io.ASSOLUTOla vita è un viaggio |
QUEEN
A KIND OF MAGIC!!!
ROMA PALALOTTOMATICA 27/09/08
Una storiella popolare narra che, durante la Creazione, Dio volle compiacersi della sua opera dedicando una cura particolare alla città di Fondi a cui donò ogni sorta di bellezze naturali: il mare, la fertile pianura, i laghi e perfino la montagna. Al punto che gli Angeli protestarono risentiti:
- Ma Signore, di questo passo Fondi supererà per bellezza il paradiso!
Ed Egli, con la calma di chi in sei giorni aveva creato l'universo, rispose:
- Non temete, ora creerò i fondani.
immagine e testo tratto dal sito www.fondani.it
IL FUTURO DEL MONDO...NON DISTRUGGIAMOLO!
Guarda, osserva, vedi, pensa, giudica ed infine condanna che fa violenza a chi la parola violenza non dovrebbe nemmeno conoscerla...
basta!
IL MOTOCICLISTA...
io.assoluto
Essendo io un'appassionato di moto (da qualche giorno sono finalmente in possesso della patente A3, quella che autorizza a guidare qualsiasi motociclo) e degli artisti che si sono espressi nell'ambito del "futurismo" (corrente artistica dei primi del 900') vi propongo queste due opere...
il "motociclista 1923(solido in velocità)" dell'artista Depero
"Il Motociclista" di Mario Guido Dal Monte
ovvio che se vi fossero problemi sui diritti sono sempre disponibile a rimuovere il tutto.
AREA PERSONALE
LA VITA....
La vita è un'opportunità, coglila.
La vita è bellezza, ammirala.
La vita è beatitudine, assaporala.
La vita è un sogno, fanne una realtà.
La vita è una sfida, affrontala.
La vita è un dovere, compilo.
La vita è un gioco, giocalo.
La vita è preziosa, abbine cura.
La vita è una ricchezza, conservala.
La vita è amore, godine.
La vita è un mistero, scoprilo.
La vita è promessa, adempila.
La vita è tristezza, superala.
La vita è un inno, cantalo.
La vita è una lotta, accettala.
La vita è un'avventura, rischiala.
La vita è felicità, meritala.
La vita è la vita, difendila.
Madre Teresa
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Nickname: io.assoluto
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Vivo sempre con una certa apprensione l'approssimarsi della notte. Le tenebre non mi sono amiche. Le mie notti sono popolate di mostri. Ombre oscure che si burlano di me. Vi sono occhi che mi scrutano nelle mie notti. Occhi che non mi è dato vedere ma che so che sono li,tra le pieghe delle tende, dietro la porta socchiusa, nascosti nell'ombra, lontano dalla poca luce che filtrA dalle imposte. Vi sono presenze vi dico. Presenze che si dileguano se accendo la luce, ma mi pare di sentirla, la loro risata di scherno. Restano li, mostri, presenze, ombre, aspettano. Le mie notti sono una continua lotta per restare sveglio, sono una lenta disgregazione, un' usurante guerra di trincea. Da sotto le coperte tendo l' orecchio ad ogni rumore,l'analizzo, ne cerco la causa plausibile, me ne convinco o almeno ci provo, infondo lo so che sono loro, si prendono gioco di me. Se potessi urlerei, se potessi, l'urlo mi muore in gola, si rifiuta di venir fuori, le mie membra non rispondono al mio grido d'aiuto e sono paralizzato, condannato ad un immobile attesa, senza possibilità di fuga e loro lo sanno, so che lo sanno. Aspettano nel buio ed io attendo la fine di questa sofferenza, loro lo sanno e trascinano questa mia crudele agonia sino all'alba, quando le prime luci del mattino spazzano via le ombre della notte, ma torneranno. Il giorno non è che quasi peggio della notte. Di giorno in miei incubi si trasformano nella vostra realtà. Vi aspetto nell'ombra, affondo il coltello nelle vostre carni, stringo forte le mani attorno alla vostra gola, vi percuoto col bastone. Vi uso violenza ma non vi odio, come non mi odiano le mie ombre, ridono di me, delle mie debolezze. Non so come altro mostrarvi le mie paure se non mostrandovele.Voi mi considerate un mostro ma sono una vittima. |
Dolce,tenera,succulentacarne alla brace... Sul menù troneggiava la carne, costolette,bistecche,stinco,prosciutto, fegato,trippa, bollita,brasata,arrossto alla brace e cosivia, quando arrivò il piatto ordinato il cliente ispirò profondamente,riempiendosi le narici dell'inebriante profumo della carne, succulentecostolette alla brace, con contorno di verdure al vapore e parate dolci, aveval'acquolinain bocca. Strappando la carne, direttamente con le mani e portandosi alla boccadei succosi bocconi il cliente era in estasi carnivora, mentre faceva la"scarpetta" con un tozzo di pane, ripulendo il piatto con un faremaniacale, noto' il proprietario del locale e con un gesto della mano lo chiamòa se. Corpulento, pelle d'ebano e labbra carnose il proprietario si avvicinò altavolo:"vedo che ha gradito"-osservò-"certo, certo..."-rispose entusiasta il cliente:" ...ma mi dica come fate ad avere una carnecosi',cosi fresca e succulenta?"- il negro sorrise mostrando una fila didenti bianchissimi, allargò le possenti braccia e :"...sa, la carne frescaviene da noi, letteralmente...con le proprie gambe..."- in quello stessomomento due robusti inservienti della cucina stavano trascinando via un,recalcitrante, giovane cliente che ancora stringeva tra le mani coltello eforchetta. Il proprietario ed il cliente si scambiarono unsorriso:"...posso portarle qualcos'altro?"-"..stupiscimi..."- rispose il cliente mentre mandava giu' unbicchiere di vino rosso rubino, corposo e profumato. Fuori dal locale unapioggerellina fine ammantava la citta', era una fresca serata di finesettembre, i pochi passanti immersi nei propri pensieri neanche la notavanol'appariscente insegna al neon blu, "Dal Cannibale, serviamo i nostriclienti..."
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Pervaso da un tanfo d'umido, spoglia con una finestraaffacciata sul niente, un piccolo bagno con le piastrelle spaccate ed unacucina da condividere con le macchie di umidità e la vernice scrostata. Unacittà ostile, un lavoro che non puoi permetterti di perdere mentre unamoltitudine d'altri perde il suo è tu, ringrazi la sorte e vai avanti.L'arredamentodozzinale, scarno ed anonimo, pochi oggetti a ricordare e ricordarmi una vitadiversa, forse normale. Il ritratto di un bimbo il giorno del suo battesimo equello di una giovane coppia alla prima vacanza, molti libri sparsi un po'ovunque ed una lampada dalla luce troppo fioca per scacciare i fantasmi. Sullasedia, forse rimediata usata o forse peggio recuperata chi sa dove una giaccaattende dinessa, scarpe che hanno camminato molto riposano accanto al lettosfatto e quella sensazione di umido che penetra nelle ossa e nella carne e famarcire anche l'anima scrostandola poco a poco come la vernice che cadendomostra ampie zone d'intonaco. Il padrone non è in casa, la decadenza diDostoevskiana memoria parte dell'anima di ognuno e si fa realtà oggettiva nelmondo che ci circonda. |
Quella mattina doccia veloce e di corsa in strada,un'occhiata fugace all'orologio e le undici meno dieci. Rincasai tardi quellasera, l'orologi,o segnava le undici, undici meno dieci.Tracorsi la notte trastrani sogni e strani incubi, mi svegliai mantido di sudore, il sole già alto,le undici meno dieci, mi trascinai fuori dal letto e dopo una robusta colazionea base di caffè, piu'o meno alla stessa ora uscii. Non tornai quella notte,troppo stanco, troppo ubriaco, il mattino seguente dopo vari tentativi riusciiad infilare la chiave nella serratura, avevo fame ma il solo pensiero del cibomi strappò un conato di vomito, guadagnai a fatica il bagno e innondai latazza, mi pulii alla manica della giacca poi me ne liberai per cacciare latesta sotto il getto gelido della doccia. Restai a gelarmi il cervello finchénon vui in grado di reggermi in piedi, barcollando e sgocciolando ovunqueraggiunsi la cucina, preparai la moka e mentre aspettavo che salisse il caffè,con un' orchestra di tromboni nel cervello guardai fuori e poi l'orologio, leundjci meno dieci, un pensiero mi tagliò in due il cervello poi il gorgogliodel caffè mi strappò da quello che era il primo pensiero logico di quegliultimi giorni. Il caffè fece il suo lavoro e lentamente tornai padrone dei mieipensieri, guardai ancora istintivamente l'orologio, le undjci, undici menodieci, ed eccolo ancora, quel pensiero, il primo veramente logico degli ultimitempi, cambiare la batteria all'orologio. |
Viaggiavoannoiato su un'autostrada semi deserta,una lunga,monotona linguad'asfalto.L'aria condizionata dentro,all'esterno dell'abitacolo la temperaturaera rovente.La mente sgombra,il solo rumore il rotolare monotono deglipneumatici sull'asfalto.Poche nubi su un cielo di un azzurro intenso.Ai bordidella strada un'alternarsi di campi,pascoli,basse colline e qua e là qualcherudere,una fattoria abbandonata,antiche fortificazioni o resti di insediamentiindustriali.D'un tratto la mia attenzione e' colta da una strada bianca checorre parallela all'autostrada per poi allontanarsene per perdersi tra i campie le colline,nulla di speciale,una striscia di terra battuta,poco più di uncontorto sentiero che si perde nella campagna,ma capace di distogliermi dalvuoto dei miei pensieri per riempirli di un'inaspettata curiosità.Il viaggio mitrascinava lontano,verso un lavoro sicuro,ben retribuito,lavoro al quale sareiarrivato tardi.Imboccai l'uscita dell'autostrada,verso il sentiero,unpo'curioso,un po'in fuga.LM
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Chiudo gli occhi,nella vana speranza di un meritato riposo emi risveglio,mio malgrado,nei miei soliti incubi.Stanze buie,lunghi corridoivuoti,porte socchiuse, sospiri,scricchiolii,ombre,folate di vento gelido efinestre sbarrate.Il tempo si dilata ed ho la certezza di non essere solo e none' piacevole.Vago alla ricerca di punti di riferimento,cerco di orientarminell'oscurità che mi circonda certo che là,da qualche parte,qualcuno o qualcosami osserva.Ogni rumore e' amplificato dai grandi spazi,vuoti,sapessi cosacercare o da cosa tenermi lontano sarei più sereno ma gli incubi hanno questacaratteristica,non sono prevedibili.Quindi attendo che da un momento all'altroqualcosa accada,ma non succede nulla e la tensione sale.Sò che non dovreiaprire certe porte,seguire certi sospiri ma un'altra caratteristica degliincubi e'la ripetitività di certi schemi,schemi dove ciò che logicamentedovresti evitare di fare e' quello che poi,per quanto cerchi dievitarlo,finisci per fare.Poi la sveglia e tutto il resto.LM |
Entrò nella stanza, "e'arrivato!"disse lafanciulla, voce rotta dall'emozione ed occhi lucidi, "chi e'arrivato?" chiese l'anziana, l'età era stata clemente, la malattia che lacostringeva a letto non lo era stata altrettanto. La ragazzacontinuò:"e'arrivato Zia,quella persona che aspettavi da tanto.",l'anziana in tono duro:"non prendere in giro questa vecchia...", manon terminò la frase, una figura era alla porta, la giovane si fece da parte,lui avanzò di qualche passo nella stanza innondata di luce, un mazzo di fioridi campo tra le mani, era lì. Lei lo fissò:"hai ricevuto la lettera?"chiese, poi istintivamente si coprì il viso."Solo qualche giorno fa"rispose e le si inginocchiò accanto,le scostò le mani, "sei arrivatotardi"disse lei,"sono qui"rispose lui baciandola,poi le mostròla bottiglia coperta d'incrostazioni marine e la lettera in parte illeggibileper i tanti anni in balia dei flutti.Lei sorrise e chiuse gli occhi,il voltosereno.Così la colse la morte,sorridente finalmente e non più sola. LM |
I primi"sintomi"furonole"assenze".All'inizio duravano pochi secondi.Era come se qualcosalo"strappasse"dal corpo,si ritrovava a fluttuarenell'oscurità,dimentico di qualsiasi sensazione,incapace di valutare iltrascorrere del tempo.Con l'aggravarsi della sintomatologia durante le crisichi gli era accanto dichiarava che sembrava incapace di comprendere le funzionidegli oggetti di uso comune,aveva difficoltà a comunicare,come usasse unalingua non sua,non riconosceva amici o parenti ed era ossessionato daldesiderio di uscire all'aperto,pur dimostrando di non riconoscere luoghi a luifamiliari.Fu diagnosticato un"disturbo della personalità".Quandovennero a prenderlo era preda del male,non oppose resistenza.Tutto gli fu piùchiaro quando qualcuno o"qualcosa"tolse il coperchio dal cilindro chelo"custodiva", si ritrovò in una specie di magazzino,su vari scaffalic'erano migliaia di cilindri come il suo,ospitavano altre"essenze senza uncorpo".Chi o cosa"occupasse"il suo corpo,in quel momento loignorava. LM |
Non fu per scienza,scoperta o curiosità,nulla di tuttociò,fu per noia.Annoiato mi trascinai in strada alla ricerca di qualcosa.Lacittà mi era in gran parte ignota.Vagavo senza meta quando mi resi conto diessermi perso,non riconoscevo i palazzi ne i nomi delle strade,poco malepensai,tornare si fa sempre in tempo.Quante volte in futuro,svegliandomi nellanotte,mantido di sudore e preda di quegli incubi che mi portarono alla rovinaed a quest'istituto che e' la mia prigione da allora,quante volte mi maledissie mi maledico ancora oggi,per quello sciagurato pensiero.Annoiato scelsi unvicolo a caso e continuai le mie peregrinazioni senza senso per quella parte dicittà che mi era sconosciuta.Fatto che ebbi percorso pochi metri il vicolomutava in uno stretto budello schiacciato tra due ali di palazzi decrepitirisalenti a non meno di un paio di secoli prima e terminava dinanzi ad unaporta, non era chiusa.Varcata quella soglia mi resi conto dell'errore.Ci sonocose perse nel tempo che e' bene restino tali. LM |
Era giovane e forte. La città era immensa,lo accolse con ilgelido abbraccio di una matrigna delle fiabe,lo illuse con le sue luci,promessenon mantenute di chi sà quali avventure e lo lasciò,nudo,indifeso nellasolitudine di palazzi vuoti,piazze infinite,cattedrali silenziose e vicoli buipopolati da fantasmi. La città gli mangiò l'anima. Rannicchiato in un angolo,inun appartamento al piano alto di quello che fu un meraviglioso palazzonobiliare e che oggi mostrava una decadenza che era lo specchio della miseriaumana che vi si nascondeva dietro. Nella solitudine di quella stanza temeva divenir fagocitato da quelle pareti umide,da quella carta da paratiscrostata.Prigioniero delle sue paure si lasciò affascinare dalla promessa dilibertà della finestra,una libertà a caro prezzo ma totale,definitivanell'abbraccio di una morte violenta ma che non giudica,non fadomande.L'alternativa era la porta,l'ennesimo tentativo di confronto con ilmondo e le sue regole.La finestra era più facile, scelse la finestra. LM |
I lavori in corso mi deviarono su una stradinasecondaria,superate le luci dell'abitato mi inoltrai nel silenzio,nell'oscuritàdi una notte senza luna ne stelle.La strada si perdeva nella campagna,unanebbia leggera l'avvolgeva.Il "satellitare"segnava 3 km all'imboccodell'Appia,la radio spargeva una nenia jazz dal ritmo ipnotico,perso nei mieipensieri percorrevo quel budello d'asfalto mal messo,quando qualcosa mitrascinò fuori dal pantheon dei miei crucci.In lontananza,nel retrovisore eranocomparsi due puntini,dei fari nella nebbia.Un'innaturale brivido mi percorse laschiena,mi ritrovai ad aumentare la velocità,più acceleravo più quei fari siavvicinavano.L'auto volava tra buche e sconnessioni a velocità folle,gli occhifissi sul retrovisore ipotizzato da quei fari,troppo vicini.Un dubbio mitrafisse la mente,quanto e' lontano l'incrocio,la fine di questa strada,lasalvezza da quest'incubo?Ebbi appena il tempo di alzare gli occhi e vedere ilsegnale di "STOP",troppo tardi.Neanche lo udii lo schianto. LM |
Siritrovava spesso, al tramonto, con le braccia incrociate sul petto e lo sguardoproteso verso l'infinito. Le stelle comparivano una dopo l'altra dallepiu'luminose a quelle appena visibili, distanti miliardi di chilometri dal suopiccolo pianeta. Non poteva non porsi la fatidica domanda"ma siamoveramente soli nell'universo?', ad ogni tramonto quellospettacolo si ripeteva ad ogni tramonto si poneva le medesime domande"senon fossimo soli quale aspetto avrebbero questi alieni? Se il buon Dio hacreato veramente il mondo a sua immagine dovrebbero essere come noi o no?"questi e mille altri interrogativi impegnavano la sua mente nelle lunghe notti,a volte fantasticava di improbabili viaggi verso strani nuovi mondi e diincontri con bizzarre crearure" ...e se avessero tre teste?"pensava"...o magari solo due braccia?...solo due braccia,assurdo...". Intanto anche il terzo sole tramontava all'orizzonte e suDagon calo' la gelida notte,il giovane dagoniano striracchio'le otto lunghebraccia e si distese sul letto, piano piano l'occhio si chiuse e lentamentescivolo'un un sonno profondo popolato da alieni con troppe poche braccia peressere credibili, nel sonno sorrise. |
IL MIO PRIMO GIORNO DA MORTO
La vita e’ strana. La vita e’ una cosa meravigliosa. Un attimo prima sei in giro ad infastidire amici intenti a “guadagnarsi la pagnotta”, immerso nella tua occupazione preferita, sprecare tempo piangendoti addosso. Disoccupato a tempo indeterminato. Disoccupato piu’ per vocazione che per reale mancanza di lavoro. Uno sfaticato cronico. Comunque sia la vita prende le sue decisioni a prescindere dalle nostre, più o meno, nobili intenzioni. Per quella mattina era previsto il rientro in atmosfera di un vetusto satellite russo. Ma lo ignoravo. Come del resto tendevo ad ignorare molte altre cose del mondo. Si sarebbe dovuto disintegrare nell’ impatto con l’atmosfera ed i resti finire sparsi nell’ oceano indiano. Sarebbe, appunto . Perché quella mattina un attimo prima ero svogliatamente impegnato a fare nulla ed un secondo dopo, solerti soccorritori del 118 erano altrettanto svogliatamente impegnati a raccogliere i miei poveri resti. Resti sparsi un po’ qui ed un po’ la, da raccogliere col cucchiaino. Nessuno evidentemente aveva avvertito il vecchio satellite di doversi disintegrare . L’ impatto fu violentissimo. Un sibilo. Neanche il tempo di alzare lo sguardo che mi ero ritrovato morto. Un secondo prima ero. Un secondo dopo avevo smesso di essere. Scherzi del destino. La primissima sensazione fu di estraneità. Mi sentivo calmo, rilassato, del tutto indifferente. Dove prima c’ero io ora c’era un piccolo cratere , un po’ di sangue, qua e la qualche pezzettino di me. La cosa che più attirò la mia attenzione furono gli sguardi della gente, urla si, ma soprattutto sguardi che andavano dallo stupito al disgustato. Non ebbi però molto per riflettere perché l’ oscurità mi avvolse come un gelido manto. In quel freddo abbraccio persi la cognizione di me. Fluttuavo, perso nel vuoto più assoluto. Avevo la sensazione di muovermi, ma in che direzione, se avanti o indietro, in su o in giù non lo saprei dire. Avevo freddo, un freddo indicibile che penetrava nel profondo. Ero sordo. Completamente cieco. Solo. Una solitudine opprimente. Provavo orrore per quella mia situazione, paura. Una paura folle. Ignoravo lo scorrere del tempo, ignoravo cosa fossi e cosa ero prima, provavo un profondo disagio. Disperavo. Di tanto in tanto sfioravo qualcosa, cosa non saprei dire, ma la sensazione era spiacevole, terribilmente spiacevole. “Sentivo” in un certo qual modo altra solitudine, altro dolore, altra pena, altra disperazione. Dapprima questi contatti erano radi, poi via via che avanzavo si facevano più frequenti e più dolorosi. Percepivo un diffuso senso di colpa. Percepivo la mia colpa. Non per un’azione o un torto commesso o non commesso, ma per tutto quello che avrei potuto essere e non ero stato. Quantunque avessi un ricordo vago di me, di quello che ero o ero stato. Se quella era una punizione, era una punizione severa e in quel nulla un battito mi scosse. D’improvviso in quel silenzio assordante, nella mia totale cecità, mi parve di scorgere una flebile luce ed un altro battito. Mi era passata sopra, o sotto, veloce. Quasi dubitai di quella sensazione. Ma poi un’altra, molto lontano, molto flebile, silenziosa. Eppure era luce. Ed un altro battito ed un battito ancora. Percepii che acquistavo velocità, roteavo forse ,qualsiasi forma avessi, ammesso che ne avessi una. Acquistavo velocità. Scie di luce, a volte lontane ed appena percettibili, a volte incredibilmente vicine. In quel gelido nulla potevo percepirne il tepore. In quel gelido nulla si faceva strada una speranza scandita da battiti. Scie luminose che si perdevano nel nulla, scie che di quando in quando mi sfioravano trasmettendomi tepore. Da quei “contatti” iniziai a percepire un fruscio come di tende leggere sfiorate dal vento. Il primo suono da quando ero perso in quel nulla. Le scie ed i contatti erano sempre più frequenti, sempre più caldi, i battiti sempre più accelerati. Dal contatto reciproco acquisivamo e dispensavamo calore, speranza. Ero certo che confluissimo tutti in un’ unica direzione e non faticai a scorgerla. Un minuscolo puntino luminoso, lontano, appena percettibile. Eppure non riuscivo a distogliere la mia attenzione da quel puntino. Agognavo raggiungerlo. Non avevo altro desiderio che quello di riunirmi a quella luce che velocemente, sempre più velocemente, si avvicinava. Una luce bianca. Calda. Serena. Ne fui avvolto, accolto come da grandi mani che mi stringevano trascinandomi amorevolmente dentro quella luce. “… è un bel maschietto signora, complimenti … infermiera, mi passi un telo …” – il ginecologo depose il fagottino sul petto della giovane donna che , sfinita, ebbe appena la forza di sorridere a quel piccolo essere che la osservava con occhi grandi pieni di sorpresa. Potevo toccarla, sentirne il calore, i battiti. Quei battiti che erano il suo cuore. Quei battiti che avevano scandito la mia frenetica corsa verso la luce. Nascendo trascorsi il mio primo giorno da morto.
Luigi Morelli & Raffaella Stravato
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Post n°168 pubblicato il 22 Novembre 2009 da io.assoluto
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INFO
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L'abbandono è un crimine...non solo per la legge...
Ci sono molti problemi da affrontare, molte cose che non vanno e questa è proprio una cosa che non va!
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QUANTI PENSIERI....
Se… riesci a non perdere la testa,quando tutti intorno a te la perdono e ti mettono sotto accusa; Se… riesci ad aver fiducia in te stesso, quando tutti dubitano di te,ma a tenere nel giusto conto il loro dubitare;Se… riesci , essendo odiato, a non abbandonarti all’odio pur non mostrandoti ne troppo buono ne parlando troppo da saggio;Se…riesci a sognare senza fare dei sogni i tuoi padroni;Se…riesci a pensare, senza fare dei pensieri il tuo fine;Se…riesci, incontrando il Successo e la Sconfittaa trattare questi due impostori allo stesso modo...;Se…riesci a fare un sol fagotto delle tue vittorie,e rischiarle in un sol colpo a testa e croce;Se… riesci a costringere il tuo cuore, i tuoi nervi, i tuoi polsi a sorreggerti, anche dopo molto tempo che non te li senti più,ed a resistere quando ormai in te non c’è più niente,tranne la tua volontà che ripete …resisti;Se…riesci a parlare con la canaglia senza perdere la tua onestà,o a passeggiare con il re senza perdere il senso comune;Se…tanto amici che nemici non possono ferirti;Se…tutti gli uomini per te contano, ma nessuno troppo;Se…riesci a colmare l’inesorabile minuto, con un momento fatto di sessanta secondi;Tu hai la terra e tutto ciò che è in essa e quel che più conta…………………SARAI UN UOMO!
ridotta dall' originale di Rudyard Kipling
UN PENSIERO...
Se fai il bene, ti attribuiranno
secondi fini egoistici
non importa, fa' il bene.
Se realizzi i tuoi obiettivi,
troverai falsi amici e veri nemici
non importa realizzali.
Il bene che fai verrà domani
dimenticato.
Non importa fa' il bene
L'onestà e la sincerità ti
rendono vulnerabile
non importa, sii franco
e onesto.
Dà al mondo il meglio di te, e ti
prenderanno a calci.
Non importa, dà il meglio di te
(Madre Teresa di Calcutta)
Inviato da: io.assoluto
il 06/11/2008 alle 08:42
Inviato da: Gaia.dgl1
il 05/11/2008 alle 09:32
Inviato da: io.assoluto
il 03/08/2008 alle 20:50
Inviato da: LaTorreDiGuardia
il 03/08/2008 alle 16:53
Inviato da: io.assoluto
il 03/08/2008 alle 09:09