e da un missile Hellfire statunitense. Ma l'implicazione che Algeria e Niger, specialmente la prima, siano complici del transito di combattenti tuareg e d'armi dalla Libia al Mali è di cattivo presagio in termini di estensione delle accuse e delle azioni occidentali nella regione. Le notizie internazionali dominate dall'Occidente trattano in modo diverso le ribellioni armate, a seconda del modo in cui i ribelli ed i governi cui si oppongono sono visti da importanti membri della NATO. Questi ultimi hanno fornito appoggio militare e logistico a formazioni ribelli armate, nella maggioranza dei casi in attacchi attraverso le frontiere e con piani separatisti ed irredentisti, in anni recenti in Kosovo, Macedonia, Liberia, Costa d'Avorio, Libia ed ora in Siria, e sui fronti dello spionaggio e della "diplomazia" in Russia, Cina, Pakistan, Sudan, Indonesia, Congo, Myanmar, Laos e Bolivia. Tuttavia, importanti potenze della NATO hanno adottato l'indirizzo opposto quando si è trattato di Turchia, Marocco (coi suoi 37 anni d'occupazione del Sahara Occidentale), Colombia, Filippine, Repubblica Centrafricana, Chad ed altre nazioni, che sono loro clienti militari o territori da esse controllati, dove gli USA e i loro alleati occidentali forniscono armi, consiglieri, forze speciali e le cosiddette forze di mantenimento della pace. Il martellamento di notizie allarmanti rispetto al Mali è un segnale che l'Occidente si propone di aprire un'altro fronte militare nel continente africano, dopo la campagna aerea, navale e di forze speciali contro la Libia e le continue operazioni in Somalia ed Africa Centrale, col recente dispiegamento di forze speciali statunitensi in Uganda, Congo, Repubblica Centrafricana ed il Sudan meridionale. Nel febbraio scorso in Costa d'Avorio, il vicino del Mali verso sud, i militari francesi, con le accomodanti truppe delle Nazioni Unite - "forze di pace" - spararono razzi contro la residenza presidenziale e sequestrarono con la forza il presidente Laurent Gbagbo. Il Comando Africa degli USA (AFRICOM) cominciò a funzionare per la prima volta come forza combattente, ciò che avrebbe dovuto essere fin dall'inizio, nel marzo scorso nella prima quindicina di giorni di guerra contro la Libia, con l'"Operazione Alba dell'Odissea", prima di trasferire la campagna alla NATO per oltre sette mesi d'ininterrotti bombardamenti ed attacchi missilistici. Il Mali potrebbe essere la seconda operazione militare dell'AFRICOM. Il paese, senza sbocco al mare, è il raggio della ruota dell'ex Africa Occidentale Francese, confinando con quasi tutti gli altri membri a parte il Benín: Burkina Faso, Guinea (Conakry), Costa d'Avorio, Mauritania, Niger e Senegal. Verso nord condivide inoltre la frontiera con l'Algeria, un altro antico possedimento francese. Il Mali è il terzo produttore d'oro dell'Africa, dopo Sudafrica e Ghana. Possiede considerevoli depositi d'uranio amministrati da concessionarie francesi nel nord del paese, scenario degli attuali combattimenti. Le richieste dei tuareg includono l'ottenimento di un certo controllo sulle miniere d'uranio e sui ricavi che fruttano. Inoltre sono state effettuate negli ultimi anni importanti esplorazioni alla ricerca di petrolio e gas naturale, sempre nel nord del paese. La nazione è pure un asse portante della "Cooperazione Antiterrorismo Trans-Sahara degli USA" stabilita nel 2005 (in origine Iniziativa Antiterrorismo Trans-Sahara), derivante dall'"Iniziativa Pan Sahel" del 2003-2004. In maggio il "Comando Europa delle Operazioni Speciali degli USA" inaugurò l'Iniziativa Antiterrorismo Trans-Sahara inviando 1000 soldati delle forze speciali nell'Africa nordoccidentale per l'"Operazione Flintlock" ("Operazione Fucile a pietra focaia"), con l'obiettivo di addestrare le forze armate di Mali, Algeria, Chad, Mauritania, Niger, Senegal e Tunisia, i sette membri africani originari dell'Iniziativa Antiterrorismo Trans-Sahara, che include attualmente anche Burkina Faso, Marocco e Nigeria. La Libia vi s'inserirà presto, come pure nella cooperazione militare del Dialogo Mediterraneo della NATO. Le forze speciali statunitensi diressero la prima di ciò che è divenuta poi l'"Operazione Flintlock", esercitazione di controinsurrezione a cadenza annuale con le nazioni menzionate del Sahel e del Magreb. L'anno successivo la NATO realizzò i giochi di guerra su vasta scala "Steadfast Jaguar" ("Giaguaro risoluto") nella nazione insulare africana occidentale di Capo Verde, per lanciare la Forza di Reazione della NATO, in base alla quale è stata forgiata la Forza Ausiliare Africana. [......] Benché il proposito dichiarato della Cooperazione Antiterrorismo Trans-Sahara e delle sue esercitazioni plurinazionali "Flintlock" sia addestrare i militari delle nazioni del Sahel e del Magreb al combattimento contro gruppi estremisti islamici nella regione, in realtà gli USA ed i loro alleati l'anno scorso hanno ingaggiato la guerra contro il governo della Libia a sostegno di elementi simili, e l'applicazione pratica dell'addestramento militare e del dispiegamento del Pentagono nell'Africa nordoccidentale è stata combattere contro le milizie tuareg, anziché contro gruppi come Al Qaida nel Magreb Islamico o Boko Haram in Nigeria. Gli USA ed i loro alleati NATO hanno realizzato ed appoggiato altre esercitazioni militari nell'area con propositi simili. Nel 2008 la Comunità Economica degli Stati dell'Africa Occidentale (ECOWAS), il gruppo economico regionale per il quale fu creata la Forza Ausiliare Africana Occidentale appoggiata da USA e NATO, realizzò un'esercitazione militare denominata "Jigui 2008" in Mali, che secondo quanto riportava allora il Ghana News Agency, era "appoggiata dai governi anfitrioni, così come da Francia, Danimarca, Canada, Germania, Olanda, Regno Unito, USA e Unione Europea". Anche AFRICOM effettua esercitazioni plurinazionali di interoperatività delle comunicazioni, Africa Endeavour, principalmente in Africa Occidentale. La conferenza programmatica dell'anno scorso si svolse a Bamako, capitale del Mali e, secondo l'Esercito USA in Africa, riunì oltre 180 partecipanti di 41 nazioni africane, europee e nordamericane, osservatori della Comunità Economica degli Stati dell'Africa Occidentale (ECOWAS), della Comunità Economica degli Stati dell'Africa Centrale (ECCAS), della Forza Ausiliare dell'Africa Orientale e della NATO, per preparare la prova d'interoperatività di sistemi di comunicazione e d'informazione delle nazioni partecipanti. Anche l'esercitazione principale avvenne in Mali. I militari statunitensi si sono insediati nella nazione per lo meno dal 2005 e quell'anno Voice of America rivelò che il Pentagono aveva "stabilito un centro operativo temporaneo in una base della Forza Aerea del Mali vicino a Bamako. L'installazione fornirà appoggio logistico e servizi d'emergenza alle truppe USA che addestrano forze locali in cinque paesi della regione". L'anno successivo il Comando Europeo degli USA e capo del Comando Supremo della NATO in Europa, il generale dei marines James Jones, primo consigliere nazionale di sicurezza del governo di Obama, secondo un articolo pubblicato su Ghana Web " rivelò [che] il Pentagono vuole ottenere l'accesso a…. basi in Senegal, Ghana, Mali e Kenya ed altri paesi africani". [......] Nel settembre del 2007 un aereo da trasporto militare statunitense C-130 Hércules fu raggiunto da fuoco di fucile mentre lanciava rifornimenti a truppe del Mali sotto assedio da parte di forze tuareg. [......] Nel 2009 gli USA annunciarono che stavano fornendo al governo del Mali oltre 5 milioni di dollari in veicoli nuovi ed altri equipaggiamenti. [......] Gli USA sono stati collusi con la guerra del Mali nel corso di quasi dodici anni. Recenti storie di atrocità riportate dalla stampa occidentale alimenteranno richieste d'intervento "Responsabilità di Proteggere", sullo stile di quelle realizzate in Costa d'Avorio ed in Libia un anno fa, e forniranno il pretesto per una partecipazione militare statunitense e della NATO nel paese. È possibile che AFRICOM stia pianificando la sua prossima guerra. Nota [1] Il popolo tuareg o imuhagh è un popolo berbero o amazigh, che abita nello zona settentrionale ed occidentale del Sahara e nel nord del Sahel. Per i tuareg il Sahara non è un deserto, bensì molteplici insieme. Tra i deserti del nordovest dell'Africa, si distingue il Tiniwan. Se ne possono citare anche numerosi altri, che essi differenziano in più o meno aridi, pianeggianti o montagnosi. La lingua tuareg o Tamasheq è un gruppo di varianti berbere - il tamasheq, il tamahaq ed il tamajaq (o tamajaght) parlate dai Tuareg. Provengono dalla famiglia di lingue afro-asiatiche. Le varianti tuareg sono le uniche del gruppo berbero ad avere conservato la forma scritta dell'alfabeto libico-berbero, chiamato anche tifinagh, il cui uso è documentato dal secolo III a. C. fino al secolo III d. C. in tutto il nord dell'Africa e nelle Isole Canarie. Gli viene attribuita un'origine punica.
Post n°449 pubblicato il 04 Marzo 2012 da Guerrino35
Guerra in Congo: Nord Kivu e i telefonini insanguinati Per osservare i volti dei profughi di Kibati bisogna alzarsi prima del sole, quando il fumo pesante dei falò morenti avvolge la folla di disperati che ogni notte si accuccia intorno al bagliore di mille fuochi. Le prime vittime di una guerra mai spenta si incontrano qui: duecentocinquantamila anime con gli occhi sbarrati che lottano contro colera e fame ogni giorno. La pista di terra rossa, che partendo da Goma attraversa il campo dei rifugiati e prosegue verso gli inferni delle miniere d’oro e di coltan del nord, si allarga in corrispondenza dei resti di un check point abbandonato nella notte dall’esercito congolese in fuga. Il territorio controllato dalle milizie C.N.D.P. del generale rinnegato Laurent Nkunda inizia qui, ai piedi di un grande albero della gomma chinato verso il tramonto, e comprende le foreste del Massisi e la regione del Nord Kivu fino a Rutshuru, primo villaggio colonizzato dai belgi all’epoca di Leopoldo II e ora residenza dello stato maggiore del Congresso Nazionale per la difesa del popolo. Tra le baracche di questa cittadina della Repubblica Democratica del Congo, vuota di tutto quel che la guerra s’è portata via, si scrive l’ennesima pagina di un conflitto che odio etnico e interessi economici hanno trasformato nella più grande tragedia della storia dalla fine della seconda guerra mondiale. “Un albero può morire. E restare in piedi. Può marcire. E restare in piedi. Ma anche un popolo può morire, e marcire, e restare in piedi, quando perde la propria sensibilità. La propria energia. Sono qui per informarvi, signori, che il popolo congolese è morto. Voi, siete morti. E state già marcendo.” Nella sala dell'Istituto Superiore Pedagogico della cittadina di Rutshuru, Nord Kivu, Repubblica Democratica del Congo, il silenzio è spettrale. Il generale rinnegato Laurent Nkunda, leader del movimento ribelle tutsi C.N.D.P., psicologo, pastore della chiesa avventista del settimo giorno, percorre la sala a grandi passi, evoca il passato, cita Ezechiele, infine sentenzia: gli hutu colpevoli di genocidio fino alla settima generazione. Molti dei presenti iniziano a contare con le dita quanti nonni sono trascorsi dal 1994. Troppo pochi. Sono oltre duecento i cittadini di etnia hutu “invitati” alla prevista seduta di rieducazione ideologica. Ammassati, silenziosi, plaudenti al segnale convenuto. Chi non partecipa, sparisce insieme alla famiglia. Stupri, saccheggi, esecuzioni, mutilazioni: le testimonianze dei pochi sopravvissuti a queste barbarie sono irripetibili. “Il popolo Tutsi, come il popolo di Israele, ha il dovere di combattere per la propria sopravvivenza: con l’aiuto di Dio schiacceremo i nostri nemici, coloro che hanno alzato le mani sui nostri padri così come i politici corrotti di Kinshasa che vendono il nostro futuro ai comunisti cinesi”, conclude il generale. Sulla mimetica, una spilla: rebel for christ. Dicono poco, i numeri. Raccontano di un contingente di diciassettemila caschi blu che non sanno, o non vogliono, fare il loro dovere. Impantanati nel fango di una guerra combattuta da eserciti medioevali e gruppi ribelli armati di lance e machete, i blindati della Monuc- missione Onu Congo- sono un monumento all’incapacità occidentale di fermare questa strage. Cinque milioni e quattrocentomila morti testimoniano, una volta ancora, l’assoluta inadeguatezza di una istituzione che faticosamente sopravvive ai massacri che dovrebbe arrestare. Ma forse la verità è un’altra. All’indomani delle elezioni farsa del luglio 2006, finanziate da Europa e Stati uniti, che hanno visto il sanguinario presidente Kabila riconfermato alla guida di uno dei paesi più corrotti, e ricchi, del pianeta, gli accordi per lo sfruttamento delle miniere d’oro, diamanti e coltan del nord kivu sono stati rinegoziati in favore di un nuovo partner: la Cina. Contratti per dieci miliardi di dollari. Secondo un deputato congolese, che vuole restare anonimo, “l’Occidente finanzia il signore della guerra Nkunda per ricattare il governo congolese, colpevole di non aver tutelato gli interessi delle multinazionali occidentali nel settore minerario”. I fatti sembrano confermarlo. Il comandante della Monuc nel nord Kivu, colonnello Chand Saroha, è stato rimosso nel luglio scorso, accusato di aver fornito vettovaglie, informazioni e munizioni ai miliziani del Generale Nkunda. Il Ruanda, paese alleato dell’Occidente, fornisce uomini e armi al C.N.D.P, ed è diventato uno dei principali esportatori di coltan del mondo. Eppure non ne possiede un grammo. L’Uganda, che fornisce armi e mezzi alle truppe di Nkunda, è diventato uno dei principali esportatori d’oro del mondo. Eppure, non ne possiede un grammo. Decine di multinazionali procedono, in un assordante silenzio mediatico, al saccheggio sistematico del paese più ricco del mondo in termini di risorse minerarie ed energetiche, all’ombra di un conflitto di cui nessuno vuole nemmeno sentire parlare. Il kalashnikov che Sebastien mi porge ha il calcio di legno rosso. In cambio, vuole il mio telefonino. Mi chiede se è possibile chiamare casa, a Bukavu, dalla foresta. Vorrebbe salutare sua mamma. Sebastien compirà tredici anni ad aprile. Presidia questo avamposto da molti mesi, non sa dire quanti. Il C.N.D.P. recluta giovani hutu, per inviarli in zone indifendibili. In caso di diserzione, la sua famiglia verrà sterminata. La foresta pluviale l’ha accolto insieme a una decina di ragazzi e ragazze. Una aspetta un bambino. Nascerà qui, dice, in questa capanna di rami intrecciati che fa ombra a una padella, due lanciarazzi a spalla e una scarpa da ginnastica sfondata. Non si riesce a capire chi sia al comando dell’accampamento: nessuno porta i gradi. E’ la ribellione. Oltre la collina, Kanyabaionga, Kayna, Kirumba, cittadine controllate da milizie xenofobe Mai Mai, Interawhe, Fardl. Partiamo con tre fuoristrada, uno di scorta : le scritte international press e tv incollate sui finestrini, sull’agenda il nome di un portavoce dei Mai Mai che forse è vivo e forse no, da tirar fuori come un coniglio dal cappello se le cose si mettono male davvero. Scimmie e ippopotami si dividono le sponde di un corso d’acqua limacciosa che taglia la terra di nessuno: poi la pista si arrotola su se stessa, come un boa, e comincia a salire. Ai tonfi sordi dei mortai, migliaia di uccelli si alzano in volo, corrono verso il cielo in fiamme. Mai Mai e FARDC, fino a pochi giorni fa alleati contro le forze del C.N.D.P, combattono da quando, ieri, il sole si è tuffato nella giungla. Una ventina di Mai Mai gravemente feriti riposano all’ospedale di Kayna: dividono le brande con i malati terminali di colera, e la stessa cura : un po’ di zucchero, sciolto nel thé, e qualche benda di fortuna. Dietro la collina, silhouette di profughi in fuga e alberi della gomma si mescolano nel controluce della sera. Una donna ci corre incontro. Si copre i seni, nudi sotto i brandelli insanguinati di quel che resta di una camicia. Sul dorso, un bambino addormentato di pochi mesi: chiede cibo, acqua. Muni sai die. Aiuta mio figlio. Kayna è deserta. Le case spoglie, bruciate. Sul lato della strada, due cadaveri di cui non rimangono che resti fumanti. Paul ha gli occhi neri di cenere, il copertone di una bicicletta in mano e un berretto rosso da sci. Non gli resta altro. Fino alla notte scorsa, possedeva una baracca di assi, due letti, delle pentole e un frigorifero. Vendeva chapati di manioca e latte cagliato. “Ieri notte i militari del governo sono arrivati su un camion. Erano le dieci. Eravamo a letto. Hanno ucciso mio padre. Hanno preso tutte le nostre cose. Non mi rimane più niente.” Gli chiedo che ha intenzione di fare. Dalle tasche della giacca a vento spunta un pezzo di carta, ingiallito dal tempo. Sopra, scritto a matita, un numero a quattordici cifre, un nome, un indirizzo. “Porta questo a mio fratello, Muzungu. Vive in Italia, forse ancora a Mestre. Digli che la nostra casa, ora, è la foresta”. All’indomani della spaccatura del C.N.D.P, e del presunto arresto del Generale Nkunda, avvenuto poche settimane fa, il nuovo flagello del Congo porta il nome di uno dei gruppi ribelli ugandesi più spietati della storia africana. Attacchi indiscriminati contro la popolazione nella regione del Haut Huélé, stupri, esecuzioni di interi villaggi. MSF denuncia l’indifferenza della Monuc: immobile, nonostante la risoluzione del consiglio di sicurezza ONU 1856 del 22 dicembre scorso imponga ai caschi blu di intervenire per proteggere la popolazione da quello che ormai è diventato un massacro sistematico. Migliaia di ombrelli dai colori dell’arcobaleno si incrociano ai bordi delle piste di terra rossa. Vanno in ogni direzione, da nord a sud e viceversa. Non chiedono informazioni, non vogliono sapere più nulla. Maurice e la sua famiglia si sono seduti ai bordi della pista. Hanno deciso di non continuare a camminare. Succhiano qualche canna da zucchero, bevono l’acqua che ogni sera, alle 5 in punto, regala loro la pioggia. Fuggono da troppo tempo per illudersi ancora che esista un luogo in cui ricominciare a vivere in pace. La guerra, nella Repubblica Democratica del Congo, è ovunque. Ugo Lucio Borga, Reportage per the witness journal
Post n°448 pubblicato il 02 Febbraio 2012 da Guerrino35
Giustizia per Sankara, giustizia per l'Africa di Guin Guin Bali 27/01/12 A ottobre di quest'anno sarà trascorso un quarto di secolo dall'assassinio del giovane presidente di quello che era L'Alto Volta e che proprio lui aveva chiamato Burkina Faso (Il paese degli uomini integri): si tratta di Tomas Sankara. Nonostante l'abbondanza di testimoni che denunciano un complotto internazionale, la sua morte continua a essere un mistero. Da ciò nascono varie iniziative perché non si dimentichi la memoria del defunto e tanto meno la sua causa. La più interessante di queste iniziative è chiamata: "Giustizia per Thomas Sankara, giustizia per l'Africa". Se non fosse stato assassinato nel 1987 oggi Sankara avrebbe 62 anni, secondo tutti gli indizi da (fino a quel momento suo amico) Blaise Compaoré, attuale presidente del Burkina Faso. Questi ha fatto un colpo di stato nell'agosto del 1983 e fece di Sankara il presidente. Ma la sua ideologia e il suo agire da marxista in un contesto polarizzato dalla guerra fredda gli procurarono un'infinità di nemici. Ecco perché nel 1987 il suo fedele amico fece un altro colpo di stato, questa volta contro Sankara, con la complicità della comunità internazionale. Thomas Sankara fu la speranza di tutto un continente in una determinata epoca e soprattutto di un modello di leadership decisa, onesta, valida e creativa. Mai prima un presidente africano aveva compiuto azioni come quelle che mise in pratica per farla finita con la disumanizzazione. Prima di tutto cambiò il nome all'ex colonia francese, portò all'ONU scomode questioni circa la meschinità delle nazioni straniere in terra africana, parlò chiaro sui problemi di una geografia politica tracciata nella Vienna ottocentesca, separando etnie e unificando popoli da sempre in contrasto all'interno di nazioni artificiali, del business e degli aiuti umanitari, che condannano i popoli a un'eterna sottomissione ai pochi caritatevoli Stati che offrono tali inganni. Parlò anche delle coltivazioni intensive dei paesi ricchi che fanno sì che i contadini africani vivano in miseria. Così, con una potente miscela di carisma personale e forti convinzioni marxiste e panafricane, il suo governo lottò contro la corruzione e l'imperialismo francese, migliorò la scuola, la sanità, l'agricoltura e la condizione della donna, nazionalizzando le terre, le miniere e i servizi pubblici. I suoi successi gli valsero il soprannome di "Che Guevara africano". In una regione piena di dittatori dinosauri (cominciando proprio dai suoi successori e l'attuale presidente del Burkina Faso, Blaise Campaoré), il suo modo di intendere la politica come servizio ai cittadini è più necessario che mai. Per sapere di più su quella figura bukinabé e africana: "L'Africa di Thomas Sankara", di Carlo Batà.
Post n°447 pubblicato il 19 Gennaio 2012 da Guerrino35
www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 16-01-12 - n. 392
da www.rebelion.org/noticia.php?id=142963&titular=aniversario-del-asesinato-de-rosa-luxemburgo-y-karl-liebknecht- Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare Anniversario dell’assassinio di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht David Arrabalí - Mundo Obrero 16/01/12 [Estratto] Novantatrè anni fa, la notte del 15 gennaio 1919 a Berlino, veniva arrestata Rosa Luxemburg: una donna indifesa dai capelli grigi, stanca e dimagrita. Una donna che dimostrava molto più dei suoi 48 anni. Uno dei soldati che la circondavano la obbligò a seguirli a spintoni, mentre la folla piena di odio che affollava l’atrio dell’Hotel Eden la insultava. Fu allora che lei li guardò con i suoi neri occhi orgogliosi e quei soldati della truppa d’assalto si sentirono offesi da quello sguardo sdegnoso e quasi compassionevole della "Rosa la Rossa". Loro odiavano tutto quello che lei aveva rappresentato in Germania per due decenni; l’idea del socialismo, l’antimilitarismo, il femminismo, l’opposizione alla guerra che avevano perso nel novembre del 1918. Giorni prima avevano schiacciato la rivolta dei lavoratori a Berlino e Rosa li aveva ancora sfidati nel suo ultimo articolo: "L’ordine regna a Berlino!". "Stupidi! Il Vostro Ordine è costruito sulla sabbia. Domani la rivoluzione scoppierà e annuncerà con una fanfara, per il vostro terrore: io fui, sono e sarò!" Presero a spintonarla e colpirla, erano sul retro dell’hotel. Fuori aspettava un’auto piena di soldati che come le avevano detto, avrebbero dovuto portarla in prigione, ma uno di questi usò il suo fucile sulla testa di Rosa. Lei cadde al suolo, il soldato si chiamava Runge. A Runge avevano ordinato di colpirla, lo stesso aveva fatto a Karl Liebknecht, anche lui era stato trascinato nell’atrio dell’hotel Eden. Appena il tempo di caricarlo in auto e gli sparano un colpo a bruciapelo, lo sparo si udì persino nell’Hotel. La notte del 15 gennaio 1919 gli uomini del reparto d’assalto assassinarono Rosa Luxemburg. Il cadavere lo buttarono da un ponte, in un canale. Il giorno dopo lo sapeva già tutta Berlino. (..) Nel 1962, 43 anni dopo la sua morte, il governo Federale tedesco dichiarava che "l’assassinio era stata un’esecuzione in linea con la legge marziale". Sono passati solo dodici anni da quando un’indagine ufficiale ha concluso che la truppa d’assalto che aveva ricevuto denaro e ordini dai governanti socialdemocratici è stata l’autrice materiale della sua morte e di quella di Karl Liebknecht. (..) C’è ancora molta gente che continua la tradizione della Germania Orientale di assistere alla manifestazione per ricordarla. (..) I loro compagni provarono a costruire il socialismo, i suoi nemici e assassini aiutarono Adolf Hitler a prendere il potere. Oggi, quando il capitalismo dimostra ancora una volta che la guerra non è mai un incidente, ma una parte della sua strategia, quando partiti e organizzazioni "tradizionali" si trovano a dover capire l’abbandono delle masse, quando la sinistra trasformatrice punta solo al parlamentarismo come via per il mutamento sociale, ci troviamo di fronte a un’enorme crisi del modello di democrazia rappresentativa e gli argomenti politici si riducono al "voto utile", oggi, Rosa Luxemburg è un riferimento indispensabile nei grandi dibattiti della sinistra. Non è senza la sua voce che la si ascolta sotto uno slogan apparentemente nuovo: "Un altro mondo è possibile". Lei lo aveva formulato solo con un po’ più di urgenza: "Socialismo o barbarie". Il suo pensiero, il suo impegno e la sua debordante umanità ci servono da riferimento nella nostra lotta perché anche questo secolo non sia della barbarie.
Post n°446 pubblicato il 02 Dicembre 2011 da Guerrino35
Traduzione dall'inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare Il Comando USA in Africa: uno strumento per ricolonizzare il continente di Motsoko Pheko * 16/11/2011 Il Comando USA in Africa, che gli Stati Uniti chiamano Africom, è una struttura militare del Dipartimento della Difesa USA. Africom è stato creato nel 2007 durante il secondo mandato del Presidente George W. Bush, due mesi dopo il bombardato statunitense e la destabilizzazione di un piccolo paese africano, la Somalia. Oggi la Somalia è ridotta in ceneri e rappresenta un pericolo per il commercio africano e internazionale. Sulle coste somale imperversa la pirateria del mare, teatro di numerosi rapimenti. Questo è il risultato della prima invasione statunitense della Somalia, nel perseguimento dei loro illegittimi interessi economici in Africa. L'instabilità politica della Somalia ha creato il problema del "terrorismo" per i paesi dell'Africa orientale come il Kenya. Nel mese di ottobre 2011, l'Istituto di Studi sulla Sicurezza [organizzazione pan-africana con sede a Pretoria] ha tenuto un seminario a Pretoria, sulla politica di sicurezza degli Stati Uniti in Africa e il ruolo dell’Africom. Il relatore principale è stato l'ambasciatore statunitense in Sudafrica. Ha presentato un "punto di vista esperto non-militare sull'Africom", asserendo che così è possibile "separare i fatti dalle menzogne e le dicerie e affrontare direttamente equivoci e malintesi attorno ad Africom". L'apologeta statunitense di Africom ha affermato che la creazione di questa struttura militare gestita dal Dipartimento della Difesa "si è rivelata diversa da quello che il governo statunitense aveva inizialmente immaginato e concepito, avendo subito rinunciato di stabilire la sua sede in Africa". Sembra che anche nel 21° secolo, il governo degli Stati Uniti d'America non rispetti la sovranità degli Stati africani e l'integrità territoriale del continente. Se così fosse, capirebbero che gli africani hanno interessi nazionali e continentali e il diritto di proteggerli. Gli interventi di assistenza dovrebbero essere richiesti e chi chiede aiuto sa che tipo di assistenza vuole. Gli Stati Uniti d'America non hanno il diritto di imporre Africom all'Africa, provocando divisioni tra paesi e indebolendo l'Unione Africana. Gli Stati Uniti intendono far prevalere i propri interessi su quelli dell'Africa. Gli africani hanno subito l'immane tratta transatlantica degli schiavi, il razzismo e il colonialismo perpetrati da nazioni che si dichiarano "civilizzate" ma hanno un comportamento tutt'altro che civilizzato. Hanno trattato come bestie i popoli dell'Africa, senza vedere nulla di sbagliato in quanto facevano. Non hanno mai mostrato alcun rimorso per le loro azioni disumane contro gli africani né offerto alcun risarcimento per i danni colossali che hanno inflitto loro. La persistenza degli Stati Uniti nell'imporre Africom in Africa lo dimostra oltre ogni ragionevole dubbio. Il petrolio ugandese e "l'aiuto" delle truppe statunitensi L'Uganda ha subito atrocità inenarrabili sotto il governo di Idi Amin, installato dalla Gran Bretagna sotto il Primo Ministro Edward Heath. Al governo britannico non piacevano le politiche socialiste del presidente Milton Obote. Amin ha trucidato molti ugandesi, tra cui l'Arcivescovo anglicano Janani Luwum. Dopo la caduta di Amin, è emerso Joseph Kony, capo di quelli che egli stesso usava definire l'Esercito di Resistenza del Signore. Kony ha ammazzato migliaia di ugandesi, ha fatto rapire e costretto a unirsi al suo esercito centinaia e centinaia di bambini per combattere il governo ugandese. Molti di quei bambini sono stati uccisi nella guerra insensata. Questo va avanti da oltre 20 anni. Il governo statunitense non ha mai interpellato l'Uganda o l'Unione Africana o il suo predecessore, l'Organizzazione dell'Unità Africana, per chiedere in che modo potesse fornire aiuto. Ora, poco dopo che il petrolio è stato trovato in Uganda, sentiamo che il governo degli Stati Uniti ha inviato un esercito per trovare Kony e portare in salvo i bambini del paese. Perché gli Stati Uniti non si sono offerti prima che l'Uganda scoprisse la ricchezza petrolifera? Non lo sviluppo dell'Africa, ma il possesso delle risorse dell'Africa: ecco lo scopo principale di Africom. Gli Stati Uniti farebbero entrare un esercito russo o cinese sul loro territorio? Alcuni paesi africani sono stati minacciati di sanzioni e "cambi di regime". Uno di questi è la Libia, dove è stato ucciso il Colonnello Mu'ammar Gheddafi sotto la scure della NATO e degli Stati Uniti. Quando gli africani sollevano le loro preoccupazioni sull'Africom, si dice che si ingannino con "equivoci, malintesi, pettegolezzi e menzogne". Ci chiediamo quindi se il governo degli Stati Uniti sarebbe disposto a consentire che la Russia o la Cina stabilisse un proprio "Comando Americano", denominato "AmeriCom", per perseguire il suo interesse nazionale negli Stati Uniti. Come reagirebbero gli statunitensi? Ringrazierebbero il Messia? In ogni caso, l'ex-presidente Bush, l'artefice di Africom, ha dichiarato con arroganza imperialista e disprezzo per la sovranità degli Stati africani, che questa struttura dovrà "tutelare tutti gli interessi di sicurezza degli Stati Uniti in Africa". Il viceammiraglio Moeller ha lasciato trapelare la verità su Africom L'ex-presidente Bush ha affidato la missione di Africom al Viceammiraglio Robert T. Moeller, un esperto militare. Al Congresso sull'Africom tenutasi a Fort McNair [Washington, D.C.] il 18 febbraio 2008, Moeller, capo della missione statunitense Africom, ha dichiarato che: "Proteggere il libero flusso delle risorse naturali dall'Africa verso il mercato globale è uno dei princìpi guida dell'Africom". Moeller ha specificamente citato "le interruzioni nel rifornimento di petrolio", "il terrorismo" e la crescente influenza della Cina tra le maggiori sfide agli interessi degli Stati Uniti in Africa. Africom è organizzato dall'ufficio per la Trasformazione delle Risorse delle Forze [Armate] e le Politiche di Sicurezza Nazionale del Sottosegretario alla Difesa, presso il National Defense University di Fort McNair, a Washington D.C. Africom serve gli interessi degli Stati Uniti d'America e l'Africa non ha bisogno di questo comando. Africom è uno sciacallo in veste di pecora. Non si può affidare la sicurezza e la vita delle pecore a uno sciacallo. Quello che serve all'Africa per proteggere i suoi interessi Ciò che serve all'Africa è un meccanismo per realizzare le missioni di pace utili per stabilizzare politicamente il continente e dare all'Africa un rapido sviluppo economico, il controllo delle sue risorse e un rapido avanzamento tecnologico per i suoi popoli. La soluzione dei problemi dell'Africa passa per il rafforzamento dell'Unione Africana e l'accelerazione del suo sviluppo economico. L'arretratezza dell'Africa è la conseguenza della tratta degli schiavi e del colonialismo, che hanno arricchito i paesi europei e consentito il loro sviluppo, al prezzo del sottosviluppo dell'Africa. Sir Winston Churchill lo ha ammesso quando disse: "Possedere le Indie Occidentali ci ha dato la forza, il sostegno, ma soprattutto la ricchezza di capitali in un momento in cui nessun'altra nazione europea godeva di tali riserve. Esse ci hanno consentito non solo di emerge vincitori nelle grandi battaglie delle guerre napoleoniche ... ma anche, quando il mondo era giovane, di gettare le basi per la nostra supremazia commerciale e finanziaria... ci hanno permesso di conquistare la nostra posizione preminente nel mondo". Gli Stati Uniti e la Nato hanno commesso i peggiori crimini contro i popoli africani. Patrice Lumumba fu assassinato con la connivenza dei governi degli Stati Uniti e del Belgio. Kwame Nkrumah fu deposto con l'aiuto della CIA. Negli ultimi anni il governo statunitense e il suo alleato britannico hanno complottato un "cambio di regime" in Zimbabwe. In Libia sono stati gli Stati Uniti e la NATO che hanno bombardato il paese e hanno fatto uccidere il Colonnello Mu'ammar Gheddafi. Questo è successo in Africa. Quanto più facilmente e frequentemente accadranno cose simili, ora che Africom ha iniziato le sue operazioni nel continente? Gli Stati Uniti hanno armi sofisticate e metodi per raccogliere informazioni che l'Africa oggi non possiede. Le cattive intenzioni degli Stati Uniti e dei loro alleati della NATO verso l'Africa sono stati lampanti quando, recentemente, hanno reso impossibile a una delegazione dell'Unione africana di entrare in Libia per mediare e portare la pace tra i ribelli e il governo di Gheddafi. L'America e la NATO hanno trattato l'Unione Africana con disprezzo. Hanno letteralmente sabotato gli sforzi dell'UA per portare la pace in Libia e in Costa d'Avorio. Africom distruggerà l'Africa. Africom indebolirà le Nazioni Unite e l'Unione Africana. Creerà profonde divisioni in Africa tra moderati e militanti. Africom è un utile strumento imperialista per effettuare "cambi di regime". Sarà utilizzato per installare dei governi fantocci per servire gli interessi dell'imperialismo. Quello che serve agli africani è la difesa collettiva del continente contro l'imperialismo. Questo significa aumentare la sua capacità militare in modo che l'Africa possa difendere i suoi interessi contro le aggressioni esterne. Tutti gli stati hanno l'obbligo nazionale e continentale di negare all'Africom di stabilirsi sul suolo africano. I leader africani che partecipano al gioco statunitense Africom stanno scavando una fossa comune per le popolazioni africane e i loro figli. Questi leader mettono a rischio la sicurezza degli africani e le persone di discendenza africana. Non faranno avanzare l'Africa economicamente e tecnologicamente, non controlleranno le sue ricchezze, né le useranno per gli africani e per difenderli da chi vede ancora il continente come un luogo di arricchimento e ritiene che le sue materie prime gli appartengano. L'imperialismo sta diventando sempre più pericoloso e disperato. Questi sono i suoi ultimi colpi di coda prima di frantumarsi. L'economia dei paesi imperialisti è a pezzi. Questi paesi sono fortemente in debito. Africom è uno strumento per salvare un anacronistico, decadente, vile sistema di spietata oppressione economica. I giovani dell'Africa devono insorgere e proteggere le ricchezze del continente per gli africani. I giovani africani, ovunque siano, devono difendere ciò che è loro con ogni mezzo necessario. *Dr. Motsoko Pheko è autore di diversi libri e ex-deputato del Parlamento in Sudafrica.
Post n°445 pubblicato il 03 Novembre 2011 da Guerrino35
Ventiquattro anni fa veniva assassinato Thomas Sankara! 17/10/2011 Guy-Marius Sagna * Quale fiaccola antimperialista è stata spenta! Quale cuore rivoluzionario i cui battiti sono stati fermati! In Africa, i popoli, da Tunisi a Ouagadougou passando per il Burkina ed il Senegal, lottano per costringere i regimi imposti a "liberarli"! I popoli tentano di uscire da questo nuovo sonno che faceva dire al militante comunista senegalese Lamine Arfang Senghor: "I neri hanno dormito troppo a lungo. Ma, diffida, Europa! Coloro che hanno dormito per molto tempo non torneranno a dormire quando si sveglieranno. Oggi, i neri si svegliano". Questi popoli, come in Senegal, sono legittimamente alla ricerca di un progetto collettivo di uscita dal sottosviluppo. È l'esasperazione generalizzata e dicono: "ne abbiamo abbastanza!". Questi popoli che hanno visto la loro carne segnata dal fuoco semi-coloniale per 50 anni di tradimenti e di false promesse delle elité, si sono impegnati in questo 2011 in processi di rimessa in discussione e di rifiuto, che colpiscono a frusta piena i poteri corrotti. Questi popoli disperano dei loro dirigenti, delle loro elité e della loro classe politica. È per questo che occorre ricordare ai popoli che l'Africa non ha saputo soltanto coltivare Bokassa, Mobutu, Houphouët, Senghor, Habré, Bongo, Eyadema, Ahidjo, ecc. ma ne ha allevati altri fra i quali Sankara, questo figlio che gli è stato brutalmente tolto il 15 ottobre dell'anno 1987, ventiquattro anni fa. E' importante sapere che oggi i popoli soffrono per i loro martiri dopo 50 anni con Traoré, Diouf, Biya, Wade, Compaoré, Déby… questo accade perché i degni figli dell'Africa di cui Sankara è l'ultimo di un lungo elenco, sono stati assassinati dai vecchi coloni e dai loro complici africani. Um Nyobé assassinato nel 1958, Félix Moumié assassinato nel 1960, Osendé Afana assassinato quindi decapitato il 15 marzo 1966, Mehdi Ben Barka, il Marocchino, scomparso a Parigi il 29 ottobre 1965, il suo corpo non sarà mai trovato, Outel Bono, del Ciad, assassinato il 26 agosto 1973 a Parigi, Pierre Mulele assassinato il 2 ottobre 1968. Quest'ultimo è certamente quello la cui morte è stata più crudele. Da vivo, la dittatura fascista gli ha strappato le orecchie, tagliato il naso, strappato gli occhi delle orbite, tagliato gli organi genitali. Sempre vivo, gli hanno tagliato le braccia, quindi le gambe, prima di gettarne i resti umani in una borsa nel fiume Congo. Tutti questi uomini sono stati assassinati da USAfrica e Franciafrica di cui uno dei loro agenti, Bourgi, ci consegna oggi "confidenze" pubbliche dettate da stratagemmi elettorali in Francia! Questa Franciafrica non ha fatto soltanto trasferimento di fondi tra i vari membri della sua rete, ma ha anche ucciso in Africa. Cosa hanno fatto tutti quest'uomini, fra i quali Sankara, per essere assassinati prima e nei periodi successivi alle indipendenze, dallo spaventoso ed orrendo imperialismo? Sankara ha smascherato e denunciato l'imperialismo: "Incoraggiamo l'aiuto che ci aiuta a dare aiuto. Ma in generale la politica d'assistenza e d'aiuto finisce generalmente per disorganizzarci, controllarci e deresponsabilizzarci. Il debito è sapientemente una riconquista organizzata dell'Africa, (…) affinché ciascuno di noi diventi lo schiavo finanziario. È tutto un sistema che sa esattamente ciò che occorre e cosa proporre. (…) Sono investimenti felici per gli investitori. Il debito, è ancora il neo-colonialismo dove i colonizzatori si sono trasformati in assistenti tecnici; in realtà, dovremmo dire che si sono trasformati in assassini tecnici; e sono loro che ci hanno proposto fonti di finanziamento". Per porre fine a questa politica e riconquistare l'indipendenza, Sankara ha proposto di rompere con la sottomissione: "Occorre rivelare che può esserci serenità per i nostri popoli soltanto se giriamo radicalmente le spalle a tutti i modelli che hanno provato a venderci durante questi 20 anni. Non può esserci per noi sviluppo al di fuori di questa rottura". Ha enunciato e cominciato un'altro modo di fare politica, che consiste nel servire il popolo e non di servirsene, come fanno questi proconsoli africani parassiti che ostacolano le nostre possibilità di sviluppo: "Tribunali popolari della rivoluzione (TPR) sono istituiti per giudicare pubblicamente le malversazioni pubbliche: i processi sono pubblici e ritrasmessi alla radio e televisione. I colpevoli sono condannati a rimborsare il denaro rubato. Diminuisce il tenore di vita dei dirigenti: Sankara e tutti i ministri circolano in Renault 5. Le automobili di lusso del governo sono vendute per costruire scuole nei villaggi. I ministri e i funzionari in missione viaggiano in classe economica ed affittano camere in hotel poco costosi. I ministri percepiscono i loro salari al livello d'origine". Risultato: il bilancio del paese, in deficit di 1 miliardo nel 1983, diventa in attivo di 2 miliardi nel 1985. Questi 50 anni hanno mostrato, attraverso i casi di Sankara e degli altri membri del nostro pantheon, che l'imperialismo accetta molto più facilmente un attacco contro 38 dei 39 articoli di una costituzione, che contro un trentanovesimo dei suoi interessi in Africa. "L'imperialismo razionalizzato" ha cercato con tutti i mezzi di fermare "la ruota della storia" fino e ivi compreso, all'assassinio di capi politici. Impossibile da comprendere la situazione attuale dei nostri paesi e delle nostre classi politiche senza questo sguardo alla storia. Il processo normale di sviluppo endogeno è stato fermato a più riprese in Africa dalla schiavitù, dalla colonizzazione, dalla semi colonizzazione. E l'assassinio di Sankara è stato un modo per stroncare sul nascere ogni velleità di sviluppo. Ironia della sorte, sono le menzogne dei media al soldo degli assassini che ci impongono griglie di letture razziste su una presunta incapacità congenita dei neri di svilupparsi e sulla democrazia che non potrebbe essere applicata in Africa! Culmine della tragedia, ci sono degli africani che si dicono élite e che se ne fanno eco! Ecco perché è importante che giovani, donne, classi popolari e lavoratori panafricani e rivoluzionari conoscano il nome di Sankara e la sua opera. Oltre all'ammirazione straordinaria che l'evocazione del suo nome produce in particolare nella gioventù, c'è qui una sfida fondamentale: Sapere per comprendere; Comprendere per agire; Agire per cambiare; Cambiare per uscire dal sottosviluppo. Quest'attaccamento della gioventù e dei popoli nei confronti di Sankara cozza con l'atteggiamento dei nostri capi e dell'attuale classe politica. Quali sono i partiti politici che alimentano i loro membri con la storia di Sankara? Quali sono le organizzazioni politiche che commemorano Sankara nel loro programma di formazione? Chi insegna la visione e l'azione di Sankara? Chi ha la fotografia di Sankara nel proprio ufficio? Non è significativo che la parte principale della nostra classe politica non abbia Sankara per riferimento? È qual'è l'opposto di Sankara? È un politico che vivrà del denaro del contribuente, che si arricchirà alle spalle del contribuente, che trova normale dirigere nel lusso, lusso che non avrebbe avuto in tempo normale, che lo renderà complice delle grandi potenze capitaliste contro il popolo. Il nuovo tipo di dirigente di cui i nostri popoli sono assetati sarà somigliante a Sankara o non sarà. Tuttavia di fronte al pessimismo, al fatalismo ed alla sottovalutazione di sé imposti dalla sovranità dell'ideologia coloniale e neocoloniale che spinge a pensare che Sankara sia unico ed impossibile da sostituire, diciamo che Sankara è il risultato necessario dell'imperialismo che genera inevitabilmente la resistenza dei popoli, che produce inevitabilmente Sankara. Sankara è un anticorpo prodotto dal nostro continente malato del cancro che è l'imperialismo: "Ogni uomo, grande o piccolo, (…) è il riassunto ed il prodotto di tutto il popolo nel seno del quale viene alla vita", diceva Salvador Madariaga. Così si sono scritti i primi 50 anni della nostra indipendenza. Il primo anno del secondo cinquantennio ha grande speranza di essere riscritto, con la gioventù ed i popoli della nostra storia. In questa ventiquattresima commemorazione dell'assassinio di Sankara, "rivisitare questi eventi storici alla luce delle evoluzioni regressive che si abbattono sul continente africano, sui popoli neri ed in modo generale sui popoli oppressi, è oggi una necessità imperiosa, non di fare soltanto opera 'storica', ma di riarmare la giovane generazione degli Africani che si interrogano sulla sorte catastrofica dei popoli africani e soprattutto sulle prospettive ed alternative, perché l'Africa si ricolleghi al progresso sociale e l'indipendenza nazionale. È ad una riflessione su questo passato di lotta e sul futuro, che siete invitati". (Fode Roland Diagne, citato da Ferñent). * membro di Ferñent / Movimento Panafricano dei Lavoratori -Sénégal
Post n°444 pubblicato il 20 Ottobre 2011 da Guerrino35
da Il Manifesto Dalla Libia parte il grande gioco africano Manlio Dinucci 18/10/2011 Dopo che il «Protettore Unificato» ha demolito lo stato libico, con almeno 40mila bombe sganciate in oltre 10mila missioni di attacco, e fornito armi anche a gruppi islamici fino a ieri classificati come pericolosi terroristi, a Washington si dicono preoccupati che le armi dei depositi governativi finiscano «in mani sbagliate». Il Dipartimento di stato è quindi corso ai ripari, inviando in Libia squadre di contractor militari che, finanziati finora con 30 milioni di dollari, dovrebbero mettere «in stato di sicurezza» l’arsenale libico. Ma, dietro la missione ufficiale, vi è certo quella di assumere tacitamente il controllo delle basi militari libiche. Nonostante il declamato impegno di non inviare «boots on the ground», operano da tempo sul terreno in Libia agenti segreti e forze speciali di Stati uniti, Gran Bretagna, Francia, Italia, Qatar e altri, che hanno guidato gli attacchi aerei e diretto le operazioni terrestri. Loro compito, ora, è assicurare che la Libia «pacificata» resti sotto il controllo delle potenze che sono andate a «liberarla». Il 14 ottobre, lo stesso giorno in cui il Dipartimento di stato rendeva noto l’invio di contractor in Libia, il presidente Obama annunciava l’invio di forze speciali in Africa centrale, all’inizio un centinaio di militari. Loro compito ufficiale è quello di «consiglieri» delle forze armate locali, impegnate contro l’«Esercito di resistenza del Signore». Operazione finanziata dal Dipartimento di stato, finora, con 40 milioni di dollari. Il compito reale di questi corpi d’élite, inviati da Washigton, è creare una rete di controllo militare dell’area comprendente Uganda, Sud Sudan, Burundi, Repubblica centrafricana e Repubblica democratica del Congo. E mentre gli Stati uniti inviano proprie forze in Uganda e Burundi, ufficialmente per proteggerli dalle atrocità dell’«Esercito del Signore» che si dice ispirato al misticismo cristiano, Uganda e Burundi combattono in Somalia per conto degli Stati uniti, con migliaia di soldati, il gruppo islamico al-Shabab. Sostenuti dal Pentagono che, lo scorso giugno, ha fornito loro armi per 45 milioni di dollari, compresi piccoli droni e visori notturni. Il 16 ottobre, due giorni dopo l’annuncio dell’operazione Usa in Africa centrale, il Kenya ha inviato truppe in Somalia. Iniziativa ufficialmente motivata con la necessità di proteggersi dai banditi e pirati somali, in realtà promossa dagli Stati uniti per propri fini strategici, dopo il fallimento dell’intervento militare etiopico, anch’esso promosso dagli Stati uniti. E in Somalia, dove il «governo» sostenuto da Washington controlla appena un quartiere di Mogadiscio, opera da tempo la Cia, con commandos locali appositamente addestrati e armati e con contractor di compagnie miltari private. Gli Stati uniti mirano, dunque, al controllo militare delle aree strategiche del continente: la Libia, all’intersezione tra Mediterraneo, Africa e Medioriente; l’Africa orientale e centrale, a cavallo tra Oceano Indiano e Atlantico. Il gioco, apparentemente complicato, diventa chiaro guardando una carta geografica. Meglio su un atlante storico, per vedere come il neocolonialismo somigli in modo impressionante al vecchio colonialismo.
Post n°443 pubblicato il 29 Settembre 2011 da Guerrino35
Il governo della Bolivia è nel caos per la costruzione di una mega-autostrada che taglierebbe in due l’Amazzonia, distruggendo così la foresta. A seguito della repressione brutale contro i manifestanti indigeni, il Presidente è dovuto tornare sui suoi passi per riconsiderare la sua decisione. Mettiamoci dalla parte delle coraggiose comunità indigene per fermare la violenza e proteggere l’Amazzonia - firma ora e inoltra la petizione a tutti: Domenica la polizia boliviana ha usato gas lacrimogeni e manganelli contro le popolazioni indigene, inclusi donne e bambini, che manifestavano contro la costruzione di una mega-autostrada illegale che taglierà in due la foresta amazzonica.
72 ore dopo il paese è caduto in crisi: il Ministro della difesa ha rassegnato le dimissioni per disgusto, i boliviani hanno occupato le strade del paese e il Presidente Evo Morales è stato costretto a sospendere momentaneamente la costruzione dell’autostrada. Alcune multinazionali molto potenti, però, hanno già cominciato a disboscare questa preziosa riserva naturale. Solo se il mondo si metterà dalla parte di questi coraggiosi leader indigeni potremo far sì che l’autostrada segua un altro percorso e garantire così la protezione della foresta.
Avaaz ha appena consegnato una petizione d’emergenza firmata da 115.000 membri della Bolivia e dell’America Latina a due ministri importanti: ora sono estremamente preoccupati e sotto pressione. Dopo questi episodi di brutale violenza dobbiamo agire con maggiore urgenza e lanciare un allarme per fermare la repressione e la costruzione dell’autostrada. Clicca per firmare la petizione - sarà consegnata in maniera spettacolare al Presidente Evo Morales non appena raggiungeremo le 500.000 firme:
http://www.avaaz.org/it/bolivia_stop_the_crackdown/?vl
Migliaia di indigeni hanno manifestato per sei settimane, dall’Amazzonia alla capitale. Alla fine, durante un incontro con Avaaz la settimana scorsa, il Ministro degli Affari esteri della Bolivia si è impegnato ad aprire un dialogo con i leader. Sabato è andato a parlare con i manifestanti, ma quando ha rifiutato di rispondere persino alle domande più basilari, lo hanno costretto a marciare con loro per un’ora per oltrepassare il blocco della polizia. Il giorno seguente gruppi di forze armate hanno fatto irruzione nell’area dove i manifestanti avevano messo su le tende, picchiando i presenti e chiudendo in galera centinaia di loro, dopo essere stati portati via a forza.
L’autostrada lunga 300 km taglierebbe in due il territorio TIPNIS (Territorio Indigeno e Parco Nazionale Isiboro Sécure), il gioiello della foresta amazzonica boliviana, famoso per i suoi enormi alberi, fauna selvatica e acqua purissima. La natura incontaminata e il significato culturale del TIPNIS gli hanno valso lo status di area doppiamente protetta, sia come parco nazionale che come riserva degli indigeni. L’autostrada è finanziata dal Brasile e collegherebbe il Brasile con i porti del Pacifico. Ma sarebbe un’arteria velenosa che distruggerebbe queste comunità e la foresta e aprirebbe questa terra incontaminata al disboscamento, alle esplorazioni di petrolio e di minerali, e alle attività industriali e agricole in larga scala. Uno studio recente dimostra che se l'autostrada fosse portata a compimento, il 64% del parco sarebbe disboscato entro il 2030.
La legge internazionale e quella boliviana dicono che i leader indigeni devono essere consultati se il governo vuole appropriarsi della loro terra, e le comunità indigene pretendono alternative sicure dove sviluppare la crescita economica e l’integrazione regionale. Ma il governo ha ignorato la loro opposizione e ha fallito nel prevedere una strada alternativa che non passasse per il TIPNIS. Morales ora invoca un referendum per la regione che ignora la legge e che è visto da molti come un tentativo di costruire illegittimamente il consenso.
Morales, primo Presidente indigeno della Bolivia, è conosciuto in tutto il mondo per le sue battaglie in difesa dell’ambiente e delle popolazioni indigene. Incoraggiamolo a rimanere saldo ai suoi principi, ora che questo conflitto latente ha raggiunto il suo picco violento, e mettiamoci dalla parte di quelli che sono in prima linea per difendere l’Amazzonia e per rispettare le comunità indigene. Firma questa petizione urgente per fermare la repressione e la costruzione dell’autostrada fuorilegge:
http://www.avaaz.org/it/bolivia_stop_the_crackdown/?vl
Ancora una volta la protezione della terra da cui tutti dipendiamo e i diritti delle popolazioni indigene sono sacrificati dai nostri governi sull’altare dello sviluppo e della crescita economica. I nostri leader scelgono le attività minerarie e la deforestazione anziché la nostra sopravvivenza, favorendo i profitti delle multinazionali. Nel futuro che tutti noi vogliamo l’ambiente e le vite di persone innocenti vengono prima del profitto. Il Presidente Evo Morales ora ha l’opportunità di mettersi dalla parte della sua gente, salvare l’Amazzonia e ripensare a cosa lo sviluppo significhi per l’America Latina in termini concreti.
Con speranza,
Luis, Laura, Alice, Ricken, David, Diego, Shibayan, Alex e il resto del team di Avaaz
Post n°442 pubblicato il 29 Settembre 2011 da Guerrino35
Per la prima volta viene tolto il segreto su quanto costa ai contribuenti l'assistenza sanitaria integrativa dei deputati. Si tratta di costi per cure che non vengono erogate dal sistema sanitario nazionale (le cui prestazioni sono gratis o al più pari al ticket), ma da una assistenza privata finanziata da Montecitorio. A rendere pubblici questi dati sono stati i radicali che da tempo svolgono una campagna di trasparenza denominata Parlamento WikiLeaks. Va detto ancora che la Camera assicura un rimborso sanitario privato non solo ai 630 onorevoli. Ma anche a 1109 loro familiari compresi (per volontà dell'ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini) i conviventi more uxorio. Ebbene, nel 2010, deputati e parenti vari hanno speso complessivamente 10 milioni e 117mila euro. Tre milioni e 92mila euro per spese odontoiatriche. Oltre tre milioni per ricoveri e interventi (eseguiti dunque non in ospedali o strutture convenzionati dove non si paga, ma in cliniche private). Quasi un milione di euro (976mila euro, per la precisione), per fisioterapia. Per visite varie, 698mila euro. Quattrocentottantotto mila euro per occhiali e 257mila per far fronte, con la psicoterapia, ai problemi psicologici e psichiatrici di deputati e dei loro familari. Per curare i problemi delle vene varicose (voce "sclerosante"), 28mila e 138 euro. Visite omeopatiche 3mila e 636 euro. I deputati si sono anche fatti curare in strutture del servizio sanitario nazionale, e dunque hanno chiesto il rimborso all'assistenza integrativa del Parlamento per 153mila euro di ticket. Ma non tutti i numeri sull'assistenza sanitaria privata dei deputati, tuttavia, sono stati desegretati. "Abbiamo chiesto - dice la Bernardini - quanti e quali importi sono stati spesi nell'ultimo triennio per alcune prestazioni previste dal 'fondo di solidarietà sanitarià come ad esempio balneoterapia, shiatsuterapia, massaggio sportivo ed elettroscultura (ginnastica passiva). Volevamo sapere anche l'importo degli interventi per chirurgia plastica, ma questi conti i Questori della Camera non ce li hanno voluti dare". Perché queste informazioni restano riservate, non accessibili? Cosa c'è da nascondere? Ecco il motivo di quel segreto secondo i Questori della Camera: "Il sistema informatizzato di gestione contabile dei dati adottato dalla Camera non consente di estrarre le informazioni richieste. Tenuto conto del principio generale dell'accesso agli atti in base al quale la domanda non può comportare la necessità di un'attività di elaborazione dei dati da parte del soggetto destinatario della richiesta, non è possibile fornire le informazioni secondo le modalità richieste". Il partito di Pannella, a questo proposito, è contrario. "Non ritengo - spiega la deputata Rita Bernardini - che la Camera debba provvedere a dare una assicurazione integrativa. Ogni deputato potrebbe benissimo farsela per conto proprio avendo gia l'assistenza che hanno tutti i cittadini italiani. Se gli onorevoli vogliono qualcosa di più dei cittadini italiani, cioè un privilegio, possono pagarselo, visto che già dispongono di un rimborso di 25 mila euro mensili, a farsi un'assicurazione privata. Non si capisce perché questa 'mutua integrativà la debba pagare la Camera facendola gestire direttamente dai Questori". "Secondo noi - aggiunge - basterebbe semplicemente non prevederla e quindi far risparmiare alla collettività dieci milioni di euro all'anno".Mentre a noi tagliano sull'assistenza sanitaria e sociale è deprimente scoprire che alla casta rimborsano anche massaggi e chirurgie plastiche private - è il commento del presidente dell'ADICO, Carlo Garofolini - e sempre nel massimo silenzio di tutti. ...E NON FINISCE QUI... Sull'Espresso di qualche settimana fa c'era un articoletto che spiega che recentemente il Parlamento ha votato all'UNANIMITA'e senza astenuti un aumento di stipendio per i parlamentari pari a circa € 1.135,00 al mese.Inoltre la mozione e stata camuffata in modo tale da non risultarenei verbali ufficiali. STIPENDIO Euro 19.150,00 AL MESE STIPENDIO BASE circa Euro 9.980,00 al mese PORTABORSE circa Euro 4.030,00 al mese (generalmente parente o familiare) RIMBORSO SPESE AFFITTO circa Euro 2.900,00 al mese INDENNITA' DI CARICA (da Euro 335,00 circa a Euro 6.455,00) TUTTI ESENTASSE + TELEFONO CELLULARE gratis TESSERA DEL CINEMA gratis TESSERA TEATRO gratis TESSERA AUTOBUS - METROPOLITANA gratis FRANCOBOLLI gratis VIAGGI AEREO NAZIONALI gratis CIRCOLAZIONE AUTOSTRADE gratis PISCINE E PALESTRE gratis FS gratis AEREO DI STATO gratis AMBASCIATE gratis CLINICHE gratis ASSICURAZIONE INFORTUNI gratis ASSICURAZIONE MORTE gratis AUTO BLU CON AUTISTA gratis RISTORANTE gratis (nel 1999 hanno mangiato e bevuto gratis per Euro 1.472.000,00). Intascano uno stipendio e hanno diritto alla pensione dopo 35 mesi in parlamento mentre obbligano i cittadini a 35 anni di contributi (41 anni per il pubbico impiego) Circa Euro 103.000,00 li incassano con il rimborso spese elettorali (in violazione alla legge sul finanziamento ai partiti), più i privilegi per quelli che sono stati Presidenti della Repubblica, del Senato o della Camera. (Es: la sig.ra Pivetti ha a disposizione e gratis un ufficio, una segretaria, l'auto blu ed una scorta sempre al suo servizio) La classe politica ha causato al paese un danno di 1 MILIARDO e 255 MILIONI di EURO. La sola camera dei deputati costa al cittadino Euro 2.215,00 al MINUTO !! FANNO SCHIFO !!!!!!!!!!!!!! Far circolare. Si sta promuovendo un referendum per l' abolizione dei privilegi di tutti i parlamentari............ queste informazioni possonoessere lette solo attraverso Internet in quanto quasi tutti i massmedia rifiutano di portarle a conoscenza degli italiani......
Post n°441 pubblicato il 29 Settembre 2011 da Guerrino35
Fiaccolata della legalità: ospite “d’onore” Pino Masciari La fiaccolata della legalità organizzata dal gruppo “No a tutte le mafie”, costituitosi spontaneamente dopo i rivolgimenti leinicesi delle indagini condotte nell’ambito dell’operazione Minotauro (l’arresto di Nevio Coral, l’8 giugno, e le dirette conseguenze di quest’avvenimento, ossia le dimissioni in blocco dallo schieramento d’opposizione, i lavori, tuttora in atto, della commissione d’inchiesta) vuole essere un richiamo forte alla coscienza civica e alla partecipazione attiva dei cittadini, per pronunciare, all’unisono, un no deciso alla criminalità, nelle sue molteplici manifestazioni. Al corteo per le vie cittadine, di per sé pregno di significato, si aggiunge la testimonianza di chi, come Pino Masciari, ha fatto della legalità una ragione esistenziale. PINO MASCIARI, classe 1959, è un imprenditore edile originario di Catanzaro, dal 1997 è sottoposto a programma speciale di protezione insieme alla sua famiglia. Ha avuto il coraggio di denunciare le collusioni ‘ndranghetiste con il mondo politico, e da allora la sua vita è stata radicalmente rivoluzionata, sia sul fronte professionale, sia su quello familiare. Vide distrutte le sue imprese edili, bloccate le commesse avviate, revocato il credito dalle banche. Rifiutò le regole del racket, accettando il rischio che ne derivava: il 18 ottobre 1997 lasciò la Calabria con la moglie e i due figli. Decise di testimoniare ai principali processi contro la ‘ndrangheta e il sistema di collusione, diventando così, secondo la definizione del procuratore generale Pier Luigi Vigna, “il principale testimone di giustizia italiano”.
La legge 45/2001 istituisce questo tipo di figura, definendolo “ cittadino esemplare che sente il senso civico di testimoniare quale servizio allo Stato e alla Società” . Il 28 Luglio 2004, la Commissione Centrale del Ministero degli Interni gli notificò il divieto, in forma precauzionale, di tornare nei luoghi natii, perché sussisteva un concreto rischio per l’incolumità sua e dei suoi congiunti. Il 28 Ottobre dello stesso anno gli venne revocato il programma di protezione speciale, con la giustificazione della conclusione dei procedimenti giudiziari nei quali aveva testimoniato. Masciari fece ricorso e solo nel Gennaio 2009 il TAR del Lazio pronunciò la sentenza al riguardo e stabilì l’inalienabilità del diritto alla sicurezza, l’impossibilità di sistemi di protezione o programmi a scadenza temporale predeterminata, ordinando al Ministero di attuare le delibere su sicurezza, reinserimento sociale, nonché lavorativo ed infine il risarcimento dei danni. Per mesi la situazione rimase stagnante: ad aprile Masciari, per protesta, iniziò lo sciopero della fame e della sete, intanto la ‘ndrangheta si fece sentire con segnali intimidatori (a luglio un ordigno inesploso rinvenuto nei pressi dell’ex ditta del testimone di giustizia, presso Vibo Valentia, un mese più tardi si registra la violazione dell’abitazione). Nel 2010 Masciari ha concordato con il Ministero dell’Interno la fine del programma speciale di protezione: da allora vive alla luce del sole, seppur sotto scorta.
ORGANIZZARE IL CORAGGIO è il libro-testimonianza, edito dalla torinese Add, in cui Pino Masciari e sua moglie Marisa raccontano la loro crociata contro la ‘ndrangheta. Al di là della retorica hanno fatto proprio l’assunto: “Bisogna organizzare il coraggio, come loro organizzano la malavita.” Solo attraverso la denuncia puntuale, con nomi e cognomi, in primis, e grazie alla testimonianza e agli interventi pubblici poi, si può contribuire alla promozione di una cultura della legalità capace di scardinare odiosi giochi di potere e di squarciare la coltre d’indifferenza che spesso ammanta le connivenze più odiose, quelle tra criminalità e politica appunto. Tags: 'ndrangheta fiaccolata della legalità no a tutte le mafie organizzare il coraggio Pino Masciari testimone di giustizia
Post n°440 pubblicato il 26 Settembre 2011 da Guerrino35
COME CITTADINO HO DIRITTO ALL’ISTRUZIONE, AL LAVORO, ALLA PENSIONE ED ALLA SANITA'... ...POSSO FARE A MENO DI 131 CACCIABOMBARDIERI F-35 JSF!
Mentre con le due manovre economiche estive, per pareggiare i conti dello Stato, si chiedono forti sacrifici agli italiani con tagli agli enti locali, alla sanità, alle pensioni, all’istruzione, il Governo mantiene l'intenzione di procedere all’acquisto di 131 cacciabombardieri d'attacco F35 "Joint Strike Fighter" al costo di circa 20 miliardi di euro (15 per il solo acquisto e altri 5 in parte già spesi per lo sviluppo e le strutture di assemblaggio).
Le manovre approvate porteranno gravi conseguenze sui cittadini: si stimano proprio in 20 miliardi i tagli agli Enti Locali e alle Regioni (che si tradurranno in minori servizi sociali o in aumento delle tariffe), ed altri 20 miliardi saranno i tagli alle prestazioni sociali previsti dalla legge del! ega in materia fiscale ed assistenziale, senza contare il blocco dei contratti e degli aumenti ai dipendenti pubblici e l'aumento dell'IVA che colpirà indiscriminatemante tutti i consumatori.
Il tutto per partecipare ad un progetto di aereo militare "faraonico" (il più costosto della storia) di cui non si conoscono ancora i costi complessivi (cresciuti al momento almeno del 50% rispetto alle previsioni iniziali) e che ha già registrato forti critiche in altri paesi partner (Norvegia, Paesi Bassi) e addirittura ipotesi di cancellazione di acquisti da parte della Gran Bretagna. Senza dimenticare che, contemporaneamente, il nostro paese partecipa anche allo sviluppo e ai costosi acquisti dell'aereo europeo EuroFighter Typhoon.
Con i 15 miliardi che si potrebbero risparmiare cancellando l'acquisizione degli F-35 JSF si potrebbero fare molte cose: ad esem! pio costruire duemila nuovi asili nido pubblici, mettere in sicurezza le oltre diecimila scuole pubbliche che non rispettano la legge 626 e le normative antincendio, garantire un'indennità di disoccupazione di 700 euro per sei mesi ai lavoratori parasubordinati che perdono il posto di lavoro.
Siamo convinti che in un momento di crisi economica per prima cosa siano da salvaguardare i diritti fondamentali dei cittadini, investendo i fondi pubblici per creare presupposti ad una crescita reale del Paese senza gettare i soldi in un inutile e costoso aereo da guerra. PER QUESTO CHIEDIAMO AL GOVERNO DI NON PROCEDERE ALL’ACQUISTO DEI 131 CACCIABOMBARDIERI F35 E DESTINARE I FONDI RISPARMIATI ALLA GARANZIA DEI DIRITTI DEI PIU’ DEBOLI ED ALLO SVILUPPO DEL PAESE investendo sulla società, l'ambiente, il lavoro e la solidarietà internazionale.
Post n°439 pubblicato il 16 Settembre 2011 da Guerrino35
Presentazione Libro "Quando la fede e la lotta sono di classe" Ora | sabato 17 settembre · 17.30 - 20.30 |
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| Luogo | Roure, Bar Iclo |
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| Creato da | |
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| Maggiori informazioni | Guerrino Babbini Prete, prete operaio, solo operaio, imprenditore, volontario. Così si definisce un uomo che a 72 anni ha scritto due libri, che noi ci auguriamo siano solo l'inizio. Romagnolo, cresciuto in Val d'Ossola, torinese di adozione residente a Leinì, conquistato dall'Africa, uno con la bandiera rossa nel cuore, non dice bugie, mai: è la sua divisa morale. Un uomo che potrà raccontarci qualcosa di lui e della nostra valle, una valle che sta soffrendo perchè i primi a soffrire sono proprio loro, gli operai. Coloro che sono la base, le fondamenta di una società che sta crollando, fragorosamente su se stessa. A seguire rinfresco offerto dal Bar Iclo e da Io mangio gofri. http://blog.libero.it/Guerrino |
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Post n°438 pubblicato il 29 Gennaio 2011 da Guerrino35
CORSO PER MIGRANTI DI COMPRENSIONE DELLA LINGUA ITALIANA La recente legislazione, che obbliga gli immigrati a superare test di conoscenza della lingua italiana per ottenere permessi di soggiorno, interpella la nostra disponibilità a favorire, con aiuti didattici, l’integrazione nel nostro paese di queste persone, che accettando qualunque lavoro cercano una opportunità di vita libera, onesta e legale Molti immigrati non avranno difficoltà a superare questi test perché hanno una scolarità analoga alla nostra e una intelligenza vivace. Altri arrivano da situazioni dove la povertà o la guerra non lasciano spazi alla scuola. La onlus Parole&Musica e l’Associazione di volontariato Abalalite organizzano incontri gratuiti a Borgaro via Diaz 5, aperti a tutti i migranti che vogliono essere aiutati alla comprensione della lingua italiana. Gli aiuti didattici saranno offerti da un gruppo di insegnanti coordinati dalle prof.sse Nunzia Di Gioia, docente di scuola secondaria, Anita Beltramo, docente di scuola primaria, Margherita Dotta Rosso, docente di scuola secondaria, da Michelangelo Bertuglia e Babbini Guerrino. I metodi didattici saranno definiti in base alle esigenze dei partecipanti avendo cura di seguire tutti nel modo migliore possibile. Si accettano volontari capaci di insegnare, disponibili a dedicare una sera alla settimana a questo progetto. Gli orari saranno serali o preserali se ci saranno richieste. Per adesioni ci si può recare, ogni lunedì alle 20,30 dal 7 febbraio, alla sede di Parole&musica in via Diaz 5 a Borgaro. Gli incontri didattici avranno luogo tutti i LUNEDI' ore 20,30 A Borgaro Via Diaz 5 a partire da LUNEDI' 7 FEBBRAIO 2011
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Inviato da: minarossi82
il 11/11/2016 alle 19:59
Inviato da: dimariamonicaa
il 08/04/2016 alle 20:46
Inviato da: Guerrino35
il 31/03/2016 alle 21:21
Inviato da: Guerrino35
il 03/04/2015 alle 08:31
Inviato da: Guerrino35
il 19/09/2014 alle 09:58