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Post n°49 pubblicato il 11 Marzo 2011 da ilpensieroscomodo
Questa che si sta per chiudere è stata un'altra settimana incentrata sulla crisi libica e la presunta riforma della giustizia. |
Post n°48 pubblicato il 09 Marzo 2011 da ilpensieroscomodo
Questo periodo probabilmente passerà alla storia come la "rivoluzione nordafricana", a precindere dall'esito di tutte le insurrezioni. All'ordine del giorno c'è la questione libica, di cui l'Italia è diretta interessata, sia per motivi strettamente economici (approvvigionamenti energetici), sia per motivi socio-culturali (immigrazione clandestina). Che la Libia soddisfi all'incirca il 15% del nostro fabbisogno energetico è un dato di fatto, che le coste della Sicilia siano le più vicine al paese africano pure. C'è poco da ragionare su queste faccende. Ma questo è il punto di vista italico. Proviamo un attimo a vederla dal punto di vista di un ragazzo libico. La Libia è uno stato che è ancora, se non ancora politicamente, almeno moralmente, diviso in due grandi pseudoregioni: la Tripolitania, che fa riferimento a Tripoli e la Cirenaica, che fa riferimento a Bengasi. Da quasi 42 anni è al potere un regime dittatoriale che fa capo a Gheddafi, che ha il suo quartier generale a Tripoli. Gheddafi, ormai quasi 42 anni fa, ottenne il potere rovesciando il vecchio re Idris I, che aveva il suo quartier generale a Bengasi. Negli ultimi 42 anni, Gheddafi non è mai riuscito completamente ad avere il pieno controllo della Cirenaica. E questo è l'inizio. Negli ultimi 42 anni, Gheddafi è diventato mostruosamente ricco, ha generato una caterva di figli e li ha piazzati nei punti strategici del regime. Nepotismo e malaffare all'ennesima potenza. Le ricchezze accumulate sono state sostanzialmente frutto dei giacimenti petroliferi di quello che durante il fascismo veniva definito nient'altro che un "blocco di sabbia". Le conseguenze degli effetti del commercio del petrolio sono state due: Gheddafi s'è arricchito immensamente, la qual cosa gli ha consentito di stringere con la comunità internazionale una sorta di tacito accordo: petrolio in cambio di occhi chiusi sul regime. La seconda conseguenza è stata che l'enorme flusso di ricchezza ha consentito a Gheddafi di poter concedere alla propria gente (6 milioni di persone) uno stile di vita, seppur povero, almeno migliore dei paesi limitrofi (vedi Tunisia e Marocco). La seconda conseguenza, a sua volta, gli ha consentito di mantenere il potere per tutto questo tempo, fino ad oggi. O forse ieri. Già, perchè il relativo benessere del popolo gli ha, da un lato, consentito di governare a lungo ma, dall'altro, fatto aprire gli occhi alle giovani generazioni libiche (la maggior parte della popolazione). Perchè i ragazzi sono stanchi. Non ce la fanno più. Non riescono a sopportare un regime di questo genere, in cui può esistere un dottore che vive vendendo frutta al mercato e che, costretto a sloggiare, non vede altra soluzione che darsi fuoco. Il vento di democrazia soffia fortissimo in nord Africa. Le conseguenze sono tutte da decifrare. Per esempio, in Egitto, alla caduta di Mubarak ha fatto seguito la presa del potere da parte dell'esercito, in vista di libere elezioni. Ma, si faranno? E la campagna elettorale? In Libia, almeno in questi giorni, la situazione è di stallo: da un lato ci sono i vecchi marpioni legati al regime di Gheddafi, con un'orda di mercenari centraficani. Dall'altra tantissimi ribelli, che hanno sostanzialmente conquistato la Cirenaica, facendo di Bengasi la nuova capitale. La guerra civile sta logorando il paese. E' difficile che Gheddafi riesca a sopravvivere. Sembra avere le ore contate. Intanto, sul fronte internazionale, nè l'Ue nè gli Usa hanno preso posizione. Cioè, sia chiaro, le dovute rimostranze verso quel tiranno ci sono state, ma nessuna azione significativa, tranne qualche millantata azione economica. Perchè mai tanta titubanza? Forse perchè la Libia non vale il sangue di un soldato europeo? O per il veto di Cina e Russia, la prima, ormai, unica potenza economica mondiale e la seconda, da un bel pò, potenza solamente di fama (tipo la Juve nel calcio...)? Fatto sta che, intanto, la gente muore per le strade. In Europa le uniche conseguenze (peraltro nefaste) sono il prezzo della benzina e l'immigrazione. Ma lì la gente muore per le strade. Scorre sangue. Gheddafi bombarda il suo popolo! Il suo regime sta per finire e lui mente e vaneggia in Tv. Ma sta per crollare. La qual cosa ha un che di familiare.... Gustavo Marigliano |
Post n°47 pubblicato il 07 Marzo 2011 da ilpensieroscomodo
La guerra tra mafia e Stato. Che la mafia fosse un male atavico del nostro paese è cosa risaputa. Che con spregiudicatezza e sfrontatezza avesse monopolizzato l’economia italiana anche. Ma la ferocia mostrata a cavallo tra gli anni ‘80 e ’90 fu incredibile. Gli omicidi di Carlo Alberto Della Chiesa, di Piersanti Mattarella e di Pio La Torre furono il preludio di quella che, a tutti gli effetti, può essere considerata una guerra tra mafia e Stato. Una guerra che, nonostante tutto, fu combattuta da parte della polizia e dei magistrati, ma non dal mondo politico. Che nel frattempo era impegnato a respingere la merda che veniva gettata su di loro, in piena Tangentopoli. La serie funesta di omicidi fece da preambolo alla nascita del primo storico pool di magistrati che combatté la mafia: tra gli altri, vi facevano parte Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, coordinati da Rocco Chinnici, morto ammazzato nel 1983. Coadiuvati da alcune leggi (motivo dell’omicidio di Pio La Torre), ed in particolare quella sui pentiti, partì una stagione di processi e di arresti senza precedenti. Il primo, e più importante, mafioso arrestato fu Tommaso Buscetta. Era uno dei boss più influenti di Palermo, il primo a dichiararsi pentito. Le sue confessioni furono determinanti per istruire processi a ben 1400 imputati per mafia, utilizzate da Giovanni Falcone per infierire un pesante colpo all’organizzazione di Cosa nostra. Si parlò di un Teorema Buscetta. Tra i tanti arresti ci furono quelli di Lucani Liggio, Totò Riina e Bernardo Provenzano, esponenti di spicco della mafia. Uno smacco del genere fece sperare addirittura nella possibilità di poter sconfiggere definitivamente il problema mafia. Per sempre. Nonostante nel Paese il trio formato da Craxi-Andreotti-Forlani continuava ad imperversare nonostante gli avvisi di garanzia e le accuse via via più provate. L’inizio della guerra tra Mafia e Stato è da far risalire ai tempi della caduta del muro di Berlino. Nel 1989 vennero meno i presupposti della guerra fredda, con tutti i benefici politico economici conseguenti. La mafia perse l’appoggio politico totale, come dimostra l’arresto del sindaco di Palermo di allora, Vito Ciancimino, accusato di essere colluso con la mafia. La mafia accusò lo Stato di non essere più rispettoso dei patti tra loro. Il primo attacco della mafia allo Stato fu l’omicidio di Salvo Lima, personaggio vicino ad Andreotti. Poi si susseguirono incessanti attacchi terroristici: la strage di via dei Georgofili (5 vittime) a Firenze, la strage al Padiglione di Arte Contemporanea di Milano (5 vittime) e i due attentati al patrimonio artistico di Roma (a San Giovanni in Laterano e a San Giorgio al Velabro). Infine il 16 ottobre 1993 ci fu l’ultimo tentativo (fallito) di fare un attentato allo Stato da parte di Cosa nostra: venne parcheggiata un’autobomba in via dei gladiatori a Roma, fuori dallo Stadio Olimpico durante la partita Lazio-Udinese. Fortunatamente la bomba non esplose. I più famosi e terribili attentati restano però le stragi di Capaci, 23 maggio 1992, e di via d’Amelio, 19 luglio 1992, nelle quali hanno perso la vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino insieme alle loro scorte. Il primo, di ritorno da Roma, dove era stato nominato responsabile dell’Ufficio Affari Penali per espressa volontà dell’allora Guardasigilli Claudio Martelli, fu ucciso da una terribile esplosione avvenuta sull’autostrada che collega l’aeroporto di Punta Raisi (oggi aeroporto Falcone-Borsellino) con Palermo città, all’altezza di Capaci. L’esplosione fu provocata da un enorme quantitativo di tritolo (circa 600 kg) che gli esecutori piazzarono in un tunnel sottostante il tratto autostradale. Con Giovanni Falcone morirono la moglie, Francesca Morvillo e i suoi agenti di scorta. Paolo Borsellino morì in circostanze analoghe, a seguito dell’esplosione di un’autobomba parcheggiata sotto casa della madre in via D’Amelio, fatta esplodere con un radiocomando, probabilmente azionato dal Castello Uveggio, sito in un’altura che sovrasta la città di Palermo. L’autobomba esplose facendo morire pure gli uomini della scorta. In memoria di Giovanni Falcone è stata recentemente eretta una stele posta ai bordi dell’autostrada Palermo-Capaci, in corrispondenza del luogo ove perse la vita il giudice, sua moglie e la sua scorta. Il lavoro svolto da Paolo Borsellino nei 57 giorni che hanno separato la strage di Capaci da quella di Via D’Amelio, ha rappresentato l’alto senso del dovere che ha accompagnato i due magistrati nel loro percorso professionale. Nonostante la consapevolezza di essere il successivo obiettivo della mafia stragista, Paolo Borsellino proseguì freneticamente l’opera sino a quel momento svolta dal collega Falcone, in disprezzo di ogni ulteriore cautela che pure in quel frangente si sarebbe resa necessaria. Sul luogo dell’attentato fu rinvenuta una borsa che Borsellino portava sempre con sé e probabilmente contenente appunti e atti d’indagine che furono trafugati (la famosa “agenda rossa”). Una indagine è tuttora in corso, e coinvolge presunti servizi segreti deviati. La conseguenza delle stragi fu storica. La Sicilia venne militarizzata, con l’invio di 20000 soldati, nell’operazione “Vespri siciliani”. Si risvegliò il senso civico delle persone, per la prima volta calò il muro di omertà da sempre vigente. In quel clima avvennero gli arresti eccellenti di cui sopra. Ma ci sono ancora parecchie ombre riguardo questa vicenda. Per esempio, l’omicidio di Paolo Borsellino. Dopo la morte di Giovanni Falcone, il messaggio era stato lanciato. Uccidere Borsellino non fece altro che scatenare la risposta dello Stato, con l’invio dei militari in Sicilia. Inoltre, l’omicidio impedì ad Andreotti di divenire Presidente della Repubblica, a causa dei sospetti di collusione, spianando la strada a Scalfaro. Che motivo avrebbe avuto la mafia di uccidere Borsellino? C’è poi la questione della presunta trattativa Stato-Mafia. La coincidenza tra alcune date delle stragi e provvedimenti del Parlamento, conferma le tesi per cui i servizi segreti abbiano trattato per fare in modo che le richieste della mafia (contenute nel celebre papello, incentrato sulla possibilità di ledere la forza del regime 41 bis, ossia carcere duro per i mafiosi) fossero state rispettate in cambio della fine della strategia stragista. In questi giorni si stanno tenendo i processi per accertare la responsabilità del ministro della giustizia di allora, Giovanni Conso (quello del decreto a favore dei politici corrotti…) e di altre cariche dello Stato. L’idea, molto forte, è che Ciancimino avesse trattato per conto della mafia con il capo dei ROS, Mario Mori, per dirimere la questione. C’è poi la storia della mancata perquisizione nell’abitazione di Totò Riina e il mancato arresto di Provenzano, che venne fatto nel 2006. E, infine, l’improvvisa fine degli attacchi terroristici nel 1994, nel momento in cui Forza Italia salì al governo. Tutto questo, mentre in questi mesi Marcello Dell’Utri, braccio destro di Berlusconi è stato condannato in appello per concorso esterno in associazione mafiosa, mentre Massimo Ciancimino, figlio di Vito, fa da testimone per il presunto patto tra Stato e Mafia. La guerra tra Stato e Mafia ha inferto un duro colpo al monopolio economico della stessa mafia. Il ridimensionamento creato dalla guerra ha fatto si che organizzazioni coma la ‘ndrangheta prendessero il sopravvento in regioni anche del nord. Nel capitolo conclusivo la chiave di lettura. Gustavo Marigliano. |
Post n°46 pubblicato il 06 Marzo 2011 da ilpensieroscomodo
L'uomo è un animale sociale. (Seneca) Volenti o nolenti tutti noi abbiamo avuto a che fare con questa enorme verità. Le relazioni tra le persone sono le più disparate, amore, amicizia, rapporto di lavoro, di studio, di convenienza... ognuna ha un suo senso, un suo modo e un suo perchè. Non credo che tutti siano capaci di provare tutto. Credo che esistano delle persone che sono inevitabilmente condizionate dal loro modo di essere nei rapporti con gli altri. E allora trovano ragione di esistere quelli che credono di non poter amare, di non poter avere amici, di non poter sottostare ad alcun tipo di controllo gerarchicamente superiore. Io la vedo così. C'è chi pensa che l'amore sia il più profondo dei sentimenti. C'è chi mette addirittura al primo posto tra gli obiettivi di una vita intera quello di trovare una persona giusta, anzi, "la" persona giusta. E poi c'è anche chi la pensa in maniera diametralmente opposta, che afferma che l'amore non è altro che una splendida, elaborata, incredibile giustificazione agli istinti sessuali. Il modo in cui l'uomo, suo malgrado dotato di un'intelligenza superiore alle altre specie, riesce a razionalizzare qualcosa che in realtà di razionale ha ben poco. Il bisogno di procreare e di mantenere in vita la specie. L'amicizia, se possibile, è qualcosa di ancora più profondo. Da un lato, in molti pensano che non possa mai finire, che l'amicizia, quella vera, è eterna, pura. Queste persone sanno che le/i ragazze/i passano, che il lavoro (soprattutto di questi tempi) va e viene, che la fortuna gira, ma gli amici sono sempre lì. Ne sono assolutamente convinti. D'altro canto, c'è chi pensa che non possa esistere amicizia, almeno laddove gli interessi collimano. Cioè, per essere chiari, due persone possono essere amiche soltanto fino a quando i loro interessi non si ostacolano reciprocamente e, inoltre, l'amicizia viene corrobarata dalla situazione opposta, quella in cui le due persone in questione ottengono benefici reciproci nel rapportarsi. Tutto il resto è niente. C'è chi crede che l'amicizia e l'amore non possano finire. Qualcuno dice che, semmai vi è amicizia o amore, esse sono eterne. Se amo, lo faccio per sempre. Se una storia tra due innamorati finisce non è perchè finisce l'amore, ma perchè l'amore non c'è mai stato. Allo stesso modo, se due amici litigano e la loro amicizia finisce, vuol dire che in realtà non erano stati mai veramente amici. Io credo che la verità stia nel mezzo, come sempre: in ogni singolo caso è necessario valutare la faccenda secondo i due modelli esistenti, valutando quale dei due sia il più calzante per descrivere la situazione, o, almeno, quanto di uno sia importante rispetto a quanto dell'altro. C'è una cosa, però in cui credo fortissimamente: nella vita, ho capito che è impossibile riuscire ad andare avanti senza avere, almeno in qualche caso, avuto l'aiuto, o un favore, da qualcuno. Per quanto si vuole essere indipendenti, ci sarà sempre qualche cosa che proprio non si può fare, o ottenere, o trovare da soli. E in quel caso che si deve, al più presto possibile, pensare di ricambiare il favore: se non se ne può fare a meno, che almeno si faccia in modo di non essere in debito. Il Pensiero Scomodo. |
Post n°45 pubblicato il 04 Marzo 2011 da ilpensieroscomodo
Questa settimana è stata bella densa di avvenimenti. Mentre la politica estera si è incentrata sugli sviluppi del caos libico, la politica interna ha toccato più punti. La settimana scorsa s'era chiusa con le sparate di Berlusconi sulla scuola pubblica, ovviamente il giorno successivo immediatamente ridimensionate. Cioè, sia chiaro, non è nè la prima volta, nè l'ultima, in cui se ne esce con un mucchio di minchiate senza senso. Però è significativa la platea a cui si rivolgeva: esponenti del mondo cattolico. Il modo di porsi agli interlocutori di Berlusconi è chiaro un pò a tutti: sarebbe capace di maledire Satana davanti a Dio, rinnegare Dio di fronte a Satana, dire ai commercianti milanesi "stasera battiamo il sud" e ai membri del Pdl siciliano "siamo l'unico governo che lavora per il sud". Lui può mettere la famiglia al primo posto e divorziare, sputtanando la sua ex moglie, a causa dei festini, forse con minorenni annesse (il forse è un pò come il "non è vero, non ci credo..." di Benigni...). Però questa volta le cose sono state un pò più complesse: l'attacco pubblico alla scuola pubblica (perdonate il gioco di parole) rientra nell'ottica delle concessioni che Berlusconi ha fatto, e sta facendo, al mondo della chiesa cattolica, in cambio di un bel paio di occhi chiusi sulle sue vicende personali (a partire dalla famosa bestemmia contestualizzata). In un sol colpo, sia Berlusconi che la chiesa cattolica si stanno coprendo di vergogna in maniera palese. E se almeno Berlusconi non è tenuto a rispettare certi valori, la chiesa cattolica continua a propinarceli... Una delle cose che mi viene in mente sono le dimissioni a mezzo stampa di Bondi, Ministro dei Beni culturali. Questa notizia mi ha procurato enorme fastidio. Sia per i modi, sia per il motivo. Ricapitolando: Bondi ha ottenuto la fiducia in seguito ai fatti di Pompei, grazie alla risicata maggioranza attuale e alle defezioni dell'opposizione; poi ha cominciato a disertare il suo ufficio, continuando a non fare nulla, però da casa (perchè non è che avesse fatto chissà che nel suo ufficio...); poi è stato oggetto di attacco da parte dei lanciatori di fango del Giornale (povero Indro Montanelli, chissà quante volte si sarà rivoltato nella sua tomba...), stranamente diretti ad un membro della maggioranza; poi ha deciso di dimettersi, nella gioia un pò di tutti, tra maggioranza ed opposizione. Fermo restando il fatto che non possiamo che essere d'accordo con la sua scelta (da mesi gli sputiamo veleno da questo blog), ma è questo il modo? Disertare il tuo ufficio? Intascare stipendi per non fare nulla? E poi abbandonare così, come fosse niente? Noi sappiamo che la sua gestione dei Beni culturali è stata pessima (non solo per Pompei, ma anche per le vicende legate a Draquila, per i disaccordi col mondo del cinema...). E sappiamo benissimo che la sua figura (di Bondi) evoca solo inettitudine, pochezza. E lo sanno anche i suoi ormai ex colleghi. Lui è il solo a non essersene accorto. Che vada a scrivere poesie, almeno le sue cagate se le sorbirà chi continua a frequentarlo... Questa settimana è stato anche approvato quello che la Lega continua a chiamare federalismo fiscale. Dopo la querelle con Napolitano, il governo ha fatto le cose perbene, chiamando in causa (bontà loro) anche la Camera. Le perplessità su di una legge che avrà l'unico merito di essere il cavallo di battaglia della Lega alle prossime elezioni, e che probabilmente causerà l'aumento indiscriminato delle tasse comunali, restano forti più che mai. Il tempo sarà galantuomo. Dall'altro lato, il Pd ha raccolto 10 milioni di firme per le dimissioni di Berlusconi. Bah. Non è che ci volesse un mago per capire che il popolo non lo sopporta più. Ma, raccogliere le firme, a cosa serve? Mettiamo che i 10 milioni di firme sono vere, cosa peraltro poco probabile. Ma mettiamo che sia così. Bersani che farebbe? Provate ad immaginare un ipotetico dialogo tra Bersani e Berlusconi a proposito di queste firme: "Qui ci sono 10 milioni di firme: che fai, ti dimetti?". E allora Berlusconi: "Certo. Ho quattro processi in corso, stiamo lavorando a tutta birra per crearmi uno scudo e, adesso che mi porti queste firme, io mi dimetto per lasciare il paese in mano al popolo?" E allora Bersani. "L'idea era questa..." E allora Berlusconi: "Sti cazzi." Quindi Bersani: "Ah. Ok." E' bravo Bersani, che continua a parlare di famigerati piani per l'Italia, senza aver capito che ormai le regole del gioco sono quelle di Berlusconi ed un candidato premier è necessario. Cioè, il suo ragionamento fila: noi abbiamo un programma, poi che sia Tizio, Caio o Sempronio a governare il problema non si pone. La gente dovrebbe votare il programma. Queste sarebbero parole sante, in un paese normale. Ma, appunto, in un paese normale, non in Italia. Nell'era berlusconiana, ormai giunta alle idi, per distruggerlo definitivamente, occorre un cavallo su cui puntare. E per vincere, non per partecipare. Perchè una sconfitta avrebbe delle proprzioni immani. Con il Quirinale in gioco... Scrivendo del Pd m'è balzato nella testa il nome di Tedesco. Tedesco è un imprenditore pugliese che aveva un conflitto di interessi in Puglia, dove era assessore alla Sanità e proprietario di una ditta di prodotti ortopedici. Un Berlusconi in miniatura. Fatto sta che è stato indagato per una serie di reati più o meno gravi. Il Pd, anzichè mandarlo via a calci nel culo, per proteggerlo, lo ha portato in Parlamento. A quel punto, le indagini sono proseguite ma, in settimana, si è arrivati al momento in cui la magistratura ha chiesto l'autorizzazione a procedere nei confronti di Tedesco. Travaglio ha sintetizzato la faccenda egregiamente: adesso, se il Pd vota a favore dell'autorizzazione, ammette l'errore di averlo portato in Parlamento; se non autorizza a procedere, si pone sullo stesso piano del Pdl, alla ricerca estrema di una difesa per il premier, impedendogli il processo. A prescindere da come andranno le cose, hanno già perso. Come spesso accade da un pò di tempo a questa parte. Travaglio ha chiuso il suo editoriale ad Annozero citando Montanelli, schietto nel definire l'opposizione inesistente il vero problema del paese, di cui Berlusconi è il sintomo. Io vorrei chiudere raccontando del Pdl, che ha già deciso di votare contro l'autorizzazione a procedere nei confronti di Tedesco: è un'abile mossa politica per stanare il Pd e capire quanto vogliono essere giustizialisti con un proprio membro o è, più semplicemente, l'ennesima autodifesa di una casta che a parole si odia e, in fondo, non fa che difendersi e autoriprodursi? Gustavo Marigliano |
Inviato da: ilpensieroscomodo
il 09/05/2011 alle 22:29
Inviato da: lanterna.nera
il 31/03/2011 alle 21:33
Inviato da: ilpensieroscomodo
il 24/03/2011 alle 18:43
Inviato da: ilpensieroscomodo
il 03/03/2011 alle 16:18
Inviato da: lanterna.nera
il 02/03/2011 alle 22:43