io.ASSOLUTO

IL MIO PRIMO GIORNO DA MORTO


Il mio primo giorno da morto (racconto scritto a "quattro mani" per un contest letterario on line di qualche tempo fa)                                  IL MIO PRIMO GIORNO DA MORTO La vita e’ strana. La vita e’ una cosa meravigliosa. Un attimo prima sei   in giro ad infastidire  amici  intenti a “guadagnarsi la pagnotta”, immerso nella tua occupazione preferita, sprecare tempo piangendoti addosso. Disoccupato a tempo indeterminato. Disoccupato piu’ per vocazione che per reale mancanza di lavoro. Uno sfaticato cronico. Comunque sia la vita prende le sue decisioni a prescindere dalle nostre, più o meno, nobili  intenzioni.Per quella mattina era previsto il rientro in atmosfera di un vetusto satellite russo. Ma lo ignoravo. Come del resto tendevo ad ignorare molte altre cose del mondo. Si sarebbe dovuto disintegrare nell’ impatto con l’atmosfera  ed i resti finire sparsi nell’ oceano indiano. Sarebbe, appunto . Perché quella mattina un attimo prima ero svogliatamente impegnato a fare nulla ed un secondo dopo, solerti soccorritori del 118 erano altrettanto svogliatamente impegnati a raccogliere i miei poveri resti. Resti sparsi un po’ qui ed un po’ la, da raccogliere col  cucchiaino. Nessuno evidentemente aveva avvertito il vecchio satellite di doversi disintegrare .L’ impatto fu violentissimo. Un sibilo. Neanche il tempo di alzare lo sguardo che mi ero ritrovato morto. Un secondo prima ero. Un secondo dopo avevo smesso di essere. Scherzi del destino. La primissima sensazione fu di estraneità. Mi sentivo calmo, rilassato, del tutto indifferente. Dove prima c’ero io ora c’era un piccolo cratere , un po’ di sangue, qua e la qualche pezzettino di me. La cosa che più  attirò la mia attenzione  furono gli sguardi della gente, urla si, ma soprattutto sguardi che andavano dallo stupito al disgustato. Non ebbi però molto  per riflettere perché l’ oscurità mi avvolse come un gelido manto. In quel freddo abbraccio  persi la cognizione di me.Fluttuavo, perso nel vuoto più assoluto. Avevo la sensazione di muovermi, ma in che direzione, se avanti o indietro, in su o in giù non lo saprei dire. Avevo freddo, un freddo indicibile che penetrava nel profondo. Ero sordo. Completamente cieco. Solo. Una solitudine opprimente. Provavo orrore per quella mia situazione, paura. Una paura folle. Ignoravo lo scorrere del tempo, ignoravo cosa fossi e cosa ero prima, provavo un profondo disagio. Disperavo. Di tanto in tanto sfioravo qualcosa, cosa non saprei dire, ma la sensazione era spiacevole, terribilmente spiacevole. “Sentivo” in un certo qual modo altra solitudine, altro dolore, altra pena, altra disperazione. Dapprima questi contatti erano radi, poi via via che avanzavo   si facevano più frequenti e più dolorosi. Percepivo un diffuso senso di colpa. Percepivo la mia colpa. Non per  un’azione o un torto commesso o non commesso, ma per tutto quello che avrei potuto essere e non ero stato. Quantunque avessi un ricordo vago di me, di quello che ero o ero stato.Se quella era una punizione, era una punizione severa e in quel nulla un battito mi scosse. D’improvviso in quel silenzio assordante, nella mia totale cecità, mi parve di scorgere una flebile luce ed un altro battito. Mi era passata sopra, o sotto, veloce. Quasi dubitai di quella sensazione. Ma poi un’altra, molto lontano, molto flebile, silenziosa. Eppure era luce. Ed un altro battito ed un battito ancora. Percepii che acquistavo  velocità, roteavo forse ,qualsiasi forma avessi, ammesso che ne avessi una. Acquistavo velocità. Scie di luce, a volte lontane ed appena percettibili, a volte incredibilmente vicine. In quel gelido nulla potevo percepirne il tepore. In quel gelido nulla si faceva strada una speranza scandita da battiti. Scie luminose che si perdevano nel nulla, scie che di quando in quando  mi sfioravano trasmettendomi tepore. Da quei “contatti” iniziai a percepire un fruscio come di tende leggere sfiorate dal vento. Il primo suono da quando ero perso in quel nulla.Le scie ed i contatti erano sempre più frequenti, sempre più caldi, i battiti sempre più accelerati. Dal contatto reciproco acquisivamo e dispensavamo calore, speranza. Ero certo che confluissimo tutti in un’ unica direzione e non faticai a scorgerla.Un minuscolo puntino luminoso, lontano, appena percettibile. Eppure non riuscivo a distogliere la mia attenzione da quel puntino. Agognavo raggiungerlo. Non avevo altro desiderio che quello di riunirmi a quella luce che velocemente, sempre più velocemente, si avvicinava. Una luce bianca. Calda. Serena. Ne fui avvolto, accolto come da grandi mani che mi stringevano trascinandomi amorevolmente dentro quella luce.“… è un bel maschietto signora, complimenti … infermiera, mi passi un telo …” – il ginecologo depose il fagottino sul petto della giovane donna che , sfinita,   ebbe appena la forza di sorridere a quel piccolo essere che la osservava con occhi grandi pieni di sorpresa. Potevo toccarla, sentirne il calore, i  battiti. Quei battiti che erano il suo cuore. Quei battiti che avevano scandito la mia frenetica corsa verso la luce.Nascendo trascorsi il mio primo giorno da morto.           Luigi Morelli & Raffaella Stravato