MINICAOS IN LIBERTA'

Capocotta, nel bene e nel male, sempre al centro della cronaca


Capocotta, nel bene e nel male, sempre al centro della cronacaPubblicato da admin il 7/06/10 • pubblicato in Racconti, Società
di Marco Stefano VitielloLa Guardia di Finanza di Ostia ha arrestato 3 spacciatori stranieri, di cui uno minorenne, confusi tra i bagnanti, e ha sequestrato 6 chili tra hashish e marijuana oltre a valuta di vario taglio.Il luogo è la spiaggia di Capocotta, sul litorale romano tra Castel Porziano e Torvaianica, uno dei tratti di arenile più belli e meglio conservati d’Italia.
Una spiaggia che ancora vive di trasgressione (più apparente che reale), di tragici misteri irrisolti, di cultura alternativa e sperimentale, di divertimento sfrenato, di polemiche feroci tra ambientalisti duri e puri e speculatori balneari senza scrupoli, sempre al centro delle cronache, nel bene e nel male.Di cronaca nera, bianca e rosa, che parte dagli anni ’50 e arriva fino ai giorni nostri, Capocotta ne racconta parecchia.
Una spiaggia bellissima e selvaggia, una ragazza povera ma bella, la società “bene” del dopoguerra, un nobiluomo guardone, una bellissima donna e il suo giovane amante, un tutore che truffa l’orfanella sua protetta, un immobiliarista rampante, le avanguardie beat americane nell’Italia degli anni ’70, la droga, la trasgressione ma anche la bellezza della natura e del mare e la libertà incondizionata.
Potrebbero essere certamente i protagonisti di una coinvolgente fiction televisiva, e, per inciso, anche stavolta c’è di mezzo Berlusconi.
L’11 aprile 1953, giorno della vigilia di Pasqua, venne rinvenuto sull’arenile il cadavere di una ragazza romana ventunenne, Wilma Montesi. Al momento della sparizione, era fidanzata con un agente di polizia, ed in procinto di sposarsi. Era una ragazza considerata molto bella, con qualche aspirazione ad entrare nel mondo del cinema e dello spettacolo. L’ipotesi di un incidente fu considerata attendibile dalla polizia, che chiuse il caso. I giornali, invece, si mostravano scettici.Il Roma, quotidiano monarchico napoletano, cominciò ad avanzare l’ipotesi di un complotto per coprire i veri assassini, che sarebbero stati alcuni potenti personaggi della politica; l’ipotesi presentata nell’articolo “Perché la polizia tace sulla morte di Wilma Montesi?”, a firma Riccardo Giannini, ebbe largo seguito.Lo scandalo montò enormemente e cominciarono ad uscire fuori nomi eccellenti di personaggi del mondo della politica e dello spettacolo; una certa Adriana Concetta Bisaccia aveva raccontato di aver partecipato con Wilma Montesi a un festino in una villa vicino a Capocotta, non distante dal luogo del ritrovamento e che, in quell’occasione, avevano avuto modo di incontrare alcuni personaggi famosi, principalmente nomi noti della nobiltà della capitale e figli di importanti politici.Stando al racconto della Bisaccia, Wilma Montesi avrebbe assunto un cocktail letale di droga e alcool, e avrebbe avuto un grave malore. Il corpo esanime sarebbe stato trasportato da alcuni partecipanti festino sulla spiaggia, dove era stato abbandonato.Tra i nomi citati, vi erano Piero Piccioni, figlio di Attilio Piccioni, Vicepresidente del Consiglio, Ministro degli Esteri e massimo esponente della Democrazia Cristiana, e il marchese Ugo Montagna, esponente della nobiltà capitolina e proprietario della villa in cui si sarebbero svolti i festini a base di droga, alcool e sesso.Una valanga di fango si abbatté sugli ambienti “bene” della società romana, i giornali fecero il pieno di vendite e, tra rivelazioni clamorose poi smentite e il processo svolto a Venezia, ci vollero due anni perché, alla fine, tutti gli imputati venissero assolti.Il caso rimase insoluto ma la carriera politica di Attilio Piccioni fu stroncata.Quasi venti anni dopo, nella estate del 1970 a Roma, tre colpi di fucile squassarono il silenzio di un lussuoso attico di via Puccini 9 ai Parioli.
La servitù presente in casa non osò entrare nello studio del marchese Camillo Casati Stampa di Soncino e chiamò la polizia. Lo spettacolo che si presentò agli agenti intervenuti fu sconvolgente.Anna Fallarino, coniugata Casati, la moglie del marchese, era riversa senza vita su una poltrona, colpita da una rosa di pallini da caccia calibro 12.Dietro un tavolino rovesciato c’era il corpo di Massimo Minorenti, 25 anni, amante della donna, mentre il marchese Casati, 43 anni, è sdraiato a terra con accanto il fucile ancora caldo: un colpo gli aveva staccato una parte del viso.Un caso che venne chiuso prima ancora di essere aperto: il marchese, che aveva convocato i due fedifraghi per un ultimo chiarimento, in preda ad un raptus di follia dettato dalla gelosia, aveva prima ucciso la moglie, poi aveva fatto fuoco sul giovane amante di lei e alla fine si era tolto la vita.
Eppure la strage di via Puccini diventò il caso che più eccitò la morbosità dei media e dell’opinione pubblica, soprattutto per i retroscena nascosti in una sterminata collezione di foto (che oggi farebbero solo sorridere) dove la marchesa appariva nuda o seminuda, da sola o con altri uomini e altre donne. Dal minuzioso diario tenuto dal marchese uscirono altri particolari: si raccontava del suo voyeurismo e delle sensazioni che provava a spiare la moglie posseduta da altri maschi, spesso compagni occasionali “reclutati” a Capocotta e pagati un tanto a prestazione.Nel 2001, in una intervista di Alessandro Fulloni al Corriere della Sera, “Er Zagaja”, titolare di un famoso chiosco a Torvajanica e memoria storica di quegli anni, raccontò che la nobildonna “Estate e inverno veniva qua, tra le dune, assieme all’uomo che l’aveva sposata, Camillo Casati Stampa di Soncino. Scomparivano con qualche aviere dell’aeroporto di Pratica di Mare: adocchiavano quelli sulle garitte, lei li provocava seduta sulla sua spider, sorrideva, si mostrava in abiti succinti. Poi li attendevano per la libera uscita, caricandoli in macchina.”Ma la drammatica vicenda non finì con la morte dei protagonisti.I Casati Stampa sono una famiglia patrizia del nord: il loro patrimonio era calcolato intorno a 400 miliardi di lire, un’enormità per l’epoca.Nell’eredità figurava anche una villa e dei terreni in quel di Arcore.Il paese dell’hinterland milanese era noto, al tempo, sopratutto per la fabbrica della Gilera. Oggi, quel nome suona diversamente.La villa di Arcore, quella di Berlusconi era dei Casati Stampa.L’intera eredità della famiglia finì alla marchesina Annamaria, all’epoca minorenne. C’era un tutore, un avvocato amico, che decise di vendere la villa alla cifra ufficiale di 500 milioni e l’acquirente fu Silvio Berlusconi.L’avvocato di Annamaria Casati Stampa era Cesare Previti.La cifra era irrisoria, perché includeva terreni e altri edifici, per 3500 metri quadri coperti, ettari di parco, una pinacoteca ricca di tele del Quattro e Cinquecento, sculture di valore inestimabile, mobili di antiquariato. Il tutto, per soli 500 milioni.Cesare Previti sostenne che le altre offerte erano inferiori.
Dal ritrovamento sulla battigia del cadavere di Wilma Montesi, alle tresche sessuali dei Casati Stampa, da Allen Ginsberg e Lawrence Ferlinghetti che assieme agli studenti di “Lettere occupata” trascorrevano le nottate attorno a un falò leggendo poesie beat, o Nanni Moretti che in “Ecce Bombo” vi passava la notte prima degli esami, fino agli affollatissimi party organizzati da “Onelove”, Capocotta e’ un pezzo di immaginario collettivo che continua ad affascinare e a riempirsi di bagnanti.Una umanità decisamente varia: famiglie con bambini, bagnanti che non amano gli stabilimenti tradizionali di Ostia, singles palestrati in cerca di avventure estive, ragazze siliconate pronte ad esibire le proprie grazie, nudisti cui è stata concessa una vera e propria oasi, buongustai che sanno dove mangiare bene in riva al mare, organizzatori di feste e di eventi musicali, a Capocotta c’è di tutto e di più, anche tante storie, più o meno vere, da raccontarsi sotto il sole cocente di questi giorni.