C'ERA UNA VOLTA...

...e la Sicilia divenne italiana


Sei anni dopo l’annessione all’Italia, la Sicilia insorse con efferata ferocia. Tutto ebbe inizio con la solita renitenza alla leva, come era cominciato anche qualche anno prima per la parte continentale. Nell’agosto del 1865 numerosi reggimenti del regio esercito rastrellarono le case alla ricerca dei giovani, numerosi sono i paesi messi a farro e fuoco, privati di acqua ed altre prime necessità. La resistenza sulle montagne si intensificano e solo nell’Agosto vengono deportati in Piemonte più di 15000 giovani di ogni età solo con lo scopo di sottrarli all’arruolamento nella resistenza. Nel Marzo 1866 da Palermo il Prefetto Torelli annuncia di essere preoccupato temendo una sommossa nelle carceri per il loro sovraffollamento. Nel frattempo, il prezzo del grano aumenta, manca l’acqua per irrigare i campi e si arresta persino gli scontenti. A Settembre insorge Monreale, subito dopo Palermo. Gli scontri nel capoluogo siciliano durano tutta la notte, mentre a Monreale la guarnigione indietreggiò lasciando la cittadina in mano ai rivoltosi. Si inneggia “Francesco II e alla Sicilia libera, a Santa Rosalia e alla Repubblica”. Si ristabiliscono i nomi originali alle strade e piazze abbattendo la toponomastica italiana filo-piemontese. Il 17 Marzo insorge: Misilmeni, Termini Imerese, Villabate, Santa Flavia, Corleone, San Martino delle Scale, Torretta, Marineo, Montepepre, Reacalmuto, Casteldoccia, Lercoda Friddi. Il giorno seguente, il 18 Marzo sbarcano militari con il compito di reprimere le rivolte, ma costretti ad indietreggiare perché aggrediti dalla gente che in gran parte combatteva con le sole mani. Le navi iniziano a mitragliare e a cannoneggiare le città vicine alla costa, il 21 Palermo è messa a ferro e fuoco da soldati sbarcati da navi provenienti da Livorno e Cagliari. Bombardamenti ininterrotti ordinati dall’ammiraglio Augusto Riboty, reduce della sconfitta di Lissa; Stessa cosa per l’ammiraglio Persano, che spera di riacquistare l’onore trucidando i civili (La marina italiana era reduce della fallimentare ed umiliante sconfitta a Lissa a danno della flotta austriaca). Tra il 21 ed il 22 sbarcano a Palermo 3 reggimenti bersaglieri con a capo il generale Raffaele Cadorna “commissario Regio con poteri straordinari” il quale istituì come prima cosa un tribunale speciale. Subito inizia la repressione. Si contano in una sola giornata oltre 2000 morti e 3600 imprigionati. Stessa sorte tocca per le altre città insorte. Palermo è occupata militarmente e viene trattata come una città nemica, si spara a vista. Un ufficiale del 10° granatieri Antonio Cattaneo fa uccidere due frati che lo supplicarono di cessare il fuoco ed un mendicante storpio, che chiedeva l’elemosina. Specialità di questo ufficiale era di ordinare fucilazioni di massa ai bordi di fosse comuni. Cadorna si accanisce contro la popolazione e soprattutto contro il clero, accusato di fomentare le rivolte arrivando a vietare l’abito talare. Sono espropriate chiese e monasteri, molti frati fucilati e imprigionati, compreso il novantenne vescovo di Monreale, Benedetto d’Acquisto; etichettato come il “brigante d’Acquisto”. Francesco Crispi promosse l’esproprio dei beni ecclesiastici in Sicilia che poi comprò in gran parte sotto falso nome per poche lire.  Il questore di Palemo Felice Pinno teneva in carcere persone prosciolte o assolte. Le navi britanniche sorvegliavano le coste, come era accaduto durante l’azione garibaldina. Avevano il compito di sbarcare per stabilire un governo provvisorio protetto dall’Inghilterra nel caso i rivoltosi avessero alla meglio sulle autorità  italiane. Dello stesso anno il 21 e 22 Ottobre in Veneto e a Mantova viene imposto il solito falso plebiscito. Tutto si svolge sotto le vigili baionette dei bersaglieri. Ci fu molta disinformazione, fu fatto credere che quel voto serviva per l’autonomia del Veneto all’Austria e non l’annessione all’Italia. Vittorio Emanuele II entrò a Venezia il 7 Novembre tra un gruppo di persone silenziose ed ostili.                                           Onore e vergogna di una storia nascostaSi conclude l’anno 1866 con 59 prefetti: 43 Piemontesi, il restante toscani ed emiliani.