HUNKAPI

ALASKA


fonte: http://saraciampo.weebly.com/index.html Quando giunsi in Alaska ancora non mi era chiaro come sarebbe proceduta la mia ricerca. Inizialmente, priva di conoscenze empiriche e di coordinate spazio-temporali, ero in cerca di informazioni apparentemente confuse. Conoscevo già il problema riguardante lo sviluppo industriale per l’estrazione del petrolio che stava affliggendo alcuni gruppi autoctoni che si opponevano per la difesa dei loro territori.Anche la mia interpretazione a riguardo non era ben chiara perché, se da una parte, lo sviluppo industriale e tecnologico aveva condizionato lo stile di vita e le culture delle popolazioni indigene, dall’altra però ne aveva sicuramente facilitato la vita allontanandole da quello stato di isolamento nel quale avevano sempre vissuto e agevolandole in molte delle loro attività. Ciò che ancor più condizionava il mio pensiero a riguardo era la mia estraneità al territorio, ma soprattutto allo stile di vita condotto dagli gwich’in nel quale era costantemente presente un forte legame con l’ambiente naturale ed un adattamento ai cicli stagionali. L’atteggiamento ecologista degli gwich’in e di molti altri abitanti alaskani, era la questione che meno mi convinceva soprattutto perché tendevano a negare qualsiasi tipo di compromesso con un tipo di progresso che stava anche portando nuove ricchezze al paese.Nonostante mi condizionasse la mia appartenenza culturale di donna occidentale che, con presunta autorità, si appropriava dei conflitti economico-sociali delle altre culture, l’esperienza diretta sul campo mi ha permesso di analizzare la questione da vicino allontanando da me quell’apparente disagio di appartenere proprio al mondo contro il quale gli gwich’in stavano esprimendo il loro dissenso.Il movimento del mio corpo all’interno dello spazio geografico-culturale così profondamente diverso ha creato in me un disagio che, anche se inizialmente mi ha profondamente destabilizzata e disorientata, è stato successivamente la forma di conoscenza più adeguata. Il dialogo incessante con loro sulle nostre esperienze personali e culturali hanno reso possibile un reale, quanto faticoso scambio delle nostre conoscenze che hanno in parte guidato il senso della mia analisi e delle mie “scoperte”. L’attenzione verso le piccole azioni quotidiane e le espressioni dei nostri stati emozionali, il sentimento di solitudine che a volte mi investiva e la vulnerabilità dei rapporti interpersonali sul campo hanno creato una costante tensione nella percezione della realtà stessa quale soggetto di studio.Con l’evolversi della mia ricerca, sono cresciuta mentalmente, psicologicamente ed emotivamente attraverso il susseguirsi degli istanti vissuti ad Arctic Village. Ho quindi tentato di comprendere la complessità e la profondità delle esperienze degli gwich’in, delle loro azioni, delle loro interpretazioni della realtà.La rielaborazione del materiale raccolto, avvenuta in una seconda fase, è stata altrettanto complessa, se pur supportata da alcune delle conoscenze e delle interpretazioni avvenute sul campo attraverso un nostro reale incontro. La fase della trascrizione ha finalmente concretizzato parte delle informazioni raccolte dando espressione sia alla mia interpretazione dei fatti che all’esperienza empirica quale fonte di conoscenza.È emerso con chiarezza l’aspetto fondamentale che guida questo popolo come altri in Alaska ad opporsi ad un sistema che rischia, come ha già fatto in passato, di minare la loro integrità culturale. Un’integrità che non viene intesa come unità e stabilità ma che al contrario si manifesta come trasformazione, modellamento, invenzione e riadattamento del sistema sociale e culturale ai nuovi processi che investono i gruppi autoctoni.Gli gwich’in, protagonisti di questo momento storico, rivendicano la difesa dei loro territori come luoghi che rappresentano il loro stile di vita, la loro identità, i loro significati e quindi la loro differenza, non negando le contraddizioni stesse che una tale posizione implica.In realtà lo sviluppo industriale e lo sfruttamento di questi territori hanno rappresentato, sin dall’inizio, quel processo di contaminazione culturale che ad esso si è accompagnato, stabilendo un mutamento sociale che ha creato anche tensioni di difficili risoluzioni. La loro opposizione al progetto di sviluppo per l’estrazione del petrolio nell’area di confine con il Canada cela in realtà la volontà di voler riscattare la propria peculiarità culturale e la propria realtà locale contro un processo che può tendere a negare alle dimensioni “periferiche” di emergere.La differente percezione del tempo che contraddistingue la popolazione di cui sopra si scontra con la diversa ritmicità dei modelli produttivi occidentali che seguono un proprio ordine. La dilatazione temporale delle azioni che spesso si tende ad attribuire pregiudizialmente a questi popoli, porta a negare il valore culturale di tale dimensione. L’attenzione alle tensioni che scaturiscono dalle aritmicità inter ed intraculturali dei processi di sviluppo, potrebbe rappresentare una delle tante chiavi di lettura nel dibattito tra lo sfruttamento delle risorse ambientali in Alaska, il rispettivo sviluppo tecnologico e la resistenza delle popolazioni indigene.La lotta politico-culturale portata avanti dagli gwich’in si inscrive in questo particolare momento storico in cui i movimenti ambientalisti per la protezione dell’intero pianeta sono sempre più forti e diffusi. Molte delle forze sociali a livello mondiale si stanno unendo per trovare una soluzione comune al problema della salvaguardia dell’ambiente, per ripristinare un equilibrio messo in crisi dall’inquinamento atmosferico e dall’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali. La rivendicazione del proprio territorio che contraddistingue molte minoranze etniche si investe dunque anche di valori morali di protezione del pianeta contro l’eccessivo sfruttamento delle sue risorse naturali avvalendosi di un coro di voci che, a livello mondiale, si sta unendo per lo stesso scopo. Al valore ecologista del movimento si accompagna anche il senso culturale dello stesso con un ritorno ciclico dell’attenzione e dell’ammirazione per tutto ciò che è pregiudizialmente inteso come “nativo”, e quindi, presumibilmente alternativo al sistema occidentale nel quale ora si tende a prendere come modelli di riferimento popoli che esprimono ancora forti legami con la natura rivendicando in essa la propria sopravvivenza culturale.