Il danno

Post N° 59


L’indomani, sbrigate tutte le formalità ci ritrovammo in macchina, diretti alla casa di Tea, prima di mettere in moto Pietro mi chiese se avessi preso il portachiavi dal suo comodino. Lo tirai fuori dalla borsa e glielo porsi, lui ci agganciò le tre chiavi e me lo rimise tra le mani.Arrivati di fronte al cancello scesi e lo aprii per farlo entrare con la macchina. Esitai qualche minuto,lasciando che il leggero vento del mattino mi attraversasse l’anima, che mi portasse lontano, i ricordi si affollarono…guardai il piccolo portoncino bianco con la sensazione che da un momento all’altro si affacciasse Tea. Il glicine era bellissimo e ancora più imponente di come lo ricordavo, malgrado il giardino non fosse curato da molto tempo, le rose erano in perfette condizioni, avevano solo formato giganteschi cespugli… la magnolia aveva fiori profumatissimi che sembravano darmi il benvenuto.Chiusi il cancello dopo che la macchina fu entrata, i ragazzi si persero in giardino e noi ci avvicinammo al muretto che guardava il Lago…Quanto amore in quella casa…quanto amore sul viso di mio marito, sempre pronto a regalarmi gioia, a gesti impliciti e puntuali, ad accettare ogni mio piccolo o grande capriccio. Eppure qualcosa dovevo aver saputo dargli anch’io… o il suo amore era incondizionato? Lo meritavo? Quante incertezze mi attraversavano il cuore. Come poteva il nostro amore non essere stato intaccato dalla mia follia? Come al solito mi ritrovavo a guardarlo mentre parlava, o mentre era intento a fare qualcosa… amavo tutto di lui, le mani, la voce, i capelli morbidi…amavo il suo grande cuore, la disponibilità verso tutti, l’accondiscendenza, i modi garbati e il saper diventare brutale….ma mai con me, con me era stato sempre attento, dolce, paziente, rispettoso, comprensivo.Lo abbracciai forte e lo tenni stretto a lungo…il suo odore era casa, le sue braccia forti, la comprensione, l’accettazione totale del mio animo, dei miei sogni, delle mie speranze, delle mie debolezze.Li portai in casa e iniziai il mio racconto… ad ogni stanza era legato un ricordo che descrivevo nei minimi dettagli…la camera di Tea era semi vuota, il cassettone a cui era tanto legata, dovevano averlo portato via le due figlie. Poi salimmo la scala esterna per raggiungere l’appartamento dove avevo vissuto io. Salendo i gradini non potei fare a meno di sorridere, ricordandola cosparsa di petali di rosa, quegli stessi che conservavo ancora…girai la terza chiave nella serratura e ci ritrovammo nella stanza inondata di sole. La sensazione fu la stessa di tanti anni prima ma ora non ero ne sola, ne disperata.Quella sera andammo a cena in un grazioso ristorante affacciato sul lago, Pietro era raggiate “ la casa è come me l’hai sempre descritta, l’avrei riconosciuta tra mille, anche se dovrò lavorarci parecchio per riportarla al vecchio splendore”! Ecco il suo animo d’architetto si era illuminato… e io più di lui al solo pensiero che quella casa ora fosse tutta nostra!Arrivò un messaggio.“ Mi manchi” Richiusi il telefono, pensando che avrei dovuto porre fine a quella relazione. Ancora una volta, pensai…lo vedrò ancora una volta, e gli parlerò onestamente.Invece non me ne diede il tempo. Squillò il cellulare, risposi… “ Bibi, se ti volti mi puoi vedere!”.