Il danno

Post N° 46


E col corpo continuai a vivere e a convivere, in quella casa sul lago trovai la pace ad un tormento e ritrovai la gioia e la voglia di andare avanti. Certe notti sentivo un pianto lontano, il pianto di un bambino... e non smetteva fino a quando non scendevo dal letto e andavo in terrazzo a guardare il cielo, sceglievo una stella e ad essa, rivolgevo la mia preghiera e le mie lacrime. Passarono dieci anni, avevo un buon lavoro, come grafica in un piccolo studio e pochi ma buoni amici vicino. Tornavo in città, dai miei genitori un paio di volte al mese, Milano non era lontana geograficamente ma ormai anni luce, dal mio cuore e arrivarci mi pesava come un macigno sul l'anima. I miei non si erano mai rassegnati al mio distacco, all'allontanamento fisico e affettivo... mia madre piangeva ogni volta che ripartivo, mio padre e le sue mille raccomandazioni mi lasciavano indifferente. La mia vita era in quella casa sul lago, il mio riferimento affettivo quella dolcissima nonna... mi bastava e non volevo altro.Una mattina andai al lavoro più presto del solito, passai a vedere se Tea avesse bisogno di qualcosa, era molto vecchia ma sempre lucida e speciale. Mi meravigliava il fatto che le sue due figlie non venissero a trovarla se non durante le feste comandate, che le telefonassero solo due o tre volte l'anno. C'era una ragazza che l'aiutava nelle faccende domestiche e con la spesa, ma per il resto nessun aiuto...aveva tante amiche che la venivano trovare, tutte molto più giovani di lei...e me.Lei non si lamentava le giustificava, spiegandomi quanto lavoro avessero..."non si sono neanche sposate per star dietro al lavoro, mah quanto amore si perdono...però hanno fatto le loro scelte ed io le rispetto, sono due medici affermati, una è un chirurgo e lavora a Zurigo e l'altra un avvocato impegnatissima al Tribunale di Milano". A me erano sembrate solo due donne grigie e sò che lo pensava anche Tea...Quando tornai trovai la casa vuota, una vicina mi disse che l'avevano portata via con l'ambulanza, non andai neanche su da me, uscii di corsa e raggiunsi l'ospedale. La trovai distesa su un lettino in una stanzetta a due letti, aveva una flebo al braccio e una gamba ingessata. Mi avvicinai e le presi la mano... chiesi cosa le fosse successo ma i medici erano di fretta e non mi risposero. Lei aprì gli occhi e mi sorrise... " volevo portarti delle rose e mettertele sul comodino...lo sai che oggi sono dieci anni che vivi con me?". " Non avrai mica fatto le scale Tea!?" le chiesi... "Si bambina....e sono caduta come una vecchia rimbambita....". Non ci potevo credere, si era rotta il femore per portarmi delle rose....mi sentii in colpa. Lei mi strinse la mano forte e mi disse...." da quando ci sei tu, la mia vita ha trovato un senso, mi fai sentire bene e importante...sei una brava signorina e io ti voglio bene come se fossi mia figlia, anzi, la nipote che non ho avuto". " Ti voglio bene anche io nonna". Sorrise e porse le labbra come per darmi un bacio, mi avvicinai e lo presi ricambiando con tenerezza. La rassicurai sul suo stato, dopo aver parlato con un ortopedico, ci voleva tempo ma si sarebbe ristabilita. Tornai a casa e durante la strada provai ad immaginarla salire quelle scale con in mano i fiori, sorrisi tra me e le mandai un bacio nell'aria. Posteggiai la macchina attraversai il giardino e salendo le scale trovai i petali seminati su tutti i gradini...li raccolsi e li misi in una scatola.Li custodisco ancora, secchi e un po’ sbiaditi...ma profumano  di un amore speciale.