DUE MONDI

IL CRIMINE PROSPERAVA (IN BARBA ALLE RONDE)


Caravaggio, per l'anagrafe Michelangelo Merisi, pittore, era un tipetto fumantino. Pronto in ogni momento a menar le mani. Felice se poteva di tirar fuori la spada, attrezzo che gli consentiva di sentirsi e atteggiarsi a nobiluomo. Per incrociarla, magari, con le ronde. Con quei "sbirri" pontifici con cui sembrava avere un fatto personale; e che sfruculiava con epiteti grevi e grossolani. Passatempo che gli procurò qualche soggiorno, neppure troppo gravoso, nelle carceri romane, da Corte Savella a Castel S. Angelo. Brevi vacanze, in attesa che qualcuno dei suoi potenti amici lo tirasse fuori dai guai. Le ronde....Caravaggio e i suoi colpi di testa. Il celeberrimo dipinto di Rembrandt, che immerge l'osservatore in pieno XVII secolo. Un sentore di antico circonda quel termine. Rimanda a città fortificate, protette da mura. Suscita il ricordo di un'epoca in cui stato di diritto era un'espressione inconcepibile, e gli abitanti di una città, soprattutto di una città come Roma, erano sudditi. Da sorvegliare. E punire. Non è casuale che le ronde vengano resuscitate e sponsorizzate da un governo che guarda al futuro con gli occhi sulla nuca. Che equivoca tra autorità ed esibizione di muscoli turgidi. In una paurosa, quanto strumentale, confusione tra autorevolezza e autoritarismo. Nella Roma di Caravaggio e Clemente VIII il crimine prosperava. In barba alle ronde. La versione riveduta e corretta, altro fu,mo per gli occhi ingenui, proporrà un identico copione. Peccato solo che non ci sia più Michelangelo Merisi.  Articolo tratto da E-polis di Roma del 24.02.09 di Giovanni Capecelatro, giornalista e scrittore