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Post n°172 pubblicato il 24 Settembre 2017 da IMMAGINIRCFO

Un padrone, allo spuntare di un giorno, uscì per assoldare degli operai per la sua vigna e pattuì con loro un denaro al giorno.

Uscito all’ora di terza nuovamente e pensando che i lavoratori presi ad opera erano pochi, vedendo sulla piazza altri sfaccendati in attesa di chi li prendesse, li prese e disse: “Andate nella mia vigna e vi darò quello che ho promesso agli altri”. E quelli andarono.

Uscito a sesta e a nona, ne vide altri ancora e disse loro: “Volete lavorare alle mie dipendenze? Io do un denaro al giorno ai miei lavoratori”. Quelli accettarono e andarono.

Uscito infine verso l’undecima ora, vide altri stare dimessi all’ultimo sole. “Che fate qui, così oziosi? Non vi fa vergogna stare senza fare nulla per tutto il giorno?”, chiese loro.

“Nessuno ci ha presi a giornata. Avremmo voluto lavorare e guadagnarci il cibo. Ma nessuno ci chiamò alla sua vigna”.

“Ebbene, io vi chiamo alla mia vigna. Andate e avrete la mercede degli altri”. Così disse, perché era un buon padrone ed aveva pietà dell’avvilimento del suo prossimo.

Venuta la sera e finiti i lavori, l’uomo chiamò il suo fattore e disse: “Chiama i lavoratori e paga la loro mercede, secondo che ho fissato, cominciando dagli ultimi, che sono i più bisognosi non avendo avuto nel giorno il cibo che gli altri hanno una o più volte avuto e che, anche, sono quelli che per riconoscenza verso la mia pietà hanno più di tutti lavorato; io li osservavo, e licenziali, che vadano al riposo meritato, godendo con i famigliari i frutti del loro lavoro”. E il fattore fece come il padrone ordinava, dando ad ognuno un denaro.

Venuti per ultimi quelli che lavoravano dalla prima ora del giorno, rimasero stupiti di avere essi pure un solo denaro e fecero delle lagnanze fra di loro e col fattore, il quale disse: “Ho avuto quest’ordine. Andate a lagnarvi dal padrone e non da me”. E quelli andarono e dissero:

“Ecco, tu non sei giusto! Noi abbiamo lavorato dodici ore, prima fra la guazza e poi al sole cocente e poi da capo nell’umido della sera, e tu ci hai dato come a quei poltroni che hanno lavorato una sola ora!… Perché ciò?”. E uno specialmente alzava la voce, dicendosi tradito e sfruttato indegnamente.

“Amico, in che ti faccio torto? Cosa ho pattuito con te all’alba? Una giornata di continuo lavoro e per mercede di un denaro. Non è vero?”.

“Sì. È vero. Ma tu lo stesso hai dato a quelli, per tanto lavoro di meno…”.

“Tu hai acconsentito a quella mercede parendoti buona?”.

“Sì. Ho acconsentito perché gli altri davano anche meno”.

“Fosti seviziato qui da me?”.

“No, in coscienza no”.

“Ti ho concesso riposo lungo il giorno e cibo, non è vero? Tre pasti ti ho dato. E cibo e riposo non erano pattuiti. Non è vero?”.

“Sì, non erano pattuiti”.

“Perché allora li hai accettati?”.

“Ma… Tu hai detto: ‘Preferisco così per non farvi stancare tornando alle case’. E a noi non parve vero… Il tuo cibo era buono, era un risparmio, era…”.

“Era una grazia che vi davo gratuitamente e che nessuno poteva pretendere. Non è vero?”.

“È vero”.

“Dunque vi ho beneficati. Perché allora vi lamentate? Io dovrei lamentarmi di voi che, comprendendo di avere a che fare con un padrone buono, lavoravate pigramente, mentre costoro, venuti dopo di voi, con beneficio di un solo pasto, e gli ultimi di nessun pasto, lavorarono con più lena, facendo in meno tempo lo stesso lavoro fatto da voi in dodici ore.

Traditi vi avrei se vi avessi dimezzata la mercede per pagare anche questi. Non così. Perciò piglia il tuo e vattene. Vorresti in casa mia venirmi ad imporre ciò che ti pare? Io faccio ciò che voglio e ciò che è giusto. Non volere essere maligno e tentarmi all’ingiustizia. Buono io sono”.

O voi tutti che mi ascoltate, in verità vi dico che il Padre Iddio a tutti gli uomini fa lo stesso patto e promette l’uguale mercede.

Chi con solerzia si mette a servire il Signore sarà trattato da Lui con giustizia, anche se poco sarà il suo lavoro per prossima morte. In verità vi dico che non sempre i primi saranno i primi nel Regno dei Cieli, e che là vedremo degli ultimi essere primi e dei primi essere ultimi. Là vedremo uomini, non di Israele, santi più di molti di Israele.

Io sono venuto a chiamare tutti, in nome di Dio. Ma se molti sono i chiamati pochi sono gli eletti, perché pochi sono coloro che vogliono la Sapienza. Non è sapiente chi vive del mondo e della carne e non di Dio. Non è sapiente né per la Terra, né per il Cielo. Perché sulla Terra si crea nemici, punizioni, rimorsi. E per il Cielo perde lo stesso in eterno.

Ripeto: siate buoni col prossimo quale esso sia. Siate ubbidienti, rimettendo a Dio il compito di punire chi non è giusto nel comandare. Siate continenti nel sapere resistere al senso e onesti nel sapere resistere all’oro, e coerenti nel dire anatema a ciò che merita, non anatema quando vi pare, salvo poi stringere contatti con l’oggetto prima maledetto come idea. Non fate agli altri ciò che per voi non vorreste, e allora…».

«Ma va’ via, noioso profeta! Ci hai danneggiato il mercato!… Ci hai levato i clienti!…», urlano i venditori irrompendo nel cortile… E quelli che avevano rumoreggiato nel cortile, ai primi insegnamenti di Gesù -e non sono tutti fenici, ma anche ebrei, presenti per non so che motivo in questa città- si uniscono ai venditori per insultare e minacciare, e soprattutto per cacciare… Gesù non piace perché non consiglia al male…

Egli incrocia le braccia e guarda. Mesto. Solenne.

La gente, divisa in due partiti, si azzuffa, in difesa e in offesa del Nazareno. Improperi, lodi, maledizioni, benedizioni, grida di:

«Hanno ragione i farisei. Sei un venduto a Roma, un amante dei pubblicani e meretrici», o di:

«Tacete, lingue blasfeme! Voi venduti a Roma, fenici d’inferno!»,

«Satana siete!»,

«Vi inghiotta l’inferno!»,

«Via! Via!»,

«Via voi, ladri che venite a far mercato qui, usurai», e così via.

Intervengono i soldati dicendo: «Altro che sobillatore! È sobillato!». E colle aste cacciano fuori tutti dal cortile e chiudono il portone.

Restano i tre fratelli proseliti e i sei apostoli con Gesù. «Ma come vi è venuto in mente di farlo parlare?», chiede il triario ai tre fratelli.

«Parlano in tanti!», risponde Elia.

«Sì. E non succede nulla perché insegnano ciò che piace all’uomo. Ma questo ciò non insegna. Ed è indigesto…». Il vecchio soldato guarda attento Gesù che è sceso dal suo posto e che sta zitto, come astratto.

Di fuori la folla continua ad azzuffarsi. Tanto che dalla caserma escono altre milizie e con esse lo stesso centurione. Bussano e si fanno aprire, mentre altri restano a respingere tanto chi grida: «Viva il Re d’Israele!», come chi lo maledice.

Il centurione viene avanti, inquieto. Assale con la sua collera il vecchio Aquila: «Così tuteli Roma, tu? Lasciando acclamare un re straniero nella terra soggetta?».

Il vecchio saluta con rigidezza e risponde: «Egli insegnava rispetto e ubbidienza e parlava di un regno non di questa Terra. Per quello Lo odiano. Perché è buono e rispettoso. Non ho trovato motivo di imporre il silenzio a chi non offendeva la nostra legge».

Il centurione si calma e borbotta: «Allora è una nuova sedizione di queste fetide marmaglie… Bene. Date ordine all’uomo di andarsene subito. Non voglio noie, qui. Eseguite e scortate fuori città non appena sarà sgombra la via. Vada dove gli pare. Agli inferi, se vuole. Ma mi esca dalla giurisdizione. Compreso?».

«Sì. Faremo».

Il centurione volta le spalle con un gran splendere di corazza e ondeggiare di mantello porporino, e se ne va senza neppur guardare Gesù.

I tre fratelli dicono al Maestro: «Ci spiace…».

«Non ne avete colpa. E non temete. Non ve ne verrà male. Io ve lo dico…».

I tre mutano colore… Filippo dice: «Come sai questa nostra paura?».

Gesù sorride dolcemente, un raggio di sole sul viso mesto: «Io so ciò che è nei cuori e nel futuro».

I soldati si sono messi al sole, in attesa, e sbirciano, commentando…

«Possono mai amare noi, se odiano anche quello lì che non li opprime?».

«E che fa miracoli, devi dire…».

«Per Ercole! Chi era quello di noi che era venuto ad avvisare che c’era l’indiziato da sorvegliare?».

«Caio fu!».

«Lo zelante! Intanto abbiamo perduto il rancio e prevedo che perderò il bacio di una fanciulla!… Ah!».

«Epicureo! Dove è la bella?».

«Non lo dirò certo a te, amico!».

«Sta dietro al cocciaio, alle Fondamenta. Lo so. Ti ho visto sere or sono…», dice un altro.

Il triario, come passeggiando, va verso Gesù e gli gira intorno, Lo guarda, Lo guarda. Non sa che dire… Gesù gli sorride per incoraggiarlo. L’uomo non sa che fare… Ma si accosta di più.

Gesù accenna alle cicatrici: «Tutte ferite? Sei un prode e un fedele, allora…».

Il vecchio milite si fa di porpora per l’elogio.

«Hai sofferto molto per amore della tua patria e del tuo imperatore… Non vorresti soffrire qualcosa per una più grande patria: il Cielo? Per un eterno imperatore: Dio?».

Il soldato scuote il capo e dice: «Sono un povero pagano. Ma non è detto che non arrivi anche io all’undecima ora. Ma chi mi intruisce? Tu vedi!… Ti cacciano. E queste sì che sono ferite che fanno male, non le mie!… Almeno io le ho rese ai nemici. Ma Tu, a chi ti ferisce, che dai?».

«Perdono, soldato. Perdono e amore».

«Ho ragione io. Il sospetto su Te è stolto. Addio, galileo».

«Addio, romano».

Gesù resta solo finché tornano i tre fratelli e i discepoli con delle cibarie. Che offrono, i fratelli, ai soldati, mentre i discepoli le offrono a Gesù. Mangiano svogliatamente, al sole, mentre i militi mangiano e bevono allegramente.

Poi un soldato esce a sbirciare sulla piazza silenziosa.

«Possiamo andare», urla. «Sono tutti andati via. Non ci sono che le pattuglie».

Gesù si alza docilmente, benedice e conforta i tre fratelli, ai quali dà appuntamento per la Pasqua al Getsemani, ed esce, inquadrato fra i soldati coi suoi discepoli mortificati che gli vengono dietro. E percorrono le strade vuote, fino alla campagna.

«Salve, galileo», dice il triario.

«Addio, Aquila. Ti prego, non fate del male a Daniele, Elia e Filippo. Io solo sono il colpevole. Dillo al centurione».

«Non dico nulla. A quest’ora non se lo ricorda neanche più, e i tre fratelli ci forniscono bene, specie di quel vino di Cipro che il centurione ama più della vita. Sta in pace. Addio».

Si separano. Tornando i soldati oltre le porte, Gesù e i suoi avviandosi per la campagna silenziosa, in direzione est».


Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

 
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SEQUENZA

[Sion, loda il Salvatore,
la tua guida, il tuo pastore
con inni e cantici.
-Impegna tutto il tuo fervore:
egli supera ogni lode,
non vi è canto che sia degno.
-Pane vivo, che dà vita:
questo è tema del tuo canto,
oggetto della lode.
-Veramente fu donato
agli apostoli riuniti
in fraterna e sacra cena.
-Lode piena e risonante,
gioia nobile e serena
sgorghi oggi dallo spirito.
-Questa è la festa solenne
nella quale celebriamo
la prima sacra cena.
-È il banchetto del nuovo Re,
nuova Pasqua, nuova legge;
e l'antico è giunto a termine.
-Cede al nuovo il rito antico,
la realtà disperde l'ombra:
luce, non più tenebra.
-Cristo lascia in sua memoria
ciò che ha fatto nella cena:
noi lo rinnoviamo.
-Obbedienti al suo comando,
consacriamo il pane e il vino,
ostia di salvezza.
-È certezza a noi cristiani:
si trasforma il pane in carne,
si fa sangue il vino.
-Tu non vedi, non comprendi,
ma la fede ti conferma,
oltre la natura.
-È un segno ciò che appare:
nasconde nel mistero
realtà sublimi.
-Mangi carne, bevi sangue;
ma rimane Cristo intero
in ciascuna specie.
-Chi ne mangia non lo spezza,
né separa, né divide:
intatto lo riceve.
-Siano uno, siano mille,
ugualmente lo ricevono:
mai è consumato.
-Vanno i buoni, vanno gli empi;
ma diversa ne è la sorte:
vita o morte provoca.
-Vita ai buoni, morte agli empi:
nella stessa comunione
ben diverso è l’esito!
-Quando spezzi il sacramento
non temere, ma ricorda:
Cristo è tanto in ogni parte,
quanto nell’intero.
-È diviso solo il segno
non si tocca la sostanza;
nulla è diminuito
della sua persona.]
-Ecco il pane degli angeli,
pane dei pellegrini,
vero pane dei figli:
non dev’essere gettato.
-Con i simboli è annunziato,
in Isacco dato a morte,
nell'agnello della Pasqua,
nella manna data ai padri.
-Buon pastore, vero pane,
o Gesù, pietà di noi:
nutrici e difendici,
portaci ai beni eterni
nella terra dei viventi.
-Tu che tutto sai e puoi,
che ci nutri sulla terra,
conduci i tuoi fratelli
alla tavola del cielo
nella gioia dei tuoi santi.

 
 

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